Sergio Angeli e il suo Universo Artistico.

Sergio Angeli
Sergio Angeli

Sergio Angeli Romano, classe 1972, Artista che spazia dalla pittura alle installazioni per arrivare alla scultura e alla poesia.

Conosciamolo meglio attraverso questa breve intervista

Il tuo primo contatto con l’arte?

Ero un adolescente rimasi folgorato dalle opere di Egon Schiele.

Qualche anno più tardi conobbi alcuni artisti del mio quartiere.

Ho cominciato a passare del tempo nel loro studio ed è così che ho iniziato a sentire l’odore dei colori ad olio e percepire le sensazioni che riempiono gli studi d’arte.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventato un aspetto così predominante della tua vita?

Quando sentivo vuote le mie giornate senza la possibilità di poter creare, dare forma a ciò che provavo nel mio intimo in un determinato momento.

Quando senza arte il tempo diveniva una lama di coltello che penetrava la mia anima.

Ad un certo punto della mia vita ho sentito che non avrei fatto a meno dell’arte, perché non potevo, perché parte di me.

Per me fare arte è respirare. È volare e guardare il mondo da un altro punto di vista.

Nel tuo percorso hai sviluppato una tecnica molto originale, introducendo materiali di riciclo nelle tue opere pittoriche. Puoi spiegarci meglio questa tua personale forma espressiva?

Negli anni ho inserito sempre di più materiali di recupero usandoli come stencil.

Oggetti industriali, resti di motori, elettrodomestici, computer etc .. inoltre sempre affiancati dall’uso di capelli come stencil. 

Da tanti anni utilizzo le bombolette che hanno sostituito ormai i pennelli se non per i fondi e pochi interventi.

Il tema che affronto da molto tempo è il postumo, ovvero ciò che resta dell’umanità, della nostra vita, di una società sempre più schiava della tecnologia. 

I resti industriali stanno a simboleggiare ciò che resta della nostra società, i capelli ciò che resta di noi.

Ultimamente ho inserito come stencil anche rami, foglie, terriccio e tutto ciò che recupero in natura.

Durante il lockdown legato al covid ho avvertito il bisogno di un ritorno all’innocenza.

Al gesto puro e casuale.

Tu hai una personalissima forma gestuale di accostare tra di loro i colori che decidi di applicare sulla tela. Ci parli di questa tua scelta creativa?

Non decido mai prima la gamma tonale dei lavori.

Concepisco immagini, visioni che riesco a mettere insieme. Vedo delle forme, percepisco delle ‘scene di vita postuma’  visioni di un mondo postumo.

Chissà come saremo, cosa ci accadrà, come sarà oltre noi. 

È una sorta di ossessione che mi porto dietro da anni.

I colori li decido in progress mentre lavoro, passo passo di istinto. Scelgo il colore del momento, credo sia legato molto al mio stato d’animo.

Per fare arte , bisogna averla studiata?

Non credo bisogni studiare per essere un artista, sì è artisti perché lo si è.

Nessuna premeditazione credo.

Naturalmente si può studiare per migliorarsi e per imparare a gestire le varie tecniche.

Come concepisci e crei i tuoi lavori?

Cerco gli stencil di volta in volta. Gli oggetti giusti da riciclare per la serie che concepisco.

Creo delle forme con gli stencil che ho scelto utilizzando le bombolette.

Ogni lavoro è sempre legato ad una serie, ad un progetto di lunga durata in genere.

Quanto contano per te la luce e il colore?

Ogni scelta legata al colore è frutto di una sensazione. Fondamentale direi, così come la scelta della luce in un opera

pittorica.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso ?

Tre anni fa, stavo dipingendo, all’improvviso mi si avvicina l’artista Monica Pirone e mi chiede se può intervenire anche lei sul mio lavoro.

Gli rispondo di si. In quel momento nasce il progetto a quattro mani ‘4Hands’.

Se potessi incontrare un artista del passato , chi e cosa gli chiederesti?

Vorrei incontrare Egon Schiele e chiedergli come realizzava i suoi incarnati.  Mi sono sempre meravigliato della bellezza dell’incarnato dei corpi che realizzava.

Mi piacerebbe tanto scoprirlo.

Quanto conta la comunicazione ?

Direi fondamentale oggigiorno, un artista in quest’epoca deve saper divulgare il proprio lavoro, mediante i social network e il web che sono gli strumenti che fanno parte del nostro quotidiano.

Un artista deve essere indipendente nel saper gestire la comunicazione per valorizzare il suo lavoro.

Cos’è per te l’arte?

Per me l’arte è respiro senza il quale non si può vivere.

Cosa ti aspetti da un curatore e da un gallerista?

Rispetto.

Negli ultimi anni purtroppo la figura del curatore è diventata troppo predominante, oscurando talvolta il lavoro dell’artista.

Un curatore dovrebbe saper riconoscere la qualità e l’impegno nel lavoro dell’artista, rispettandolo e valorizzandolo. Spesso il curatore si limita all’apparenza, nel metterci la firma senza entrare seriamente nell’intimo dell’artista, senza capire il messaggio intrinseco dell’opera. 

Esclusi pochi che rispetto davvero direi che i curatori oggi devono reinventarsi e imparare a rispettare la figura dell’artista.

Il gallerista credo sia una figura professionale in estinzione oramai. Sempre più hanno preso il sopravvento coloro che io definisco ‘affittacamere’ .

Chiedono soldi ancor prima che un artista esponga.

Ridicolo.

Anche in questo caso direi che di galleristi veri ce ne siano davvero pochi ormai.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Prossimamente chiuderò un progetto installativo che si chiama Lastlife, iniziato tre anni fa in un bosco incenerito.

Diverse esposizioni del progetto 4Hands, tra cui Matera e Dijon.

Entro l’anno dovrei fare una personale (covid permettendo) al museo Mastroianni

e in autunno, sotto una forma evoluta, riprenderò il progetto itinerante Return to the innocence, che mi ha impegnato per diversi mesi durante la pandemia.

Grazie per il tuo tempo

Giuseppina Irene Groccia

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