Cesare Orler: Arte nel DNA.

cesare orler
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Legato al Mondo dell’arte da 3 generazioni, ha creato il format televisivo “Cesare’s Corner” dedicato alla divulgazione dell’arte contemporanea su OrlerTV, abbiamo fatto qualche domanda a Cesare Orler per conoscerlo meglio.

Il tuo primo contatto con l’arte?

Sono figlio di galleristi, mio padre è a sua volta figlio di un gallerista che ha fondato la Galleria Orler nel 1958, quindi io faccio parte ormai della terza generazione. Nonostante questo, siamo in pochi ad andare avanti su questa strada. Siamo 15 cugini e per ora soltanto in due stiamo seguendo le orme dei nostri genitori. Se cerco di ricordare a un primo contatto non mi viene in mente nulla, fin da bambino giocavo sulle pile di tappeti in galleria; quando avevo 6 anni, mio nonno mi dava dei piccoli quadri in mano e mi faceva percorrere il corridoio tra le file di sedie durante le aste per mostrare alla gente il dipinto; ho sempre visto pittori e artisti di ogni tipo venire a pranzo e cena a casa e da quando ne ho memoria mio padre mi ha sempre portato per mostre. L’unica cosa di cui sono certo è che sono nato per fare questo lavoro e da quel che mi dicono mi esce discretamente bene.

Che formazione hai avuto?

Ho fatto un liceo scientifico e può sembrare un controsenso rispetto a quanto detto ma quando si finiscono le medie non si ha la maturità per scegliere cosa fare della propria vita nei successivi 5 anni. Così mi sono condizionare dai compagni di classe che andavano tutti al liceo scientifico e io ho fatto lo stesso. Anche se ho fatto tanta fatica in matematica e fisica mi è servito a inquadrarmi, ad affrontare ogni ostacolo in modo più pragmatico e senza perdere tempo o girarci intorno. Appena finito il liceo non ho avuto dubbi su cosa scegliere e mi sono iscritto all’università di Venezia (Ca’ Foscari) per studiare beni culturali. Ho terminato la laurea triennale e ora sto per terminare la laurea magistrale in Storia dell’Arte Contemporanea.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

È sempre stata la mia passione e nel tempo libero ero perennemente in giro per mostre. A 18 anni, appena ottenuta la patente, ho iniziato a spostarmi in autonomia per lunghe tratte e ho potuto vedere moltissimo. Devo anche ringraziare i miei genitori perché ho avuto la fortuna di viaggiare molto e a 24 anni posso dire di aver visto almeno tre quarti dei principali musei d’arte al mondo. Da qui a convincermi che potevo farlo di professione non è stato immediato e mi ricordo bene quando mi si sono chiarite le idee. Dovevo fare lo stage universitario e mio padre aveva il contatto di Lorella Pagnucco Salvemini, la direttrice di Arteinworld, così l’ha chiamata per sentire se era possibile fare il tirocinio nella sua redazione (essendo figlio di un gallerista non sarebbe stato il massimo andare a farlo da un concorrente, né per mio padre, né per la nostra azienda, né per me stesso).

Un paio di giorni dopo la direttrice mi chiese di scrivere un articolo di 750 battute spazi inclusi su una mostra. Era il mio primo articolo e mi ricordo che volevo fare bella figura quindi avevo riflettuto su ognuna di quelle 750 battute. Una volta letto la direttrice mi disse che era stato scritto benissimo e un paio di mesi più tardi ero in redazione a lavorare da vicino a un numero. Lorella mi ha insegnato tantissimo e dopo oltre 3 anni continuo a collaborare con lei sulla nuova rivista AW Artmag. È allora che mi sono reso conto che quello era senza dubbio il mio mondo. Circa un mese e mezzo dopo Giovanni Faccenda mi ha chiesto di curare con lui la mostra di Luca Alinari e quella è stata la mia prima mostra, successivamente Giovanni ha iniziato a chiamarmi in diretta con lui ogni venerdì 5-10 minuti per raccontare le mostre che avevo visto durante la settimana e quello che all’inizio sembrava un gioco è diventato, a distanza di quasi tre anni un lavoro.

Adesso conduco personalmente una trasmissione settimanale di 40-50 minuti che va in onda ogni settimana 9 volte su 3 emittenti tv diverse sia sul digitale che su sky: il Cesare’s Corner.

Alla domanda: “qual è il tuo lavoro?” non so ancora rispondere. Un po’ critico, un po’ gallerista, un po’ curatore, un po’ giornalista, un po’ divulgatore-presentatore televisivo. Per ora faccio tutto quello che ho il tempo di fare per provare tutto e farmi un’idea del ruolo più adatto a me.

Come scegli i progetti o gli artisti da seguire?

Sono sempre aperto a suggerimenti e segnalazioni e diversi artisti li ho conosciuti con il passaparola di colleghi critici e altri galleristi. Poi li seleziono sulla base del mio gusto e della profondità artistica che manifestano. Non mi sono mai limitato a un solo stile. Ho collaborato con fotografi, pittori di ogni tipo, scultori etc. Non mi interessa né la loro età, né il loro sesso. Anzi, ad essere sincero seguo in proporzione molti più artisti over 60 che non della mia età o poco più. Probabilmente perché mi riesco a relazionare in un certo modo con loro, non mi avvertono come un critico che vuole imporsi con le sue idee, ma come un nipote che vuole confrontarsi. E devo ammettere che mi sono trovato meglio con queste persone perché sono molto più disponibili di tanti giovani che pensano invece di spaccare il mondo e si riempiono la testa di illusioni e progetti chimerici.

L’unico limite che mi pongo è la provenienza geografica. Non seguo gli artisti tanto per scrivere un testo o curare una mostra. Quando mi lego a loro, lo faccio per lunghi periodi e il rapporto diventa di amicizia. Con quasi tutti vado a pranzo e a cena ogni volta che passo dalle loro parti e resto aggiornato su come evolvono le loro opere. Sanno che possono chiamarmi quando vogliono e a qualunque ora per propormi tutte le idee che hanno in mente. Chiaramente, per seguirli in questa maniera ho bisogno di vederli con una certa frequenza e questo mi è impossibile con gli artisti che abitano a migliaia di chilometri di distanza. Ogni mese giro tutto il nord e centro Italia per incontrarli. Non riuscirei a raggiungere anche la Sardegna, o la Puglia o la Sicilia, quindi gli unici limiti me li impone la distanza da percorrere.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso?

Ce ne sarebbe un numero straordinario. Te ne vorrei raccontare due.

Il primo risale a quando avevo circa 14 anni. Mio padre era uscito per consegnare un’opera a un cliente e mi aveva lasciato a seguire da solo la galleria per qualche ora. A un certo punto entra una signora distinta che si fa avanti e si ferma a guardare un’opera di Alberto Biasi che avevo al centro della parete lunga. Le chiedo se avesse bisogno di informazioni e lei mi risponde chiedendomi a sua volta “tratta opere del gruppo N e del gruppo T?”. Io le elenco gli artisti di cui ho le opere e vedo che lei fa un’espressione alquanto risentita e poi mi chiede “Scusa non tratti Marina Apollonio?”.

A 14 anni non avevo ancora le conoscenze che ho adesso dopo una laurea e conoscevo solo gli artisti che trattavo perché potevo vederli quotidianamente e metabolizzarli. Le rispondo una cosa del tipo “Non conosco quest’artista e se non la trattiamo significa che non è importante”.

Ebbene, la sottoscritta era proprio Marina Apollonio e non ti riesco a raccontare l’espressione e il risentimento che aveva nei miei confronti dopo questa frase. Mi ricordo che uscì dalla galleria praticamente subito e non l’ho più rivista.

Un altro aneddoto risale a qualche anno dopo quando abbiamo organizzato nella nostra sede di Mestre (VE) la mostra personale di Dennis Oppenheim.

Dennis Oppenheim.

Io ero al bancone a consegnare i sacchetti con i cataloghi ai clienti invitati alla mostra quando ad un certo punto, durante la presentazione della mostra, urto una scultura che si trovava sull’angolo del bancone.

La scultura frana sul pavimento facendo un botto che ha fatto girare tutti verso di me. Mi ricordo che sono diventato rosso-viola-blu in viso e sono scappato in bagno per starmene nascosto fino alla fine della presentazione dalla vergogna.

Alla fine, siamo riusciti, con il maestro, a riparare e restaurare l’opera. Soltanto alcuni anni dopo ho ritrovato opere molto simili a quella che avevo rotto in diversi musei in giro per il mondo e pure una pubblicata su un importante libro di storia dell’arte. Posso dire che nessuno di questi due incontri sia avvenuto con sorrisi e strette di mano, ma almeno li ho conosciuti e quindi sorrido lo stesso.

Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?

Mi sono laureato in triennale con una tesi su Tancredi Parmeggiani e gran parte dei soldi che ho guadagnato tra mostre e cataloghi, se non la quasi totalità, li ho spesi per comprare opere di questo artista che adoro.

Vorrei tanto incontrarlo e bermi uno spritz a Venezia con lui, magari nello studio che ha avuto per alcuni anni nel seminterrato della casa di Peggy Guggenheim. Sicuramente, se potesse avere qualche effetto, gli chiederei di non suicidarsi e continuare a dipingere i capolavori che stava realizzando, anche se mi rendo conto che sarebbe una richiesta egoistica.

Quanto conta la comunicazione?

Mi sembra scontato rispondere: moltissimo. Anzi, conta più delle opere stesse (purtroppo). Le opere d’arte vengono realizzate per essere viste e non solo da chi le esegue.

Quindi il genio che dipinge e tiene le opere nel sottoscala non può offrire nulla al resto del mondo. comunicare quello che si fa è essenziale e ora i social aiutano a farlo gratuitamente e facilmente. Quindi quando vedo artisti che non hanno profili social mi chiedo cosa aspettino a farseli. La mia famiglia è nota per le televendite, più che per le gallerie, anche se poi è strano vedere galleristi che hanno una sede sperduta nel nulla chiamarci televenditori, forse non sa che abbiamo anche 4 gallerie aperte tutto l’anno. Comunque, lavorando molto in televisione ci siamo resi conto diversi decenni fa dell’importanza della comunicazione e attualmente siamo gli unici in Italia ad avere un canale h24 365 giorni l’anno. Per farlo abbiamo ridimensionato tutto il resto, ad esempio non facciamo più fiere perché per noi ogni diretta ci fornisce la stessa visibilità di 3 giorni di fiera. Quindi abbiamo sempre optato per la massima visibilità e investito tutto sulla comunicazione.

Oggi consiglieresti l’acquisto di un emergente come investimento?

Mastico questi termini da quando sono nato, eppure la definizione di “emergente” ancora mi sfugge e quando la chiedo mi accorgo che sfugge a tutti. Possiamo definire emergente un artista semplicemente perché è giovane? E poi, a che età corrisponde giovane in arte? Qual è lo step che ti permette di passare da emergente a qualcos’altro?

Piuttosto che usare questi termini che trovano il tempo che trovano, quando sento questa domanda, che tra l’altro è un must, chiedo subito “a quale artista ti riferisci?”. Ogni artista ha bisogno di un discorso a parte e non potrei dare una risposta generale. Collaboro con artisti di oltre 70 anni che non hanno chissà quale biografia, ma realizzano opere di una freschezza disarmante che se potessi esporre alla prossima Biennale farebbero scintille e potrebbero essere scambiate per opere di artisti internazionali under 30.

Personalmente posso consigliare una cosa. Se si spendono sotto i 2/3 mila euro non si stanno investendo soldi. Si stanno comprando opere che piacciono, che magari potrebbero anche salire, perché no, ma credo che non si debba avere alcuna pretesa di ritorno economico. Quando si spendono i 5, gli 8 o i 10 mila euro allora bisogna fermarsi a pensare. E lo dico perché queste sono le cifre in tutte le fiere, da così a cifre maggiori quando ci si sposta in fiere più prestigiose. Ad Art Basel gli emergenti partono da 15 mila + iva, per dire.

Consiglio di rivolgersi a gallerie valide, che fanno questo lavoro da diverso tempo e non a persone che lo fanno da qualche mese o qualche anno e non possono avere alcuna esperienza. Questo è un mondo dove gli artisti sono i primi a dover raggiungere compromessi di ogni tipo e i galleristi pure se vogliono continuare a vendere ai loro clienti. Pertanto, di certo non c’è nulla, ma la storia resta e quella conta. NB. Ho sempre disprezzato i Flippers e per quanto abbia sperimentato profondamente quanto marcio ci sia in questo sistema, continuo a sperare che la gente un giorno possa comprare un’opera esclusivamente perché se ne innamora.

Che differenza c’è tra percezione dell’arte tra Italia e estero?

Ho viaggiato molto e posso dire che per quanto all’estero mediamente ci sia molta più attenzione per l’arte rispetto a quella che vedo in Italia, soprattutto in ambito museale. Comunque non vorrei fare il mio lavoro in nessun altro paese che non sia questo. In Italia abbiamo un consumo di arte che non ho mai visto da nessun’altra parte. Quando vado in giro per consegne vedo case in cui le opere straripano. Opere dentro gli armadi, sotto i letti, dipinti che saturano ogni centimetro di muro. All’estero non ho mai visto una cosa del genere. Si venderanno anche opere più costose, più prestigiose, più tutto. Ma in Italia il collezionismo è decisamente più diffuso. E questo credo sia sintomo di una percezione dell’arte dovuta sia ad un passato che in alcuni casi ci inchioda, sia a un immaginario visivo che ci ha portato a cercare il confronto con l’arte anche all’interno delle mura domestiche.

Che cos’è per te l’arte?

So che in queste risposte vince chi la spara più grossa con frasi del tipo “l’arte è anima e spirito”, “l’arte per me è il sangue che scorre nelle vene”, “l’arte è l’essenza del divino” etc. etc. Sembrerò banale ma per me è l’arte è serenità. Ogni giorno quando mi sveglio e quando vado a letto mi riguardo le opere appese in camera mia e semplicemente sto bene. Mi piace l’idea di alzare la testa da un libro e vedere davanti alla scrivania un dipinto che mi fa stare bene. Niente di più niente di meno, ma per me è tutto.

Per proporre arte bisogna averla studiata?

Per proporla, sì. Per apprezzarla, in parte. Per comprarla, no. Chiunque può circondarsi di arte e stare bene, chiunque può subire il suo fascino, ma per capirne qualcosa bisogna assolutamente aver studiato.

Gombrich diceva “vedi ciò che sai” e trovo che sia una frase verissima. Più conosci e più riesci a vedere in profondità. È come assaggiare un piatto elaborato senza aver mai assaggiato buona parte degli ingredienti. Ti può piacere, ma non sei in grado di capire la bravura dello chef nell’accostare tra loro alcuni ingredienti e nel dosarne altri. Per farlo devi conoscerli e essere allenato a ri-conoscerli, altrimenti godi solo a metà.

Cosa chiedi ad un gallerista?

Lo sono in parte anche io e lo sono i miei genitori e i miei zii. Chiedo agli altri quello che chiedo a me stesso. Massima serietà, zero dubbi sull’autenticità (mi riferisco ai tanti galleristi che trattano opere dubbie e non fanno ulteriori controlli per evitare di avere la certezza della non-autenticità di ciò che vendono), massimo rispetto per i clienti, dai più piccoli ai più grandi (cosa che spesso si dimentica per fare delle classifiche). Posso dire di aver consegnato e venduto opere importantissime a clienti che di arte non capiscono proprio nulla e non hanno neanche la volontà di approfondire, ma soltanto il denaro per permettersi acquisti importanti. Dall’altra parte ho consegnato litografie a poche centinaia di euro a persone che sanno veramente parlare d’arte e conoscono approfonditamente ciò che comprano.

Mi ricordo un cliente che aveva una delle collezioni più eleganti che abbia mai visto. Solo litografie ma tutte incorniciate allo stesso modo; tutte giocate su accostamenti cromatici che andavano dal bianco alle tinte pastellate, tutte appese alla stessa altezza e stessa distanza con la massima cura. Infine chiederai più fair play.

Un anno e mezzo fa sono riuscito a chiudere un accordo che ha dell’incredibile. Creare una trasmissione che andasse in onda su più canali di televendite, sulle emittenti di concorrenti e in Italia non si era mai giunti a un risultato simile da quando esistono le televendite, per questo sono così orgoglioso del Cesare’s Corner. Questo perché quando si fa informazione e si diffonde cultura non dovrebbero esistere nemici, ma solo alleati. Poi ognuno vende quello che vuole, dice quello che pensa e applica le proprie scelte. Ma quando si offre un servizio alla collettività bisognerebbe far fronte comune.

Cosa pensi dell’editoria di settore?

Collaboro da oltre 3 anni con una rivista d’arte e faccio il segnalatore critico per un editore che detiene un’altra rivista d’arte quindi posso dire di aver visto un minimo come funziona. Penso che sempre più ci stiamo spostando verso un’informazione veloce e superficiale.

La gente vuole tutto e subito e questo spesso va in contrasto con la qualità di ciò che si scrive. L’informazione immediata delle riviste online è essenziale per restare aggiornati in tempo reale ma poi non ci si può limitare a quello. Le riviste cartacee hanno modo di sviluppare più a fondo, in più tempo e con più precisione ogni singolo argomento e io le trovo altrettanto essenziali.

Ho l’abbonamento fisso alla maggior parte delle riviste d’arte italiane e preferirò sempre quell’informazione all’online.

Per quanto riguarda i meccanismi che entrano in gioco non posso dire nulla di nuovo. Tanti, tantissimi compromessi e altrettanta diplomazia. L’informazione non potrà mai essere libera nella misura in cui è vincolata a pubblicità, stipendi da pagare, tasse di ogni tipo etc.

A volte si devono accettare artisti mediocri perché pagano bene e tralasciare artisti più validi perché non potrebbero pagare. Ma d’altronde non può essere altrimenti se si vuole tenere in piedi un’attività. La bravura sta nell’accettare i compromessi che servono per andare in stampa e poi utilizzare lo spazio rimasto per fare vera informazione libera. Purtroppo, molte riviste riempiono ogni centimetro della pagina per fare pubblicità a chiunque e tirare su ogni singolo centesimo e non voglio neanche giudicare il risultato finale perché non troverei le parole.

In generale, posso dire che abbiamo un assoluto bisogno dell’editoria di settore perché senza quella non esiste informazione e senza informazione la gente non può avvicinarsi all’arte.

Grazie Cesare

Alessio Musella

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