La Contessa Chiara Dona Dalle Rose e il suo amore per l’arte.

Contessa Chiara Dona Dalle Rose
Contessa Chiara Dona Dalle Rose

Abbiamo fatto qualche domanda alla Contessa Chiara Dona Dalle Rose , Avvocatessa, nobildonna di cultura, curatrice internazionale e Presidentessa della Fondazione Donà Dalle Rose,

Appassionata d’arte e collezionista è senza dubbio una degli ultimi mecenati italiani.

Conosciamola meglio lasciando che sia lei a raccontarsi attraverso le risposte alle nostre domande:

Il tuo primo contatto con l’arte? 

E’ difficile ricordarsi il primo contatto con l’arte, visto che praticamente ci sono stata immersa sin dalla più tenera età.

Ma per rispondere, credo sia più opportuno distinguere la domanda in contatto “consapevole” da quello “inconsapevole”.

Ho vissuto in mezzo all’arte, tra reperti archeologici, quadri del rinascimento, tra sculture classiche, del medioevo e contemporanee, e da piccola direi che l’unico contatto che mi era permesso era quello visivo unito al divieto di non toccare, anche se qualche volta mi capitava di giocare con le bambole utilizzando modellini e maquette in legno del ‘600. Con mia sorella facevo sempre molta attenzione a non rompere nulla pur vivendo gli ambienti di casa con la massima naturalezza.

Mi ricordo i compagni di scuola e gli amici della mia adolescenza, abituati al contemporaneo ed allo stile moderno, quando entravano in casa, calava spesso il silenzio e mi dicevano “la tua casa sembra un museo”.

Ero solita chiamare ogni quadro per nome come se avesse un’anima, oltre la tela.

Ma quel che è peggio è che, quando i miei capelli erano raccolti in due grandi trecce laterali, amavo gironzolare con i pattini a rotelle a tutta velocità in mezzo alle opere d’arte.

Il fatto che ci fosse il rischio di rompere qualche oggetto d’arte e che fosse vietato toccarle rendeva il mio immaginario percorso ancora più interessante, il divieto era la frontiera da superare senza indugio con la gioia di chi ama la vita e la prende a morsi con spregiudicata spensieratezza.

Per fortuna non ho mai rotto nulla, altrimenti chi la sentiva mia madre! Il mio primo contatto fisico e spirituale in cui ho sentito una forte empatia con l’arte è stato grazie a mio padre, quando all’età di poco più di sette anni mi illustrò, facendomelo toccare, un bellissimo schizzo di Carlo Bonomi, l’ultimo sognatore dell’officina seicentesca ferrarese.

Un foglio sottile e leggero come carta da zucchero, pochi tratti vermigli per restituire il ritratto di un bambino della mia età di quattro secoli fa.

Mi innamorai di quel volto che ritrovai molti anni dopo nel volto di mio marito Francesco.

Il mio rapporto con l’arte ha qualcosa di magico, è come la bacchetta di una fata che apre la porta alla fantasia e che nella menta si ricongiunge in un’unica dimensione alla vita concreta. 

Negli anni successivi, quelli dello studio matto e disperato, ho sempre adorato accompagnare i miei genitori nei musei e nelle gallerie, interessandomi senza distinzione tanto all’arte antica che a quella moderna sino a quella contemporanea.

Il mio gusto con il tempo si è affinato ed ha trovato la sua strada, senza mai dimenticare gli archetipi dei grandi del passato.

Il mio contatto poi si è fatto via via più pratico, non a caso, negli studi post-universitari di giurisprudenza e d’arte, si è andato via via specializzando proprio sulla tutela dell’arte e dei diritti ad essa connessi.

Ma uno spazio particolarmente importante per la comprensione dell’arte contemporanea, nella sua valenza più pubblica di condivisione e fruizione dello spazio artistico la devo a mio suocero ed a mio marito che mi hanno fatto scoprire l’essenza dell’arte povera e dei suoi protagonisti.

Come nasce l’idea di realizzare una residenza d’artista e in cosa consiste? 

L’idea di residenza d’artista nasce prima della mia nascita, si è proprio così anche se detta così sembra impossibile.

Mi spiego meglio.

L’idea nasce dal connubio tra mio marito e me, dalle nostre originarie famiglie di mecenati e collezionisti.

E proprio su questa idea è nata, nel 1996, quando ci fidanziamo la decisione di non farci mai regali preziosi o di marca ma di regalarci solo opere d’arte, perfino delle musiche commissionate ed ispirate su di noi.

Risultato non sono stata una donna viziata ricoperta di gioielli, direi proprio di no e ne vado particolarmente fiera.

Eravamo giovani e ci divertivamo ad intrufolarsi negli atelier per conoscere gli artisti e condividere il loro percorso artistico.

Il mio occhio è stato sempre quello dell’artista, del filosofo e del critico allo stesso tempo, invece quello di mio marito dello stupore, dell’esteta e della sensazione.

Entrambi però siamo sempre stati uniti nella condivisione di un’estetica dell’arte che potesse essere condivisa nella nostra piccola collezione di arte contemporanea che via via andava crescendo.

Sono passati quasi trent’anni e essendo entrambi figli di collezionisti e discendenti di collezionisti, nel 1999, abbiamo forgiato il nostro motto “Siamo collezionisti di arte contemporanea nella contemporaneità dell’arte” volendo mettere in risalto la funzione che il collezionista e la committenza hanno avuto nel passato e dovrebbe avere ancora oggi, traducendosi così in una scelta consapevole.

L’Italia ha avuto tanti mecenati, non sempre e solo regnanti o Papi ma persone che credevano profondamente nella carica comunicativa dell’arte come mezzo di comunicazione della storia e dei canoni estetici di un’epoca, dai famosi banchieri fiorentini ai più recenti grandi collezionisti da Giorgio Franchetti ad Annibale Berlingieri sino a Francesca e Massimo Valsecchi e le Fondazioni della Moda e bancarie sempre più sensibili al collezionismo.

I nostri avi, come altri celeberrimi come i Doria, i Colonna, gli Stuart, gli Asburgo, gli Hohenzollern, i Borbone e tanti altri furono committenti e collezionisti di artisti come il Tiziano, Rubens, Tintoretto, Palma il Giovane, e altri più recentemente di Dalì, Picasso, De Chirico, Balla, Morandi, Cadorin, Ceroli, Schifano, Cascella, Matta e tanti altri nell’epoca stessa in cui questi artisti hanno vissuto.

Abbiamo così maturato molto preso, da giovanissimi, l’idea di condividere la crescita di un artista che ci ha colpito per la sua arte ed il messaggio della sua ricerca artistica offrendogli la possibilità di vivere un’esperienza immersiva a casa nostra, nella nostra famiglia con Francesco, Carlo, Maria Vittoria, i nostri figli, ed io senza dimenticare la community di amici che, come un cenacolo moderno di questo nuovo millennio, amiamo chiamare a casa. Organizziamo solitamente tre residenze d’artista l’anno tra Venezia, Palermo e la Sardegna, e così la nostra famiglia via via si fa sempre più grande.

Gli offriamo alloggio ed un spazio atelier dove lavorare ed organizzare una esposizione a cui invitiamo tutti i nostri amici, dandogli la possibilità di vivere un esperienza immersiva unica fatta di rapporti umani concreti e di conoscenze ed opportunità. Il risultato è che poi entrano in famiglia e non vogliono più partire e noi non facciamo proprio nulla per farli andare via perché li sentiamo ormai parte di noi, della nostra storia e del nostro piccolo vissuto.

Come scegliete gli artisti da coinvolgere nella residenza d’artista? 

Non ci sono regole da seguire, siamo molto sregolati in questo, ci lasciamo molto trascinare dalla apparente casualità degli eventi.

Viaggiando molto per lavoro ci capita di incrociare spesso giovani e più noti artisti e da lì nasce la prima fiamma e poi la chiamata, che parte dalla nostra Fondazione di famiglia.

Ovviamente frequentiamo le grandi esposizioni internazionali dalla Biennale di Venezia, la più grande enciclopedia vivente al mondo d’arte vero patrimonio dell’umanità, poi Documenta, Art Basel, Artissima, Mi ART, la Fiera di Bologna e tante altre.

Non ultima la BIAS – la prima biennale di arte contemporanea internazionale Sacra che abbiamo creato nel 2009 ed aperto al pubblico nel 2016 tra Venezia e Palermo.

Ma giriamo molto anche le gallerie d’arte in Italia ed all’estero che, più di chiunque altro, sanno stanare i nuovi talenti e credendoci, possono valorizzarli e farli emergere dalla solitudine dei loro atelier.

A gennaio 2024 abbiamo in calendario la residenza del neo spazialista David Berkovitz, artista unico nel panorama italiano quando parliamo di questa corrente, intuitivo, non banale che siamo convinti possa avere un ottimo futuro nel Mondo dell’arte, proprio perchè non banale nel suo associare un eccellente manualità a un pensiero profondo , binomio non facile da trovare di questi tempi.

Ma ascoltiamo molto anche i nostri giovani figli, il nostro futuro.

A loro ed ai loro amici diamo molto spazio, sino a spingersi anche nell’affidargli la curatela o la gestione degli eventi in mostra.

E’ un modo per restare sempre aderenti alla realtà e non fossilizzarci in una visione antistorica e stagnante dell’arte semplicemente perché i codici di comunicazione possono e sono cambiati.

Il fatto che non capiamo al volo un artista non vuol dire che non vale, ma che forse abbiamo bisogno dell’occhio più giovane capace di cogliere subito la forza ed il potere del messaggio e della dialettica di un artista, troppo in anticipo sui tempi.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso? 

Quando scoprii un bozzetto dell’artista Cileno, Roberto Sebastian Antonio Matta Echaurrren, dal nome “bucolico rotondo”, ispirata a Porto Rotondo in una Sardegna tutta ancora a scoprire.

Chiusi gli occhi e mi immaginai questo luogo nel 1960 quando come un Eden su terra il suo porto, le sue insenature davano i natali alla Afrodite della costa gallurese, Porto Rotondo.

La Venere di Botticelli e Afrodite, con tante piante in fiore odoravano di ginepro e mirto.

E poi quando scoprii che dentro la Statua della Libertà era possibile entrarci e che era fatta di lamiere, compresi in un attimo che la libertà nasce dal di dentro, da dentro di noi prima ancora che dalle barriere che ci vengono messe per cultura e conformismo.

Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti? 

Incontrerei volentieri tre artisti l’anonimo della Venere Lilibetana, conservata nel Museo Lilibeo di Marsala, il Caravaggio ed, infine, Vasilij Kandinsky.

Al primo gli chiederei “Oggi la donna è spesso vittima di violenza e aggressione fisica e verbale.

Dalla maestria e dalla delicatezza della tua opera ho l’impressione che la donna nella tua epoca fosse uno dei più grandi miracoli della vita e nella sua nudità poteva solo essere ammirata ed immortalata come sei stato capace tu.

Dimmi se ho ragione o no?

Al secondo chiederei di ritrarmi senza indugio, adoro la sua luce e la forza della vita che riesce a mettere nelle vene e nei tratti dei personaggi.

Al terzo gli chiederei di raccontarmi la voce dei colori, i suoni di ogni pigmento.

Quanto conta la comunicazione? 

Conta moltissimo, forse anche troppo oggi.

Molti artisti validissimi non escono dall’oblio del loro atelier perché non hanno un ufficio stampa o perché non destinato le loro piccole economie alla comunicazione.

Le pagine di giornale sono sempre più piene di artisti che comprano quelle stesse pagine.

E così, ai più piccoli, non resta che utilizzare i canali social, appiattendo tutto in modo sempre più confusionale e macabro.

È assurdo, non esisti se non hai un profilo social o se non hai un gallerista o un collezionista che finanzia la tua immagine.

Non mi fraintendere, un bravo artista può giustamente comprare uno spazio per pubblicizzare la sua arte ma non deve mai dimenticarsi di non prescindere dalla sua arte e dalla sua evoluzione e ricerca artistica.

Credo che dobbiamo veramente riflettere su questo.

L’intera comunità degli operatori dell’arte deve attuare una sana autocritica.

La crisi che ha colpito l’economia della stampa non può compromettere il valore sostanziale di tanti artisti sui quali una sana stampa indipendente, anche semplicemente squadra di volontariato, deve comunque e sempre dedicarsi, almeno in una parte equa della sua professione.

Oggi consiglieresti l’acquisto di un emergente come investimento? 

Si può essere un grande investimento e poi è veramente una bellissima sensazione vedere che un artista su cui si è creduto, si afferma e viene esposto in musei e collezioni importanti ed inizia a girare il mondo.

E’ un po’ come se una parte di noi girasse con le sue opere.

Cos’è per te l’arte? 

Tutto, pensa che dalle mie ricette in cucina come nel giardino pensile della cavana della mia barca a Venezia come nelle mie memorie di diritto l’arte è il mio principale ingrediente, indissolubile ed un unicum con la mia esistenza

Grazie per il tempo a noi dedicato

Paolo Artae Muse

Le immagini fotografiche sono a cura di Luca De Nardo scattate per Art Glamour Magazine e gentilmente a noi concesse.

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