Intervista a Max Ferrigno, di Chiara Canali.

Max Ferrigno
Max Ferrigno

Max Ferrigno è un artista newpop nato a Casale Monferrato e noto per fare della commistione tra cinema, iconografie nipponiche ed estetica manga la cifra stilistica delle sue opere.

Nella sua ricerca si mescolano riferimenti alla realtà, rimandi all’estetica della Secessione viennese (Klimt e Von Stuck su tutti) e personaggi reali raffigurati in chiave manga. In corso ora al MEC Museum di Palermo (corso Vittorio Emanuele, 452) c’è la mostra “CamGirl”, a cura di Miliza Rodic, una collezione di tredici opere dove l’artista piemontese, ma palermitano d’adozione, rappresenta Cosplayer super sexy, ammiccanti Pin-up e provocanti Suicide Girls dai grandi occhi lucidi, raffigurate tutte in costume e per la maggior parte con tatuaggi in bella vista sul corpo che fanno riferimento all’iconografia del brand Apple, a cui il museo è dedicato.

Il tuo primo contatto con l’arte?

Da che ne ho memoria ho sempre avuto un’attrazione particolare verso l’arte.

Ho reminiscenza di ammirazione per le opere d’arte già in età da scuola primaria.

Dai racconti di famiglia e dai miei ricordi credo, inoltre, di aver sempre disegnato, attività che molto spesso prediligevo al gioco.

Il fatto di avere questa percezione dell’arte già da bambino credo mi abbia portato a non identificare un particolare momento come primo approccio all’ emozione artistica.

Posso però indentificare nel surrealismo ed in Salvador Dalì la prima grande passione artistica, quel tipo di passione che ti porta a viaggiare per poter vedere dal vivo le sue opere.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Dopo la maturità artistica ho cominciato subito a lavorare con il colore, come scenografo d’interni.

Lavoravo moltissimo per parchi di divertimento in Italia ed all’estero.

Credo che dall’età di 18 anni abbia dedicato al disegno ed alla pittura una media di circa 330 giorni all’anno.

Nel 2011 presento la mia prima collezione di opere, dopo aver abbandonato quasi completamente la scenografia, e da allora ho dedicato ogni singolo giorno della mia vita alla disciplina dell’Arte. Ad oggi 10 anni di studio e di ricerca e circa 330 opere.

A novembre uscirà una monografia, a cura di Laura Di Trapani, che racconterà per intero questo viaggio.

La tua prima opera d’arte?

Credo un disegno di Skeletor e di He-Man fatto all’età di 6 anni circa, lo conservo ancora. Ricorda le opere di Madsaki da Perrotin, impressionante!

Per fare arte bisogna averla studiata?

Si. Sono un Serpeverde dell’Arte.

Credo che l’Arte sia una cosa seria. Sacra.

Non è per tutti. Studio, dedizione, disciplina.

Come scegli cosa ritrarre?

Elaboro ogni opera dopo un processo di studio e di ricerca quotidiana che segue un percorso cominciato 10 anni fa. Anche se ogni collezione segue un concept ben delineato e l’evoluzione stilistica si evolve senza fossilizzarsi su impostazioni scontate, il racconto generale di questo viaggio è ben inteso.

Questo facilita la scelta del soggetto che si demarca in argomenti specifici che trovano bacino di ricerca in cartelle e sottocartelle di immagini che faccio crescere quotidianamente.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso?

Il selfie di Paris Hilton con una mia opera in una galleria milanese.

Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?

Klimt. Per confrontarmi sull’assoluto femminile.

Su come può una donna essere la massima espressione dell’essenza stessa della bellezza.

E con Ernesto Basile per convincerlo a farmi lavorare ad un suo progetto.

Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti?

Di rifare esattamente tutto quello che ho fatto.

Quanto conta la comunicazione?

Molto.

Oggi è fondamentale ed un artista, finché non può permettersi di affidarsi a dei professionisti, purtroppo, deve spendere energie per poter mantenere viva visibilità e relazioni.

Cos’è per te l’arte?

Un concetto sacro con il fine di elevare l’uomo alla bellezza e all’ immortalità. Un percorso che non è detto che debba essere per forza accessibile a tutti e che non per forza debba essere compreso da tutti.

Vivo la mia vita artistica come una dedicazione quotidiana all’Arte. Dedizione, studio e sacrificio.

Cosa ti aspetti da un curatore?

Che sappia raccontare con l’arte della parola e dell’intelletto la poetica dell’artista, perché i sui testi saranno immortali tanto quanto le opere.

Credo che per espletare al meglio questo compito sia sua premura conoscere l’artista fino in fondo, di parlarci frequentemente, di frequentare il suo studio, di ubriacarsi assieme a lui. Di viverlo.

Cosa chiedi ad un Gallerista?

Più o meno lo stesso rapporto che chiederei al curatore.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Continua la mia ricerca sull’ essenza della donna e sullo sviluppo che questo comporta nell’evoluzione delle mie muse.

Completata la nuova collezione di “SchoolGirl”, che presenterò a breve a Milano, inizierò ad elaborare una nuova serie di soggetti sviluppando il concetto di SchoolGirl armate.

Una nuova femme fatale nel mio universo, “cazzuta” come in un film di Tarantino e con il fascino irresistibile di una donna di Klimt.

Chiara Canali

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