Mjriam Bon: da progetto fotografico contro la violenza sulle Donne a Libro “I Muri del Silenzio”.

I Muri del Silenzio
I Muri del Silenzio

Nata a Venezia ,a 16 anni si trasferisce a Milano dove sfila per molti nomi della moda in Italia e all’estero, ma sempre con in valigia la sua  inseparabile macchina fotografica.

Gli ultimi anni da Modella li dedica al mondo delle “Curvy”, ed è proprio questa esperienza che cambia totalmente la sua percezione della moda e degli stereotipi.

Da quel momento cresce forte in lei il desiderio di utilizzare la fotografia anche per fare del bene. Da qui  nasce anche il  il main concept di “I Muri del Silenzio”, progetto fotografico creato con Giusy Versace ,contro la violenza sulle Donne e Violenza domestica, un dramma che nel 2020 sembra non trovare soluzione.

Ho fatto qualche domanda a Mjriam Bon  per comprendere a pieno il progetto :

La prima domanda che ti pongo è banale e anche scontata: come è nata l’idea “I muri del silenzio”?

L’idea è nata qualche anno fa quasi per caso. Nei miei ritratti cerco sempre di mettere le persone a proprio agio affinché possano sentirsi libere di esprimersi facendomi vedere un lato del loro carattere più nascosto. Cerco di entrare in empatia con loro e di farmi regalare un’emozione. Per questo chiedevo spesso di farmi delle espressioni diverse, tra queste non vedo, non sento, non parlo.
Quando poi mi sono ritrovata in mano questa serie di scatti, mi sono resa conto dell’incredibile forza che avevano queste tre semplici espressioni. Ho sentito che si potevano legare ad un progetto sociale ma soprattutto che dovevano essere associate al concetto di omertà.

In questo viaggio non sei stata sola, in molti ti hanno appoggiata. Cosa significa questo per un’artista?

Ho avuto una grande fortuna. un’amica, Giusy Versace, che ha aperto il mio cassetto dei desideri e l’ha realizzato. Lei, oltre ad essere una guerriera, è una grande donna piena di energia e di risorse, sempre pronta ad aiutare gli altri.

Attraverso il mio progetto non ha aiutato solo me a veicolare un messaggio importante, ma ha dato speranza a tutte quelle donne che vivono nella paura e nella solitudine del loro dramma. La speranza di avere un aiuto concreto.

Nel tuo libro hai immortalato tre generazioni differenti. Spiega a coloro che ci leggeranno il messaggio che si cela dietro questa scelta.

Fotografare una nonna, una madre ed una figlia è stata per me un’esperienza incredibile. Madre e figlia mi hanno raccontato la loro esperienza, vittime entrambe di relazioni sbagliate con uomini violenti…credo che il loro esempio possa essere di aiuto a molte altre donne e soprattutto credo serva a far capire ai genitori che devono insegnare ai figli il concetto di rispetto e uguaglianza.
Mi piacerebbe molto arrivare alle scuole per poter sensibilizzare i bimbi alla tematica. Credo sia importante insegnare il rispetto per il prossimo e quello che significa violenza, fin da piccoli, in questo modo si potrebbero evitare anche bullismo e altre forme di discriminazione fisica e verbale

“ I Muri del silenzio” è stato presentato il 25 novembre, in realtà la data è solo simbolica in quanto la problematica  andrebbe ricordata tutti i giorni.

Si, non è semplice far capire alle donne che non sono sole e che non devono aver paura di denunciare. Queste giornate dedicate sono molto importanti per sensibilizzare. Altrettanto importante è non fermarsi a quel giorno ma andare avanti e continuare, giorno dopo giorno, a parlarne. Paura e di conseguenza il silenzio.

Chi subisce violenza si sente vulnerabile, questi uomini non solo dicono, ma fanno, punto e basta. La paura scaturisce da una serie di fattori, in primis il sentirsi giudicata, molto spesso anche nel ruolo genitoriale ricoperto. Come può uno scatto raccontare determinate emozioni?

Credo nell’incredibile forza della fotografia per denunciare e sensibilizzare le persone verso tematiche importanti. Per aiutare le persone ad uscire dal tunnel del silenzio uno scatto lo può raccontare come racconta molte altre cose, Molto dipende dalla partecipazione della persona che si ha di fronte , a quanto crede nel progetto ed in questo sono stata molto fortunata. Oltre allo sguardo di chi ha prestato il proprio volto al progetto, ci sono delle frasi o dei pensieri che completano il punto di vista di ognuno di loro sulla violenza.
È un libro da guardare e da leggere. Un libro da sentire.



Esiste anche il coraggio, ovvero superare lo stato di cui ti dicevo poc’anzi.  Le tue foto lo raccontano.

Esiste nella figura di Parvinder Aoulakh, detta Pinky.

Mi ero immaginata la chiusura del libro con lei con uno sguardo dritto alla telecamera e quindi diretto a tutti quelli che avrebbero finito di sfogliare il libro. Questo perché lei il coraggio di parlare l’ha trovato, denunciando chi ha cercato di toglierle la vita e battendosi al fianco di altre donne vittime di violenza. I centri antiviolenza sono un supporto fondamentale per queste donne. Vengono accolte e trovano tutti gli strumenti necessari per tornare a nuova vita.

Si. I centri antiviolenza, i numeri gratuiti e operativi 24h su 24, le farmacie… sono tutti strumenti utili e necessari che contribuiscono ad un primo aiuto a chi si sente in pericolo.

Ci devono poi essere le istituzioni, la polizia, i carabinieri, tutto deve garantire la sicurezza della vittima e della famiglia della vittima una volta che scatta la denuncia.
Tutelare le donne che chiedono aiuto alle forze dell’ordine subito, non quando’ è troppo tardi.

Attraverso Mjriam, la fotografia diviene un mezzo per abbattere un problema di natura culturale. Anzi, preferisco parlare di te come strumento. Quali sensazioni ti hanno attraversato?

Sono molte le emozioni che provo ogni volta che si tocca l’argomento. Dallo sgomento e incredulità di fronte alla violenza sia verbale che fisica, alla frustrazione di non riuscire a comprendere fino in fondo.. mi auguro che questo progetto possa aiutarmi, nel mio piccolo, a dare davvero una mano a chi soffre.

Per portare avanti un progetto di tale entità suppongo elemento essenziale sia l’empatia.
L’empatia è fondamentale ma non è una cosa che si può studiare… o ce l’hai o non ce l’hai. Fingere un interessamento o confidenza sarebbe offensivo in primis verso chi hai di fronte ed evidentemente anche verso se stessi. Hai immortalato volti noti, ma anche gente qualunque.

Se la presenza del personaggio conosciuto ha uno scopo, l’assenza di notorietà racconta una storia. Hai voglia di entrare nel merito?
Devo dire che in entrambi i casi mi sono state raccontate delle storie, la notorietà non toglie il rischio di cadere nella trappola della violenza. Anzi, spesso donne dello spettacolo sono state vittime di compagni violenti sia fisicamente che psicologicamente.
Abbiamo tutti una storia da raccontare, nostra personale o di un’amica, di una conoscente, di un parente. Purtroppo la violenza è un male che si consuma ogni giorno. per questo dobbiamo ricordarci sempre più spesso di non stare zitti di abbattere il muro dell’omertà e di parlare, facendoci a volte anche i fatti degli altri.

Non sempre la stampa affronta il tema violenza sulle donne nel migliore dei modi. Molto spesso utilizza espressioni “raptus di follia”, quando la realtà è bel altra. Oppure, titoli del tipo:” Sedicenne ubriaca fradicia stuprata da un gruppo di coetanei”, spostando l’attenzione dal reato, facendo così sentire colpevole la vittima. Non solo, i media dimenticano un’altra forma di violenza, quella psicologica.
La forza dell’immagine sradica invece tutto ciò, frantuma le parole, riporta alla luce quanto l’oblio ha travolto.


Credo che la stampa sia il male peggiore dei nostri tempi…comunicazioni sbagliate, fuorvianti e spesso lontane dalla realtà dei fatti.
La verità è che parlare di violenza è difficile perché ci siamo abituati.
La violenza è violenza e non ha scusanti da parte dei carnefici ne colpe da parte delle vittime.
La violenza esiste da sempre ma non è mai stata e non sarà mai tollerabile.

Infine, coloro che volessero acquistare il libro, il cui ricavato sarà devoluto, a chi devono rivolgersi?
Scrivete a info@imuridelsilenzio.it

Mara Cozzoli

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