Gabriele Vegna: il Rock sulla tela.

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I Dipinti di Gabriele Vegna appaiono, agli occhi di osserva, come una colonna sonora indelebile di una generazione.

I volti, i colori, le espressioni di chi la musica l’ha raccontata, vissuta celebrata e continuerà a farlo grazie alle sue tele.

Il senso delle nostre interviste con domande volutamente aperte e quasi mai tecniche è lasciare che sia il protagonista a raccontarsi attraverso le sue risposte:

Il tuo primo contatto con l’arte?

Da ragazzino guardavo spesso i libri d’arte che avevo a casa, mi piacevano molto le donne di Amedeo Modigliani dai colli allungati.

Durante una vacanza in Sicilia, i miei genitori mi portarono a visitare il Duomo di Monreale, rimasi affascinato dal Cristo Pantocratore che decora a mosaico l’abside della basilica.

Quello che mi colpì fu soprattutto lo sguardo che da ogni angolo della chiesa mi fissava in modo severo.

Ogni volta che torno a Palermo vado a visitare il Duomo di Monreale e mi soffermo sempre su quello sguardo.

La sensazione che provo è sempre la stessa.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Sono sincero, quando ho cominciato a vendere i primi quadri.

La prima opera che ho venduto è stato un dipinto sui Rolling Stones, la riproduzione della copertina di Beggars Banquet.

Rappresentarlo è stato davvero impegnativo, sia per la complessità del soggetto che per le dimensioni (m.2×1), ma sono stato gratificato, il quadro fu acquistato da un gallerista per una fondazione.

Con la finalizzazione di quel lavoro capii che potevo spingermi oltre, nel creare dipinti ancora più complicati. Comunque ritengo la pittura ancora una passione più che una professione.

Che formazione hai avuto?

Dopo gli studi di grafica pubblicitaria ho iniziato a lavorare in uno studio di architettura come junior designer.

Successivamente ho partecipato come assistente scenografo al festival lirico Opera Barga (Lucca), dove ho contribuito a realizzare l’allestimento delle opere Demetrio e Polibio di Gioacchino Rossini e La Traviata di Giuseppe Verdi.

Nei primi anni ’80 anni ho iniziato a collaborare con alcuni studi fotografici e di pubblicitari, sino ad affermarmi come producer in uno dei principali network di comunicazione internazionali, realizzando molte campagne per note aziende.

La tua prima opera?

Ho iniziato a dipingere casualmente non molti anni fà, avevo bisogno di uno specchio e ne decorai la cornice.

Da allora ho iniziato a dipingere con continuità, prima soggetti geometrici poi la figura umana, in ogni quadro riuscivo sempre di più ad affinare la tecnica.

Il primo dipinto che ho realizzato a soggetto musicale è stata la copertina dell’album dei Beatles Sgt Pepper, di grande dimensione (cm 120×120).

Nel dipinto, fra i circa cinquanta personaggi raffigurati mi sono inserito anch’io con in braccio mia figlia.

Come scegli cosa ritrarre?

I miei quadri sono un omaggio alla musica rock e ai musicisti che con la loro musica  mi hanno sempre accompagnato. Jimi Hendrix, Bob Dylan, Rolling Stones, Jim Morrison, Traffic.

I miei preferiti sono Keith Richards e Frank Zappa. Credo che Richards sia l’icona che meglio rappresenta il rock, con le rughe scolpite da una vita vissuta senza risparmiarsi, le mani deformate dalle migliaia di accordi suonati, il look stravagante e volutamente trascurato.

Frank Zappa, spirito libero dalla mente acuta. Musicista, compositore e scrittore di testi irriverenti.

Nemico del falso moralismo e dell’ipocrisia.

Credo sia stato il musicista che meglio ha saputo sperimentare stili e linguaggi artistici differenti.

La sua musica è una perfetta miscellanea di rock’n’roll, blues, Contemporanea e jazz.

Sono questi I personaggi che preferisco ritrarre che appartengono alla categoria, belli e dannati.

È più importante la tecnica o la creatività?

Sono importanti entrambi, anche se ritengo che la creatività sia alla base di ogni opera d’arte.

Quanto contano per te la luce e il colore?

Ritraggo i personaggi nella maniera più realistica possibile per le mie capacità, cercando di conferire loro più “anima” con l’uso di colori dai toni caldi, in modo da accentuarne il contrasto e i chiaroscuri.

La mia pittura è un interpretativo omaggio alla British Pop Art, in modo particolare quella di Peter Blake, che è considerato il padre di questa corrente artistica .

Per fare arte, bisogna averla studiata?

Non necessariamente, però chi l’ha studiata e ha frequentato l’accademia di belle arti parte avvantaggiato, rispetto a un autodidatta come me.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso?

Anni fà fui ricevuto da un gallerista.

Cercando di togliere la plastica dal quadro che avevo imballato sin troppo bene, con un brusco movimento feci sbattere lo spigolo della tela sulla testa del gallerista.

Il poveretto, dopo un grido di dolore e una imprecazione si accorse che si era ferito.

Costernato non sapevo più come scusarmi.

Naturalmente mi giocai in malo modo la possibilità di esporre in quella galleria.

Da allora quando devo trasportare un quadro limito il più possibile l’imballo e mi tengo a debita distanza dall’interlocutore.

Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?

Mi piacerebbe incontrare Andrea Mantegna, andare nella sua bottega per vederlo lavorare al Cristo morto o al San Sebastiano.

Ritengo questi due dipinti fra più belli del Rinascimento, senza nulla togliere a tutte le opere degli altri geni di quel periodo.

Cos’è per te l’arte?

La pittura nasce dalla voglia di mettermi in gioco quotidianamente.

E’ una sfida con me stesso per provare a dipingere dei soggetti sempre più complicati. Ogni volta che inizio un nuovo quadro, mi domando sempre se sarò in grado di realizzarlo.

Cosa chiedi a un Gallerista?

A un gallerista chiedo, oltre la serietà e professionalità, di credere nell’artista e promuoverlo non solo per un ricavo economico.

Spesso c’è la cattiva abitudine di chiedere soldi agli artisti alle prime armi, per esporre i propri lavori.

La maggior parte di queste “mostre” a pagamento servono solo per spillare soldi e non portano nulla di concreto.

So di alcuni galleristi che chiedono come fee sino 80% sulle opere vendute 

Mi ritengo fortunato, i galleristi che ho conosciuto non sono fra le categorie descritte.

Grazie per la piacevolissima chiacchierata

Irene Zenarolla

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