La creatività narrante di Anna Stella Zucconi.

Anna Stella Zucconi
Anna Stella Zucconi

Anna Stella ha iniziato a disegnare molto presto, da bambina. In casa sua esisteva un senso della cultura evidente, ma è stata l’unica ad appassionarsi all’arte visiva così profondamente.

Sua Madre le ricorda, con un sorriso, che già dall’età di due anni sfogliava libri e riviste in cerca di figure: in casa oggi Anna ha moltissimi cataloghi d’arte di ogni tipo, e la ricerca e il piacere dell’immagine ancora la accompagna.

Non amava andare a scuola e passava il suo tempo in classe a ritrarre i compagni e le maestre.

Era una bambina molto timida e come ogni bambino, molto fantasiosa.

Ha vissuto un’infanzia emotivamente non facile ma comunque fortunata: insieme alla sorella maggiore è stata libera di giocare e passare moltissimo tempo all’aria aperta, nella natura.

Le sono state insegnate cose preziose e valori che oggi la sostengono e la difendono dalla pochezza.

Anna è molto gelosa e protettiva riguardo il suo spazio e il suo tempo; ed è proprio da li che parte la sua esigenza artistica.

Si è creata un mondo dove potersi rifugiare e il disegno è stato quel mezzo per esorcizzare “le cose che non ci piacciono”.

La sua arte è spesso definita “dark”, ma in realtà il motore del suo lavoro è proprio la sua positività, sfatando quel mito che ci vede maggiormente produttivi nei momenti di crisi.

Terminati gli studi in ambito artistico ha iniziato a lavorare come assistente di galleria d’arte, ruolo che tutt’oggi ricopre.

Il suo percorso formativo nelle gallerie, le ha permesso di affinare la sua ricerca estetica e di coltivare il suo grande amore per l’arte, nutrendosi come un spugna del bello, della sperimentazione , dei colori , dei volti , delle tecniche di grandi del passato come del presente, ma non solo, perché ogni artista, emergente o storicizzato che sia, ha qualcosa da trasmettere

Ha avuto la fortuna di collaborare con influenti realtà italiane che le hanno permesso di sviluppare una conoscenza profonda del mondo dell’arte e delle sue dinamiche, dinamiche (interne al sistema) che talvolta hanno raffreddato la sua natura creativa.

Tre anni fa, nel periodo del lockdown del 2020, ha messo da parte i suoi dubbi e ha iniziato concretamente a lavorare della sua arte.

Personalmente era arrivata a un momento di maturità e serenità maggiori rispetto al passato.

Il momento del lockdown è stato per Anna naturalmente riflessivo e onesto: sentiva di dover considerare Ia sua natura ancora più profondamente.

Lasciamo ad Anna il piacere di raccontarsi punto per punto attraverso le risposte alle nostre domande…

Il tuo primo contatto con l’arte?

A livello lavorativo, il mio primo contatto con l’arte è stata la prima esperienza come assistente di galleria per Cardi.

Avevo finito da poco l’Accademia di Belle Arti di Carrara laureandomi in Grafica d’Arte, quando ho ricevuto una proposta che, indubbiamente, tra tanti alti e bassi, è stato l’inizio di una travagliata e passionale relazione con il mondo dell’arte…

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Avendo iniziato a lavorare nel mondo dell’arte come assistente di galleria, non è stato semplice pensarmi professionista in qualità di artista.

Osservare da vicino il lavoro che un artista doveva sostenere mi spaventava.

Ero consapevole di quanto fosse difficile vivere della propria creatività: non solo il talento era in gioco e io non ero ancora in grado di giocare con la mia determinazione, la costanza, il sacrificio, la gestione di ogni aspetto… non solo del processo creativo.

La tua prima opera?

Ricordo una serie di opere.

Lavoravo su piccole tele, opere su carta.

Ho sempre amato la carta come materiale e solo pochi anni fa ho deciso che la tela mi dava più soddisfazione.

Era il periodo dell’accademia, studiavo a Carrara.

Il mio docente dell’epoca – nonché noto artista -, Omar Galliani, ad alcuni studenti dava l’opportunità di esporre.

In quell’occasione si trattava di una fiera d’arte a Reggio Emilia.

Ci fu in seguito una proposta d’acquisto ma ero assolutamente impreparata all’epoca a quel tipo di situazione, non avevo nessun tipo di sicurezza, anzi, ero terrorizzata all’idea che il mio lavoro potesse non piacere.

Per fare arte, bisogna averla studiata?

Per fare arte bisogna amare l’arte.

Poco importa se è una scuola a prepararti.

Puoi studiare e approfondire anche da solo, puoi visitare musei, fondazioni, gallerie, arte urbana… nutrirti senza bisogno di lauree e diplomi.

Anche questa è preparazione.

Tuttavia una formazione accademica ti dà certamente un’opportunità, ti offre del tempo per approfondire e perfezionare la tua passione.

Devo dire che adesso che non frequento più nessun tipo di scuola, rimpiango di non averlo fatto con più convinzione al tempo, quando il mio dovere non era lavorare ma studiare!

Cosa unisce i tuoi dipinti e la musica ?

La musica per me è in assoluto la più alta forma di arte.

Ne ascolto da sempre moltissima, mi documento, cerco come posso di rimanere al passo con le nuove proposte, amo e ringrazio i vecchi dischi, scelgo a seconda del mio stato d’animo la colonna sonora della giornata e sì, del mio momento in studio.

Se il lavoro procede molto bene, ascoltare musica mi esalta!

Raramente alla musica preferisco il silenzio quando lavoro.

Come scegli cosa ritrarre ?

Sono i miei soggetti a scegliere me.

Parto con un’idea, certamente, ma spesso mi capita di vedere un’immagine, un volto, un animale, un colore… e in quel momento inizio seriamente a fantasticare sul prossimo lavoro.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso ?

La mia laurea all’accademia di Belle Arti di Carrara.

Direi da dove tutto è iniziato.

E’ stato un giorno bellissimo.

Non ho mai investito molto nello studio, sono spesso stata distratta e irrequieta come adolescente e post adolescenza.

Ma la mia tesi l’avevo preparata con grande cura. Indagava la connessione tra il lavoro dell’artista concettuale Joseph Beuys e il poliedrico performer Matthew Barney.

Ero l’ultima di tutta l’accademia ad esporre la mia tesi.

Erano presenti nove insegnanti, e la cosa più bella, tante persone del cuore e mia mamma.

Mi hanno fatta commuovere e viceversa credo.

Sono uscita con 110 e lode.

I festeggiamenti gypsy di Carrara sono stati la ciliegina sulla torta!

È stato il mio primo riconoscimento per aver portato a termine un lavoro ben fatto.

Se potessi incontrare un artista del passato , chi e cosa gli chiederesti?

Dovrei fare un incontro di gruppo!

Mi spiace per l’uso commerciale e smodato che è stato fatto sull’immagine di Frida Kahlo, ma potrebbe essere lei un’artista con la quale mi piacerebbe confrontarmi.

La prima sua mostra che ho visto è stata a Londra: io ero giovanissima e Frida Kahlo era ancora abbastanza sconosciuta alla massa.

Era una mostra fotografica della sua vita, con bellissimi scatti di lei in abiti tradizionali messicani, gli angoli coloratissimi della sua casa studio, dei suoi animali da cortile e delle sue pitture fatte da un letto di ospedale.

Tornata in Italia mi comprai un libro sulla sua biografia.

Mi piace pensare che tutto quel dolore sia diventato un’opera d’arte.

Ecco per me l’arte è forza, coraggio, fede e speranza.

Il suo lavoro mi trasmette tutto questo e sicuramente avere l’occasione di poterci confrontare sarebbe un preziosissimo regalo.

Le chiederei se avrebbe potuto fare a meno della sua arte e quanto questa la abbia aiutata a superare momenti difficili.

Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti ?

Bella domanda.

Una di quelle sulla quale mi sono arrovellata moltissimo.

In realtà credo ci sia poco da dire.

Anni fa ti avrei risposto… “mille consigli, di non perdere tempo, di essere concentrata sull’obiettivo, ecc…”

Oggi credo di aver capito che ho fatto quello che potevo all’epoca, con i mezzi che avevo, con il bagaglio emotivo che corrispondeva alla mia età, immersa in quel determinato momento storico e tutti gli elementi del caso.

Una cosa, mi consiglierei di prendermi tanta cura di me stessa.

Di volermi bene.

Quanto conta la comunicazione ?

La comunicazione, è evidente, è diventata più importante quasi dell’arte stessa.

Viviamo di comunicazione(social), di come veniamo presentati, di chi conosciamo, di dove presenziamo.

È un lavoro vero e proprio quello della comunicazione e se non sei accattivante e presente rischi di scomparire.

Il lavoro di un creativo diventa veramente enorme e spesso difficile da sostenere alla lunga.

D’altro canto la comunicazione è un potente mezzo che porta grandi risultati, facendo circolare il prodotto del tuo impegno e mantenendoti in contatto con la realtà del momento.

Che differenza c’è, nella percezione dell’arte tra Italia e estero?

Almeno la mia (percezione), è che in Italia è molto più complesso vivere di arte – per un emergente-.

L’attenzione è molto concentrata sugli artisti storicizzati, le nuove proposte a volte sono discutibili e a mio parere conta fin troppo essere sempre presenti e conoscere le persone giuste.

All’estero, ovviamente a seconda dei paesi, ma trovo ci sia una grande attenzione con conseguenti concrete possibilità verso un collezionismo giovane.

C’è posto per tutti ed esiste una discreta meritocrazia.

Cos’è per te l’arte?

L’arte per me è comunicazione – quando l’espressione viene compresa perché efficace e autentica – e connessione.

Cosa ti aspetti da un curatore ?

Attualmente aspetto di incontrare uno!

Il curatore è come il miglior amico di un artista e ha un compito di grande responsabilità.

Potrebbe (e dovrebbe) letteralmente fare decollare il lavoro di un artista.

Cosa chiedi ad un Gallerista ?

A un gallerista chiedo di metterci la stessa cura che metto io nel mio lavoro.

È un lavoro a quattro mani che necessita di grande feeling.

Se io lavoro bene, lavori bene anche tu.

Quanto contano per te la luce e il colore?

La luce è un elemento fondamentale per un’opera, tanto nel momento del lavoro in studio, quanto nel contesto espositivo: ne esalta i colori, le forme, i volumi.

Un’opera mal esposta non sarà sicuramente valorizzata al meglio.

Mentre il colore per me è puro piacere per gli occhi, ha una consistenza, quasi un sapore.

Nei miei lavori mi riprometto spesso di mettere poco colore, ma non ci riesco mai!

Un ultima domanda:  l’arte è terapia?

Quando si parla di arte come terapia, si casca forse nella più banale delle affermazioni, ma proprio per questo molto convincente: ho fatto tesoro delle mie sofferenze, delle mie esperienze, dei miei nuovi inizi e di tutte quelle emozioni che mi hanno fatta arrivare a creare quello che sto facendo.

Il mio lavoro incarna la mia via d’uscita da quel buio che, chi più chi meno, si porta dentro, gelosamente, ma che non ha niente a che vedere con le tenebre.

Hai un obbiettivo?

Credo che la musica, la moda, il design e l’arte visiva siano sempre più connesse tra loro in un dialogo di espressione costante, e vedo nella comunicazione di queste arti un grande passo avanti a favore di una ricerca artistica facilmente comprensibile e al contempo raffinata ed efficace.

Forse questo è il mio obiettivo: non avere un obiettivo preciso ma conoscere molto bene quello che amo per perseguirlo.

Grazie di cuore Anna Stella per questa piacevolissima chiacchierata e il tempo a noi dedicato.

Alessio Musella

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