INTERVISTA A STEFANO NARDI a cura di Maria Marchese

STEFANO NARDI
STEFANO NARDI

Stefano Nardi affronta un compito, che coinvolge tratto e colore, per addivenire alla sinossi dell’immagine: essa diviene iconica espressione visiva di condizioni umane profonde.

Attingendo, tra l’altro, dall’intuizione kafkiana, ove fragilità e paure assumono le fattezze dell’insetto, l’autore mantovano indova in quest’ultimo una realtà dura, al limite dell’incubo.

L’artista materializza infatti, nelle proprie manifestazioni figurate, vividi e pulsanti pensieri, la cui energia viene custodita da un elaborato contesto segnico: l’osservatore riesce quindi a percepirne appieno la forza latente.

Una mente scelta altresì lo contraddistingue: la si evince dai testi ironici e pungenti, che lui battezza come “Lezioni” , pubblicati su un quotidiano della sua città” , in cui esprime la propria opinione sui diversi movimenti artistici contemporanei.

Stefano Nardi rappresenta una voce spesso dura e fuori dal coro, che ha fatto del dissenso e della dissertazione analitica e riflessiva una voce unica per affermare il proprio amore per l’arte, quale atto fondamentale e alta forma espressiva.

Il tuo primo contatto con l’arte?

Dall’infanzia.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Molto presto.

La tua prima opera?

Un piccolo acquerello, effettuato all’epoca della prima media: un paesaggio di un giorno ventoso, opera basilare, ora, purtroppo, smarrita.

Per fare arte, bisogna averla studiata?

Non nel senso scolastico.

Come scegli cosa ritrarre?

Tra i soggetti congeniali che prediligo l’attuale indirizzo è per gli insetti e per i personaggi.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso?

Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?

Goya. Nessuna domanda: la sua poetica è così eloquente e significativa…

Quanto conta la comunicazione?

Discretamente.

Che differenza c’è, nella percezione dell’arte, tra Italia e estero?

La cultura (estera) .

Cos’è per te l’arte?

L’atto più importante.

Cosa ti aspetti da un curatore ?

La competenza.

Cosa chiedi ad un Gallerista?

L’interesse a proporre attivamente le opere: non la semplice attesa del cliente, bensì la sollecita offerta ai collezionisti.

In una tua “stagione , deponi la significanza della metamorfosi, eppure molti soggetti cambiano. Perché ne hai scelto quest’ultimo come simbolo di trasformazione ?

Ho sempre avuto interesse per l’entomologia. Leggendo Kafka, poi, ho individuato una connessione metamorfica antropo-insettiforne, che deve essere interpretata in senso psicoanalitico: è la metafora delle ossessioni, che opprimono certi stati d’animo.

Spendi una parte del tuo tempo per realizzare interessanti lezioni, spiegando i vari movimenti artistici, anche meno noti. Ce ne vuoi parlare?

Ho scritto degli articoli in chiave satirica e sarcastica sotto forma di “lezioni” , pubblicate tempo fa su un quotidiano di Mantova. Questi hanno riscosso molti commenti favorevoli su quest’ultimo; ne ricordo uno in particolare, che scrisse il direttore del Museo Diocesano di Mantova: (gli articoli)   “sono divertenti, giustamente indignati, del tutto condivisibili” .

Clikka qui per leggere gli articoli

Per “addivenire al pensiero artistico essenziale” , apice della tua ricerca, che processo affronti?

Lo studio della fasi compositive dell’opera, accompagnato da una serie di bozzetti preparatori e prove ripetute più volte, fino a conseguire “il segno essenziale” e i significati profondi.

Nelle opere imprimi un “cauto dinamismo” e ciò si evince, chiaramente, nella risultanza: per arrivare a ciò occorrono studi pregressi o intuizione oppure entrambi?

Entrambi: le mie composizioni sono il luogo dove pulsa l’energia, dove il moto è latente, suggerito, insinuato, ma sul punto di scatenarsi; lo scopo precipuo è di rifuggire dalla staticità, mantenendo l’equilibrio strutturale.

Defigurazione” e “disgregazione” , nelle tue opere, possono essere sinonimi?

No:  destrutturazione è più corretto.

Come vedi l’arte classica?

Con rispetto e interesse: è materia di studio.

Le tue opere hanno spesso un forte impatto: esse nascono dal confronto o dal conflitto?

Dalla fatica e dallo stimolo.

Tra le trame dei testi da te realizzati si evince chiaramente il diniego nei confronti dell’arte, vittima del mero merchandising: secondo te quali sono le condizioni sine qua non per ristabilire una situazione artistica equilibrata?

Più che il diniego direi il rifiuto di certa sedicente arte contemporanea.

Necessita maggiore onestà e competenza da parte dei critici, che si prospettano in modo fraudolento e esibizionistico.

Artista e fruitore: ci parli del rapporto che vorresti stabilire con quest’ultimo?

Vorrei si creasse un rapporto d’amicizia.

“Icastico” … definirei così il tuo stile. C’è spazio nelle tue dissertazioni artistiche per la “morbidezza” ?

No. Il mio lavoro è stato definito “duro” .

Come traduci la “leggerezza” ?

Nel mio caso è un “concetto”  improprio: è un termine infatti poco adatto ad un lavoro pesante e impegnativo.

Grazie Stefano per il tempo a noi dedicato

Maria Marchese

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