Intervista a Luigi Caiazza, Patron della Mercanteria, a cura di Andrea Grieco.

Luigi Caiazza
Luigi Caiazza

Davvero impossibile, fortunatamente, definire una volta per tutte il concetto di arte tout-court; non c’è definizione critica che possa tenere ad libitum,  d’accordo, ma se si fosse chiamati a scegliere tra le miriadi di speculazioni in merito il concetto “brut” formulato da Jean Debuffet risulterebbe oggi tra quelli ancora plausibili e carichi di suggestioni.  

Lo stesso aggettivo che si trova sulle bottiglie di bollicine che danno allegria, infatti, sta ad indicare la minore aggiunta di ulteriori lieviti forniti alla seconda fermentazione del vino per aumentarne  il tenore zuccherino. In sostanza meno alterato, più naturale.

Ecco, in arte, per Debuffet, l’adulterazione consisteva nei preconcetti estetici e l’espressione era tanto più valida quanto più spontanea e priva di artificiosità e accademicità; ecco perché i visionari, i folli, i bambini et similia potevano farsi portatori della vera fiamma creativa.

Per farne esperienza, per esempio, non è difficile passeggiando per le strade del centro storico di Ostuni, imbattersi nella bottega di Luigi Caiazza, La Mercanteria, un luogo la cui atmosfera calda e incantevole lascia palesare l’estro e la professionalità di chi ha esercitato una pratica estetica spuria, fatta di canali eterodossi o poco esplorati.

Figura piacevole e raffinata, vivace e estroversa, Caiazza è una creatura chimerica perché coniuga in sé l’animo del collezionista, dell’artigiano, le competenze dell’interior designer  e del restauratore.

È stato quindi particolarmente intrigante sentire dalla viva voce di Luigi parte della sua storia e del suo percorso formativo.

Voglio assolutamente iniziare col farti una domanda bizzarra: ho visto tra le cose che esponi 3 enormi sculture che riproducono palloncini gonfiabili che mi hanno riportato alla mente Jeff Koons.

Dove trovi queste meraviglie?

I palloncini bianchi di vetroresina li ho trovati in un mercato che si svolge regolarmente a Ostuni la seconda domenica del mese; appena li ho visti sono tornato bambino, non ho resistito e non  ho potuto fare a meno di prenderli. Infatti li ho comprati solo ed esclusivamente per me, non per venderli.

In merito alla loro origine e provenienza non so ancora niente, ma parte del gusto nel fare questo lavoro sta anche in questo: fare ricerca e, a volte, restare nel dubbio e nel mistero di oggetti che ti conquistano e di cui non è dato sapere di più se non che esercitano su di noi un vero e proprio rapimento.

Nel tuo atelier si percepisce immediatamente un gusto particolare nell’accostare gli oggetti apparentemente più improbabili, come sei giunto a questa capacità non proprio comune?

Non saprei dirlo con esattezza, di certo tutto ciò in cui consiste il mio lavoro è frutto di una combinazione di un’innata passione e le esperienze accumulate nel tempo tramite le diverse professioni che ho svolto.

Cominciai infatti  nella metà degli anni Ottanta gestendo un negozio a Roma, chiamato Taber vetularia, in cui offrivo ai miei clienti manufatti   prevalentemente di stile liberty, ma non mancavano già allora proposte eccentriche che andavano dai gioielli usati di collezioni di nobil donne decadute ad oggetti di natura Pop; successivamente ho appreso da artigiani padovani l’arte del restauro e, dopo la caduta del muro di Berlino, partii da Roma per iniziare l’attività di antiquario, facendo aste e fiere in giro per l’Europa, principalmente in Francia, Inghilterra e Est Europa.

Esperienze che mi hanno procurato un background di cui oggi riconosco l’importanza e di cui faccio tesoro.

Se tu dovessi dare un nome e un senso particolare al tuo stile?

Potrà sembrare presuntuoso e riduttivo assieme, ma credo che il termine più adeguato per definire il carattere che, come tu affermi, sottende il mio lavoro sia quello di “arte povera”: legno, pietra e ferro, sui quali per di più è scorso già il lavoro del tempo e la traccia dell’utilizzo, restano di fatto i materiali fondamentali dei manufatti che propongo.

Tra l’altro, indipendentemente dalle definizioni, in circa quarant’anni di attività posso dire che proprio questo genere di cui mi occupo precipuamente non ha mai subito, nel corso del tempo, flessioni nel gusto delle persone; si sono susseguite mode e stili, ma la crisi nel settore dell’arte povera non si è mai avvertita.

Penso che ciò abbia un suo significato più recondito e che renda, evidentemente, tali oggetti davvero speciali rispetto ad altri.

Tra l’altro questa fascinazione di cui tu parli non conosce neanche limiti di applicazioni; so infatti che spesso lo spazio che tu allestisci con tanta cura viene scelto come set per servizi fotografici.

È vero, proprio di recente la statunitense Banana Republic, che ha ambientato in Puglia la campagna per la nuova collezione primavera-estate 2022, ha scelto di realizzare il servizio fotografico per la nuova collezione di abbigliamento anche nel mio locale,

La mercanteria. Il produttore esecutivo italiano che si è preoccupato personalmente della ricerca degli spazi idonei alla loro idea d’immagine è rimasto colpito dall’allestimento che avevo appena concepito e, in definitiva, ha deciso di utilizzarli come location per alcuni scatti di Richard Phibbs coinvolto dall’Agenzia di Produzione Caminante. Aggiungo anche spesso concedo in affitto oggetti d’arredo per film e produzioni che in numero sempre maggiore scelgono questi luoghi come set.

A proposito della Puglia, le tue scelte sono influenzate in qualche maniera dal territorio in cui svolgi la tua attività?

Ogni luogo offre sempre una miriade di sollecitazioni, il Salento è poi una terra straordinariamente ricca di storia e colori, per cui è indubbio che si rischia di rimanere sconcertati e ammaliati dalla molteplicità di occasioni che elargisce con generosità quest’ambiente; la cultura contadina, quella delle numerose civiltà che hanno solcato le coste e l’artigianato locale, per esempio, costituiscono un connubio che è un patrimonio inestimabile di bellezza dal quale attingo per arredare le numerose masserie che costituiscono esse stesse un elemento imprescindibile di queste location.

Raccontaci un aneddoto particolare riguardante l’acquisizione di un oggetto.

Ne potrei narrare davvero tanti, ma uno su tutti può rendere l’idea di quante sorprese e stramberie possono capitare in questo settore.

Quando cercavo in Transilvania particolari oggetti d’arredo, incappai in uno splendido armadio d’epoca e concordai col proprietario uno scambio a dir poco iniquo: il suo splendido mobile in cambio di una cassa di birra.

Ovvio che chi voleva sbarazzarsi di quella meraviglia non ne conoscesse il reale valore, limitandosi a chiedere solo cosa potessi farmene di quello che per lui era soltanto del legno vecchio. Per sviare titubanze risposi che ne avrei fatto legna per il camino.

Allora, evidentemente per sfruttare l’occasione, mi disse che avrei potuto ricevere un favore in più se avessi offerto due anziché una cassa di Ursus.

Non potei dire di no e ci lasciammo con la promessa che sarei passato di lì a qualche giorno a caricare l’armadio.

Vi lascio immaginare come potei sentirmi quando scoprii che la sorpresa che mi era costata la seconda cassa di birra consisteva nell’aver ridotto un capolavoro unico in tanti ciocchi regolari per il camino.

So che ti diletti anche a realizzare mobili di tua inventiva, da cosa ti fai ispirare?

Può capitare anche questo, di solito quando mi giunge un’idea particolare e sento il bisogno di darle forma, ma più spesso accade per accontentare richieste particolari da parte di clienti che hanno spazi notevoli da arredare per i quali occorrono mobili fuori misura. Diciamo che la mia vena creativa è pratica e giocosa assieme e al mio fianco, in queste circostanze, c’è sempre Giovanni Urgese che con la sua lunga pratica di artigiano capace di lavorare tanto il legno quanto il ferro, mi aiuta a concepire manufatti inediti, frutto della sinergia delle nostre visioni e idee.

Se tu dovessi dare la tua definizione di arte?

Questa è la domanda più imbarazzante perché credo sia davvero difficile sintetizzare cosa sia l’arte; per me di sicuro indica un’insieme di armonia, bellezza, gusto, emozioni, fantasia, una certa capacità manuale e sapersi reinventare di volta in volta.

Un po’ come nella vita in fondo.

                                                                                                                      Andrea Grieco

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Henri Matisse, Mimosa, 1949-51.

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