Quando sono diventata fotogiornalista mi guardavano come un caso a parte – una donna in carriera, una “donna fotografa”.
Dei miei colleghi non si parlava con frasi tra virgolette, loro non erano uomini in carriera o “uomini fotografi”.
Non ne ero felice ma compresi come prima di me avevano fatto altre donne, che una parte fondamentale della sopravvivenza femminile risiedeva nel sapere giocare il ruolo che ci assegnano.
Nel 1960, durante un assignment per Life Magazine, Eve segue Malcom X in una serie di viaggi negli Stati Uniti.
Per fotografarlo nei diversi raduni la donna si mosse con estrema cautela: il mondo la osservava.
Ricevette insulti, molestie e intimidazioni, ma rimase ferma nella sua posizione, certa che il leader della lotta per i diritti degli afroamericani l’avrebbe protetta.
L’uomo, infatti, consapevole della forza comunicativa delle immagini, fu un forte sostenitore del mezzo fotografico come strumento narrativo.
Raccontò Eve: “Rimango sempre affascinata dal gioco manipolatore che si stabilisce tra soggetto e fotografo quando il soggetto conosce la macchina fotografica e sa come può usarla a suo vantaggio. Malcom era brillante in questa silente collaborazione. Era perfettamente cosciente di ciò che voleva, di cosa avesse bisogno, dei suoi punti di forza e di come portarmi a dare quello che richiedeva”.
Cozzoli Mara, caporedattore Milano Più Sociale.