Fabrizio Vatta, accademica creatività…

Fabrizio Vatta
Fabrizio Vatta

Chi ha avuto il piacere di visitare il Museo di Picasso di Barcellona, dove buona parte dei dipinti sono stati realizzati dall’artista nella sua prima fase creativa, quella del realismo, del saper raccontare la gente attraverso la pittura, non può non trovare un analogia stilistica nelle opere di Fabrizio Vatta.

La sua capacità tecnica arriva dallo studio e dall’amore incondizionato per l’arte che lo porta ad ammirare i grandi artisti del passato, con uno sguardo al futuro.

I suoi soggetti mutano, dalla perfezione tecnica arrivano ad essere interpretati dall’artista…

Conosciamolo meglio lasciando volentieri a Fabrizio il piacere di raccontarsi rispondendo alle nostre domande:

Il tuo primo contatto con l’arte?

Ero poco più che un bambino quando mio zio, grande appassionato di Arte mi portava a visitare i musei a Firenze.

Ricordo di aver passato mattinate intere agli Uffizi davanti ai dipinti di Raffaello, Masaccio, Botticelli, Leonardo.

Ero affascinato, quasi stregato dalle loro opere, credo di aver provato per la prima volta la sindrome di Stendhal.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Avevo 17 anni quando sono rimasto letteralmente folgorato dal disfacimento della carne di dipinti di Francis Bacon e decisi che sarei diventato pittore.

La tua prima opera?

Non ricordo esattamente quale è stato il primo quadro che ho fatto, sicuramente qualche esercitazione a matita delle sculture di Michelangelo.

All’Accademia delle Belle Arti ricordo di aver realizzato una rivisitazione della crocifissione di Tintoretto.

Per fare arte , bisogna averla studiata?

Credo che senza una solida base attraverso lo studio della storia dell’Arte un artista non riuscirà a costruire un suo percorso di spessore; sicuramente l’aspetto istintivo, gioca una parte importante in un dipinto ma non è sufficiente. In altre arole non credo molto nell’artista autodidatta a parte qualche eccezione, mi viene in mente Antonio Ligabue.

Cosa unisce i tuoi dipinti e la musica ?

La musica è sicuramente una costante che accompagna le mie giornate mentre dipingo. Mi carica, mi dà energia e crea delle vibrazioni magiche.

Ogni mattina appena entro in Atelier la prima cosa che faccio è accendere il mio stereo e ascolto The dark side of the moon. Comincia così bene la mia giornata.

Come scegli cosa ritrarre ?

In genere sedimento nella testa una serie di immagini, a volte raccolgo dal web immagini fotografiche anche banali o riproduzioni fuori registro. A questo punto faccio una selezione, scarto, aggiungo, elaboro le immagini fotografiche che ritengo possano avere un significato e le riproduco sulla tela.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso ?

Ricordo quando il mio primo maestro Luigi Tito mi presentò a Emilio Vedova, con il quale avrei studiato per ben quattro anni all’Accademia di Venezia.

Tito disse a Vedova: “Questo è Fabrizio Vatta, uno dei miei migliori allievi, lo affido a te, ricordati che non è mica un mona… (un cretino).

A volte ricordo questa singolare presentazione con orgoglio e con il sorriso.

Se potessi incontrare un artista del passato , chi e cosa gli chiederesti?

Sicuramente, vorrei incontrare Rembrandt per chiedergli come faceva a tirar fuori quella luce magica e potente dai suoi dipinti.

Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti ?

Se incontrassi il Fabrizio diciottenne lo esorterei a non smettere mai di coltivare i suoi sogni.

Quanto conta la comunicazione ?

La promozione del proprio lavoro attraverso la comunicazione è oggi fondamentale per il successo di un’artista, il problema è trovare i canali giusti.

Che differenza c’è, nella percezione dell’arte tra Italia e estero?

Devo dire che all’estero l’artista gode di una dignità in quanto tale, all’estero è riconosciuta Ia professionalità. In Italia purtroppo non è così, fare arte non è vista come una professione motivo per cui un artista che aspira ad un riconoscimento fugge all’estero: Germania, Stati Uniti e Inghilterra.

Cos’è per te l’arte?

L’arte è un a disciplina per certi versi inutile perché non ha niente di funzionale, non trova alcuna applicazione pratica nella vita di tutti i giorni, ma nel contempo è estremamente necessaria perché se abbiamola pazienza e il coraggio di avvicinarci ad essa ci accorgiamo che la vita diventa più bella.

L’ arte non è per tutti, è una disciplina elitaria, non è democratica.

Cosa ti aspetti da un curatore ?

La figura del curatore si è affacciata da pochi anni nel panorama e nel sistema dell’arte.

Il curatore dovrebbe attraverso il suo fiuto capire in anticipo quali sono gli artisti che possiedono i numeri giusti per emergere.

Un esempio, Achille Bonito Oliva alla fine degli anni ’70 ha avuto l’intuizione di unire un gruppo di giovani talentuosi, studenti dell’Accademia di Belle Arti, fondando il movimento della Transavanguardia; aveva capito che c’era bisogno di un ritorno alla pittura – pittura, dopo troppi anni di sperimentazioni come l’Arte povera, il Minimalismo, il Concettualismo.

Cosa chiedi ad un Gallerista ?

Dal gallerista ci si aspetta che nonostante veda nei dipinti una fonte di grosse somme di denaro per lui, anche una sensibilità di capire e sostenere un artista che abbia grosse potenzialità, al di là delle mode del momento.

Ricordo una conversazione con Carlo Cardazzo, storico gallerista della Galleria il Naviglio di Milano che andai a trovare nella sua sede di Venezia.

Quando gli mostrai i miei lavori dei primi anni ’80 li apprezzò molto e mi diede il consiglio di guardarmi tutti i film di Woody Allen: “Avrei imparato tante cose come la leggerezza, la fantasia e lo scorrere della vita”. Non mi ha fatto nessun contratto come speravo, ma forse le sue parole hanno lasciato il segno.

Quanto contano per te la luce e il colore?

La luce anima quello che era buio attraverso il colore.

La luce delle candele che usavano i pittori del ‘500 e ‘600, la luce della lampadina elettrica, le luci al neon, la luce del sole; in ogni epoca la pittura è illuminata dalla sua luce, il colore che diventa luce, credo sia questo che rende magica la pittura.

Grazie Fabrizio per la piacevolissima chiacchierata

Alessio Musella

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