Intervista a Daniele Ismaele Cabri cura di Maria Marchese

Daniele Ismaele Cabria
Daniele Ismaele Cabria

Dalla trame semplici della tradizione rurale dei piccoli nuclei a quelle rituali e misteriose dei nuclei dei nativi americani, dalla quiete al mistero: il temperamento di Daniele Ismaele Cabri lo rende un apolide.

Cittadino quindi di realtà contrapposte, concreta questo suo temperamento attraverso “visioni” artistiche, sospese tra il ricordo familiare e sociale e altresì il delirio primordiale.

Il connubio uomo/animale acquista un ruolo necessario come del resto quello uomo/divino.

L’artista muta la tela, le pelli animali, il palcoscenico della vita in esperienze che coinvolgono nella rada della pace come in quella dello sconvolgimento.

Maria Marchese

Lasciamo che sia lui a raccontarsi attraverso le risposte alle nostre domande :

Il tuo primo contatto con l’arte?

Ebbi i primi contatti da piccolo, se non con L’arte con la “A” maiuscola con un cosi detto “Fare artistico” un pensare, un azionarsi per progettare soluzioni a problemi pratici, di solito artigianali.


Attorno agli otto-nove-dieci anni ebbi i primi contatti con un mio cugino scultore che stava lavorando il legno e le pietre di cotto facendoci dei bassorilievi che mi parvero bellissimi e mi stregarono.

Il giorno dopo che mi aveva dato i primi rudimenti di come approcciarmi alla pietra ero già lì nella cantina di casa che con un cacciavite affilato da lui provavo a riportare un mio disegno incerto sulla superficie da scalpellare.

Ricordo che l’eccitazione era al culmine, per la prima volta iniziavo a tracciare un solco su una pietra e mi sentivo come uno dei primi Neanderthal che lasciava tracce dei suoi pensieri. In questo primo inizio fu poi fondamentale la partecipazione e accompagnamento come esempio di mio padre che sapendo fare di tutto iniziò anche lui prendendo
una di queste pietra di terra cotta facendoci i primi tratti che solo dopo un po’ capii che era l’inizio di
un cavallo.

Assieme stemmo molti pomeriggi a lavorare concentrati entrambi sul proprio lavoro, lui sul suo cavallo, io sul mio leone ruggente.

Sempre in quel periodo vidi e vissi intensamente lo struggente sceneggiato televisivo dedicato ad Antonio Ligabue interpretato in modo pauroso e terribile da un fantastico medianico Flavio Bucci.

Rimasi folgorato ma anche presi paura di quello che vidi.

Da quel momento lì pensai che un artista era sempre come Ligabue, strambo, folle e irruento da farti venire lo stomaco in gola e spappolarti il cuore e mandarti sempre in bagno a fare Pipì dall’eccitazione.

Fu proprio allora che tarai il “Mio Sentire” sulle onde sismiche di Ligabue e tutt’ora a volte quando prende bene mi possiedono ed è come essere un tutt’uno con la terra e il suo starnutire la lava incandescente che fuoriesce a flussi intermittenti per riplasmare il paesaggio tutto intorno.

L’anno scorso in una manifestazione a cui avevo partecipato di Street artist.

Su un muro di due metri gli feci un omaggio assolutamente dovuto.

Nel periodo, forse il primo anno delle Medie andai con la nostra classe a vedere la grande retrospettiva del pittore Renato Guttuso a Modena.


Oltre alla fantastica “ Vucceria” grande quadro raffigurante il mercato del suo paese, esposto in tutta la sua grandezza c’era la grande tela del Funerale di Palmiro Togliatti, ne rimase colpito moltissimo e ora con il senno di poi l’ultima tela a cui ho lavorato la “ Natività e Resurrezione a là RuchètaTocopilla” deve in molti autoritratti che ho fatto a quelle figure che vidi allora.

Poi certo a scuola sfogliavo spesso le illustrazioni della Cappella Sistina del terribile e immenso Michelangelo che sempre anche adesso ritorno a guardare a fondo, adesso ancora di più “Prigioni”.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

La Passione mi ha posseduto senza farmelo sapere, io “facevo” “creavo” ma questa cosa non sapevo bene cosa era, cosa fosse.

Sentivo però che mi saliva dalle reni alla bocca dello stomaco fin su al cuore e poi usciva dalla gola facendomi urlare o miagolare come un animale, proprio come faceva Ligabue, perché inconsciamente c’era in me l’idea che fare il pittore, l’artista era da Sfigati, buoni a nulla, pazzoidi appunto come sotterraneamente avevo avuto l’impressione di Antonio
Ligabue
.

Perciò questa idea la rigettavo con forza, in un certo modo ne ero disgustato e l’attimo dopo attratto. Solo adesso mi sono arreso ad essa e so che mi viene da un Drago che abita le profondità del mio essere e con cui in questa raggiunta età matura sto facendo finalmente pace.

Attorno ai cinquant’anni ho iniziato a pensare di farne un a professione, ho lasciato vecchi lavori di sussistenza e sopravvivenza per buttarmi con le ultime energie nervose e fisiche in questo ultimo viaggio.

La tua prima opera?

Tutto è veramente lontano e devo andare a far risorgere le emozioni di allora per intercettare quale fossero le prime cosi dette “Opere”.

Ricordo mio padre che mi fece partecipare attorno all’anno 1974 a un concorso arte e cultura indetto dal ministero delle poste e telecomunicazioni, avevo nove anni e io feci un animale selvatico, direi un cervo, ma allora in quel contesto in qualche modo agonistico non mi venne bene come sapevo fare, la mia sensibilità ed emozione mi franarono o non le seppi governare a dovere.

Allora facevo animali e vedute del mio paese natio dove rappresentavo trattori a cingoli arancioni della marca Ceccato 38-45 e ne mimavo il cigolio dei cingoli con le ciabatte sulle carreggiate battute. Sempre in quel periodo ricordo che facevo con grandi lampostill colorati enormi piante vegetali con un lungo stelo e grandi foglie con sopra un immenso
fiore rosso, probabilmente una Peonia, che è il fiore del mese di maggio, di quando sono nato.


Elaboravo la mia crescita spirituale e fisica. Forse l’anno dopo cominciai più con consapevolezza a progettare un opera semi scultorea in alto rilievo su un mattone di cotto dove rappresentavo un urna con una croce sopra e delle ali ai lati, costruivo la mia chiesa spirituale.

Per fare arte, bisogna averla studiata?

No non è prioritario, le strade sono tante e tutte valide; certo oggi con l’arte contemporanea forse c’è bisogno di prepararsi di più con studi anche approfonditi sia a livello teorico che pratico e importantissimo si deve stare sempre aggiornati. IO da parte mia nella prima parte della mia vita artistica sono andato sempre per la via messianica ed istintuale, solo adesso in questa seconda fase più riflessiva e contenuta sto applicando dello studio più sistematico e aggiornamenti continui.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso ?

Un anno dopo che feci le mie prime apparizioni a Milano un curatore che aveva indetto un workshop ricordo bene che mi aveva affibbiato un “Giudizio abbastanza negativo” che io sentivo di non portare, alla fine dei tre giorni davanti a tutta la comitiva di artisti disse: … che era stato sorpreso moltissimo da come ero venuto fuori a livello creativo e progettuale ed anche come atteggiamento personale, non se lo sarebbe mai aspettato, ne era molto sorpreso…l’avevo sorpreso, non gli era mai successo di sbagliare un giudizio…io sentendo questo sorrisi sotto i mie baffi e la mia lunga barba con riflessi rossi e bianchi.


Se potessi incontrare un artista del passato , chi e cosa gli chiederesti?

Di sicuro vorrei incontrare Antonio Ligabue, e poi Van Gogh e forse ancora di più in questi anni un pittore inglese dei primi del novecento che ho scoperto che si chiama Stanley Spencer che forse è stato un po’ dimenticato e che considero molto legato anche come vita personale alla mia.

Tra l’altro ho preso una sua opera per ispirarmi alla mia grande tela, la sua famosissima Ressurrecthion.

Gli vorrei chiedere: come si sentiva di stare nel suo piccolo villaggio che tanto assomigli al mio?

E se si sentiva legato molto alle persone che ritraeva del villaggio?

E come gli era nata la grande tela sulla resurrezione e la memoria che fece per la sua amata piccola patria, da cui ho preso ispirazione per la mia grande tela. E poi in questi giorni vorrei parlare all’infinito con Josefh Beuys per tutte le sue installazioni e performance e Ana Mendieta per la sua selvaggia creatività legata alle radici della terra!!

Quanto conta la comunicazione ?

La Comunicazione in questa nuova era digitale è assolutamente FONDAMENTALE, conta moltissimo, a volte supera la stessa forza dell’opera!!! perciò deve essere fatte bene, molto bene e direi da dei professionisti del settore.

Che differenza c’è, nella percezione dell’arte tra Italia e estero?


Sinceramente non saprei, perché all’estero per cose artistiche finora non sono ancora andato per esporre o per residenze artistiche.

Però da quel che sento in giro da altri artisti il nostro paese è assolutamente ai margini del sistema dell’arte e continua con impegno nello sprofondare nella sua beata ignoranza non solo teorica, ma del fondamentale e istintuale “Fare arte”.

Siamo quasi tutta l’arte del passato, ma per chi la vive e cerca di farla adesso , noi non esistiamo. Da noi fare arte è
considerato un maledetto far passare il tempo.

Cos’è per te l’arte?

A saperlo….?! Forse è…respirare…empatia, dare emozioni sia emozionalmente che intellettualmente.

Cosa ti aspetti da un curatore ?


Mi aspetto empatia, collaborazione e complicità nel fare arte

Cosa chiedi ad un Gallerista ?

Gli chiedo sincerità, lealtà ed emozione e suggerimenti.

Il legame con la tua terra di origine è fondamentale, per te, ma c’è una terra primieva che tu esporli, a priori: ce ne parli?

Sì è fondamentale e me ne accorgo sempre di più quanto è forte. Anche le mie ultime creazioni fatte con le Pelli animali come supporto vengono tutte da questo Humus che sostiene queste piccole quattro case di malta e erba spagna intorno.

So che se dovessi fermarmi per una pausa, poi per ripartire dovrei tornare per qualche giorno qua dai miei nel luogo dove sono nato e vissuto la mia infanzia. Solo così dopo aver immerso le mie membra potrei iniziare nuove elaborazioni.

Parto carico e poi mi scarico e ritorno per fare un pieno di energia e ripartire, come fosse un flusso di marea.
Sono un artista istintuale e legato al concreto delle visioni e devo dare comunque una forma a ciò che devo esprimere, questo a volte può essere il mio limite.

Sì una terra splendente come la luce della prima alba.

Si una terra Primigenia c’è nella mia mente da prima che nascessi e forse anche prima del mio concepimento.

Una luogo che è da sempre nei meandri della mente dell’uomo, una fantomatica Terra Promessa, Sangri là, un Paradiso perduto dell’umanità che per me è l’Età dell’infanzia quando si era “Splendenti” come non mai, e non si era
stati corrotti da nessuno.

IL celeberrimo FANCIULLINO di Giovanni Pascoli che sento mi si addice in modo splendente!

E mi sovviene qualche verso abbacinante di Dylan Thomas quelli magici sulla fattoria della zia dove andava quando era piccolo…la Collina delle felci ”

…Quando ero giovane e puro sotto i rami di mele vicino alla casa sonora e felice perché l’erba era verde la notte immensa sopra la valle stellata il tempo mi faceva esultare e risalire dorato l’apice dei suoi occhi e fra i carri adorato ero il principe delle città di mele e una volta oltre il tempo, divino, alberi e foglie con orzo e margherite trascinai lungo i fiumi di luce dei frutti caduti nel vento e verde e spensierato, celebre fra i granai…

Ad un certo punto della tua esistenza è intervenuto il rito sciamanico: ci spieghi quando e come quest’ultimo ha trovato concretezza in te e nella tua personalità artistica?

Lo facevo d’istinto e non lo chiamavo cosi!

Attorno ai trent’anni mi accorsi che quando la mia temperatura artistica saliva in modo esponenziale dovevo assolutamente intervenire con una Azione dove il mio corpo entrava in scena oltre il solito prodotto concepito artigianalmente che è un tramite indiretto della nostra energia verso il mondo per metter in moto una valvola di sfogo per salvarmi. In questo modo sancivo un punto esclamativo di partenza dal manufatto appena concepito e di sua piena consapevolezza con tutti i suoi limiti e di non ritorno.

Dopo diventavo altro e accedevo a nuovi universi.

A un opera facevo seguire appena dopo o poco prima un qualche rituale che mi dava sicurezza nel lavoro o ne aumentava l’energia; oppure creavo di sana pianta una vera e propria Performance artistica che poi mi accorsi era come esattamente si svolge un rituale sciamanico, quelli degli stregoni siberiani o dei curanderi messicani.

Era tutto molto fisico e istintuale senza quasi nessun filtro mentale. Capii allora che c’era qualcosa di profondo che mi guidava il corpo e io per essere puro e autentico dovevo solo seguirlo.

Questi rituali sciamanici esistevano quando l’arte si intrecciava con il Sacro, ne faceva parte e forse non la chiamavano arte, ma rituale Sacro.

Ogni azione fatta in quel contesto aveva alti valori spirituali.

Ora l’arte contemporanea ha perso questo aspetto, si è come svuotata e rischia di non essere più nulla se non un giochino per gente annoiata.
Dagli incontri che ho avuto in questi anni con curatori e d artisti ho capito o mi hanno fatto capire che io sono molto oltre questi manufatti artistici, la mia energia è molto oltre e solo con la Performance artistica o atto sciamanico posso darle voce piena.


L’ultima tua stagione artistica trova voce sulle pelli animali. Una scelta, questa, che potrebbe essere oggetto di discussione.

Ce ne vuoi parlare.

L’approdo su questa nuova terra fatta di pelli è avvenuto cinque anni fa, in modo rocambolesco e
infiammato, proprio i giorni successivi al mio secondo anno di arrivo a Milano.

L’incontro scontro con questa città, questa civiltà oserei dire mi mise molto in crisi e mi fece ripensare tutto il mio “Fare
artistico” dagli albori fino ad allora. Sembrava che quello che avevo fatto fin d’ora non valesse “Nulla” per gli artisti e curatori che mi stavano davanti. Io non esistevo per il mondo ristretto dell’arte o del sistema plastificato dell’arte. Per trent’anni non avevo fatto nulla, se non guardarmi dentro e partorito oggetti di scarso valore per gli altri.

Fu un KO devastante!! In quella settimana mi esplose anche una prostatite fulminante che per una settimana mi devastò.

Mi misero al tappetto e per dieci secondi fui contato dall’arbitro.

Mi avevano visto e mi avevano considerato come uno “Shinning”.

Quando mi alzai sentii il mio corpo dolorante e in particolar modo sentii e percepii la mia pelle che aveva un riflesso di difesa e si arrossì e ferì come avesse dell’eczema, io già ne soffrivo.
Dovevo ricreare un progetto artistico nuovo, ma che partisse dal mio profondo, e con nuovi mezzi e supporti.

La notte concepii l’approdo nel mondo del pellame e delle concerie.

Tolsi il colore che mi distraeva e mi affidai al mio segno duro diretto e profondo, spigoloso e senza pentimenti come quello di un bambino che è intento ad esprimersi ed incide le pareti della sua grotta personale rivestita di pelli morbide e calde al tatto ed usa il segno del nostro medioevo e di Ligabue e Van gogh e del viareggino Lorenzo Viani per entrare nel mondo e portagli i suoi doni più preziosi.

…”C’era un grosso problema etico che mi raggiunse quasi subito all’inizio dell’idea, le pelli erano involucri di animali che erano stati uccisi da degli uomini. Io avrei usato queste informazioni intrise di morte?!

Ne sarei stato colpevole anch’io sebbene non ne ero responsabile dell’atto svolto da altri uomini?!

Era proprio una scelta assolutamente scomoda di questi tempi e mi avrebbe messo al bando per molti.

Ma io penso che ho scelto proprio questo supporto per poter dare Nuova Dignità a quell’animale che è stato privato della vita, per ridargli di nuovo presenza raffigurandolo come fosse in spirito su un supporto che è la nostra pelle umana, perché noi siamo quegli animali.

Siamo loro! Ridò volo e spazio al suo spirito alla sua energia ridandogli la mia tramite il mio fare che è come una “Cura”. L’arte quando è sincera è anche Cura più alta!! “

Dopo un po’ di mesi che buttavo giù idee sui titoli da dargli al Ciclo una mattina mi arrivò il nome di: “Quando eravamo amabili selvaggi” e non ebbi dubbi, questo era il titolo per le Pelli!!

“RESURREZIONE ALLA ROCCHETTA”. : una tela importante in termini di dimensioni, complessa, sospesa tra le radici, il film e la vita… vuoi raccontare com’è nata e il legame tra queste tre dimensioni?


Quest’opera di cui il titolo esteso è: “Natività e Resurrezione a là Ruchètà Tocopilla” fatta su una tela lunga 6 metri e 40 cm ed alta 220 cm; sembrerebbe guardando i miei ultimissimi lavori una deviazione o un mettersi a lato dal progetto ultimo delle pelli, ma in realtà è nato assieme a loro, ne è il fratello maggiore, solo trasfigurato dalla tela con colori alla pelle con il fuoco e il segno. Entrambi sono fiori e le radici dello stesso albero, la luce e l’ombra.

Quest’opera è la emanazione di un rito sciamanico sud americano ( che leggendo alla fine del titolo Tocopilla legato a Rocchetta ai cultori di Jodoroswkj apre un mondo) di conseguenza possiede in sè diverse letture a diverse profondità, è un opera fondamentale perché chiude un cerchio di vita materiale e spirituale. Ha innanzitutto lo stile proprio dei murales Messicani del dopo rivoluzione fino agli anni quaranta con l’intento pedagogico
e la trasposizione delle radici di un luogo preciso.

Ha inflessioni Naive e folk senza dimenticare l’enorme influsso a cui attinge il suo immaginario legato a doppio filo all’Amarcord di Fellini e ne è per me la sua trasposizione pittorica.

A una prima lettura si vede la rappresentazione di una scena di un classico villaggio naive dove tutti si accerchiano nella piazza del paese attorno a un focolaio di anime benedette per ritrovarsi e fare anche mercato.

Poi in un secondo momento si vede il rito cristiano della Natività con la celebrazione della sacra famiglia e la nascita del Gesù bambino che qui è anche e solamente una bambina, tutti i pastori, contadini e i re magi del villaggio li vanno ad onorare e festeggiare portando i doni del proprio lavoro, poi c’ è l’arrivo del rito della Resurrezione che fa risorgere i morti dal cimitero e fa incontrare i morti e i vivi nella piazza del paese, il tempo è annullato e i vivi e i morti sono insieme in un luogo dove la morte non esiste più e tutto torna come un tempo ed è un eterno presente senza corruzione del tempo.

A una terza lettura si va verso l’animismo, a quelle ere precedenti legate per la religione cristiana al paganesimo; si nota che l’opera è divisa in due parti ben distinte, attorno al cuore che racchiude la sacra famiglia che è dipinto a colori ad olio, ci sono alla destra della madonna tutta la parte maschile ed alla sua sinistra tutta la parte femminile, dipinti con colori acrilici tendenti al viola, il colore che va dal sesto e settimo Chakra quello dell’illuminazione e del ricordo di un altra vita celestiale.

A metà dell’opera ci sono i bambini sotto i tredici anni che sono l’insieme perfetto delle due parti, quasi androgini. I volti della sacra famiglia sono di una famiglia reale con tutta il suo albero genealogico come se si assistesse alla
rappresentazione fisica che fanno in molti paesi nel periodo natalizio.

Ed anche fra i pastori del villaggio si possono notare intere famiglie con alberi genealogici estesi rappresentati. Tranne che per la parte centrale le figura sono vestite con vesti dei giorni attuali rigorosamente da lavoro nei campi.


Quasi tutto il paese natio è stato rappresentato per salvarlo dall’oblio del tempo e dalla sua forza corrosiva. La memoria domina sovrana e permea qualsiasi cosa animali oggetti scorci di paese.

Tutto riesce a vivificare!!

Desidero ardentemente che nulla scompaia e con l’arte voglio ricreare incessantemente tutte le mattina il mio paese natio, la mia Patria Splendente.

La mia “Haimat”.

Sulla linea centrale dell’opera nella parte bassa dove risiedono le radici si vedono carte da gioco (Tarocchi) che si involano verso l’alto lanciate dalle mani da prestigiatore di un viso di uomo molto distinto che non è del paese. Lui è la parte misterica e elusina precedente ai riti cristiani che partono dalle radici egizie.

Queste carte sono la presenza del “Destino” che è tutto intorno alla vita degli uomini sia dei vivi che i morti.

É colui che a me personalmente ha dato un cosi detto Atto sciamanico da attuare fisicamente in questo mondo reale che abitiamo, un “Atto psico magico” per modificare la parte neuronale del mio cervello e del mondo attorno. “ …avrei dovuto donare alla chiesa un opera dipinta su tela rappresentante la sacra famiglia con le fattezze della mia famiglia e i suoi avi e discendenti!”

Io però modificai l’atto allargandolo a quasi tutto il paese perché considero questo paese una emanazione della mia casa della mia vita interiore, della mia pelle animale.

Noi siamo ciò che pensiamo!!!!

Ciò che sentiamo!! Con il nostro pensiero modifichiamo ciò che c’è intorno a noi, plasmiamo il mondo e gli eventi. Dunque un giorno di settembre feci un Raid in chiesa e con i miei genitori ancora vivi e la foto di un mio zio fratello di mia madre stesi la grande tela su una parete al loro cospetto spiegandogli ciò che vedevano e ci fu una lunga silente commozione.

Un altro tuo approccio importante è la performance dal vivo: le tue scuotono e destabilizzano.

Come nasce il “progetto performatico “ e che scopo ha?


Le performance che ho fatto si segnano sul palmo di una mano.

Ne ho fatte poche perché troppo è lo dispendio energetico.

Di solito sono nate dalla conseguenza di una Visione allargata di una mostra o di una serie di opere, o di una emozione ricevuta o vissuta del mio vivere dove la temperatura magmatica del vulcano espressivo ha un tale rialzo che deve sfociare nel mio corpo e tramite il mio corpo verso il mondo esterno, le opere fatte non bastano più. In questo modo accedo a una visione di 360° non parcellizzata.

Qui esce fuori la mia componente sciamanica che va oltre il saper fare arte, si sposa con la rappresentazione del Rito che è poi in seconda istanza anche teatro.
Sempre quando entro in campo con il mio corpo sono nudo, è come se entrassi in un campo di combattimento e come un gladiatore do in pasto alla battaglia il mio corpo.

Ho rappresentato spesso una mia crocefissione perché di quel rito ne ho sentito la forza primigenia assoluta. Spesso da piccolo mi trovavo da mia nonna dove ero andato per sincerarmi come stava e lei mi leggeva spesso la bibbia e a volte mi chiedeva cosa volessi sentire e io le chiedevo di leggermi e declamarmi l’ora Nona della crocefissione, intrisa di una terribilità sconvolgente che ancora ora ne ho i brividi sulla pelle. Poco più avanti mi capitò di vivere una presunta crocefissione ad opera di un ragazzo più grande a cui avevo dato fastidio che mi legò i polsi con del filo di ferro arruginito al cancello del nostro piccolo cimitero.

Ci rimasi per diversi minuti forse anche un ora prima che mi liberasse, ma io vissi la cosa in maniera estatica, ero con i morti gli facevo da guardiano e allo stesso tempo rivivevo la terribile ora nona che mia nonna mi leggeva le volte che andavo da lei.

Quello fu l’inizio delle mie performance senza saperlo.

SE ricordo bene dopo questo fatto in età matura almeno in tre occasioni mi misi in croce per fare una performance con colori, musica e declamazioni di versi.

Mi chiedi che scopo ha??

IO so, il mio guardiano interno sa che a un certo punto è arrivata l’ora di organizzare una “Azione performativa” nel mondo, qualcosa di molto fisico che mi faccia entrare a contatto stretto con le energie più profonde della terra per radicarmi in essa se me ne sono allontanato e in seconda istanza per radicare chi mi sta seguendo portandolo a sentire cose sopite di cui però aveva già verità in se stesso. L’energia magmatica del fuoco mi guida, ho una traccia abbastanza approssimativa che crea un canovaccio a maglie larghe che mi permette per così di lasciare ampio spazio
all’improvvisazione del momento.

Sebbene dopo la prima idea ci pensi a fondo e butti giù pagine e pagine, alla fine l’improvvisazione cancella quasi tutto e può farmi cambiare rotta anche completamente.

Dunque rimane sempre un mistero di dove andrò a finire e a parare sia per me che per l’eventuale pubblico. Ho notato che nelle mie poche performance ci sono sempre questi pochi elementi:

1) il fuoco,

2) una croce o una ruota contenitiva fatta di ferro,

3) il mio corpo nudo da
scimmia senza peli,

4) a volte il corpo dipinto di colori o solamente d’oro,

5) qualche suono.

Cosa conta maggiormente per te: essere compreso o vendere la tua arte?

Ti dico che è importante venerare la propria arte, e metterla su un altare che ti ricordi il suo valore, ma forse desidero di più” Essere compreso” anche perché parlare sempre e solo con me stesso mi porterebbe ad inaridirmi ed ad allontanarmi dai miei simili che rimangono la fonte più forte di energia e stimolazione. Forse se fossi davvero compreso come uomo ed artista di colpo sparirebbe il mio bisogno di fare arte.

Molto spesso una mia opera è nata dall’emozione di un frammento di luce su una parte sghemba della vecchia casa del mio paese natio, da un suono in lontananza come quello disteso delle campane o del tintinnio dei bidoni del latte o sul gioco di luce e ombra di un viso scavato come il fondo di un fiume di uno dei mie conterranei più che qualcosa di
fumoso venuto da chissà cosa.

Come vivi le critiche da parte del pubblico e del panorama artistico?

Bè ogni giudizio sia dal pubblico che dalla critica lo prendo come sempre come una Mazzata che sul momento mi taglia le gambe e mi annebbia la vista e mi manda in pappa il cervello e fa sorgere in un primo momento rabbia dal profondo poi dopo un po’ la cosa si alleggerisce e sento che tutto prende un tono sempre più leggero e lieve e tutto mi scivola addosso come acqua e a volte non me lo ricordo più.

Anche perché so che spesso sono molte soggettivi questi giudizi e trovano il tempo che trovano, di mezzo ci sono pregiudizi di partenza difficili da estirpare e a volte anche molta ignoranza e paure intrinseche. Alla fine di tutto compatisco tutti, intellettuali e non e poi anche me stesso.

Quali saranno i tuoi prossimi passi?

Ho una estate piena di avvenimenti di mostre che cresce giorno per giorno, è stato come uno tzunami. In questo fine mese di giugno fino ad agosto ho in palio ben tre mostre. 2 a Torino, una a Paratissima e un al MIIT in presenza, una virtuale nella galleria di Venezia Nort gallery, una possibile a Roma su un progetto di due giovani curatrici entro fine anno, altre due collettive in Lombardia tra ottobre e dicembre curate da Claudia Migliore, più una a Trieste partecipando al Festival DesiDera di Enea Chersicola, concludendo infine con una personale a Bologna verso l’autunno.

Provengo da un inizio primavera magico, sono stato selezionato su 62 artisti per partecipare alla grande Finale composta da 8 ARTISTI nel primo Talent Show lanciato sulla rete in contemporanea su Youtube e facebook e instagram il MASTER ARTIST di LUCA ROSSI LAB, esperienza bellissima ed elettrizzante che mi ha fatto ringiovanire. Dovrei se tutto va bene partecipare anche a una residenza artistica dalle parti di Ravenna.

Sì, assolutamente un anno straordinario!!!!! Una rinascita appunto forse dovuta ai frutti della grande tela!!

Grazie per la tua disponibilità

Maria Marchese

Total
0
Shares
Previous Post
Davide D’Orazio

Davide D’Orazio : La pandemia all’interno del carcere

Next Post
Silvia Salvadori

Silvia Salvadori e le sue tele…

Related Posts