Con “NELLA TERRA DI CHEN” , Adolfo De Turris sembra abbandonare la certezza segnica e la definizione cromatica, che caratterizza molte delle sue stagioni per approdare ad una metafisica simbolica meno icastica.
Chen raccoglie la sensatezza dell’incertezza e dell’auspicabile cambiamento, nello spazio esperienziale del sogno riflessivo orientale: una fumosa nebbia inebria e custodisce l’individuo, tra le ipotetiche altezze di un Monte Fuji o di una meditazione buddhista.
L’amore per il bello classico, bagaglio indispensabile per l’autore di Montalbano Jonico, sposa la tradizione storico/filosofica delle levantine terre.
Le forme allora si ammorbidiscono, perdendosi tra i “verbi” della natura così come il pentagramma cromatico assume una peculiare e decisa levità.
Adolfo De Turris qui ama l’essenza umana, donandole una salvifica fuga nella rada del “rito contemplativo “
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