La pittura di Ivano Petrucci sorprende per il suo impatto e la sua potenza espressiva
composta da esplosioni di toni, a volte caldi e diffusi, altre acidi ed accesi. Le tele risultano
dinamiche nelle loro composizioni e nelle affascinanti ed attraenti figure (soprattutto
femminili) che evocano nell’immediato un universo di sensazioni e sentimenti che
piacevolmente accompagnano la lettura delle stesse.
Fondamentale anche è il gesto ed il movimento che trae con forza dalla sua esperienza di street artist e performer, e che lo aiuta ad avere una migliore concezione spaziale degli elementi posti sulla tela.
L’astrazione nel colore di Petrucci s’incontra e si scontra con il figurativo, dando vita ad
una tecnica ibrida e sospesa tra i due mondi che riesce a trovare una sua dimensione
unica rimanendo delicata e potente allo stesso tempo.
- Alessandro Giansanti, Tratto da “Frascati in Arte: 1ª Edizione” Edito da “Agarte – Fucina delle
Arti” (2022).
Il tuo primo contatto con l’arte?
Il mio contatto con l’arte è stato praticamente immediato: già a otto anni avrei potuto osservare per ore un pittore dipingere senza mai stancarmi. Uno degli aspetti migliori nell’essere cresciuto in un paese di provincia.



Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?
Credo di essere stato del tutto cosciente di intraprendere professionalmente questa disciplina solo dopo il primo vero “blocco del pittore”, dovuto anche ad alcune vicissitudini che mi scoraggiavano e alimentavano l’idea di non raggiungere veri risultati nel campo. Forse già dall’ultimo anno di accademia, dopo un momento di riflessione (a cui ne sarebbero inevitabilmente seguiti altri) ho cominciato a capire che questo darebbe stato il mio lavoro e che avrei potuto dare di più.
La tua prima opera?
Se si vogliono scartare riproduzioni ed esercizi pittorici realizzati da giovanissimo, la mia prima e vera opera l’ho realizzata a diciotto anni: era un volto dagli occhi a mandorla che fuoriusciva da un plumbeo insieme di colori freddi e pennellate nervose, quasi volessi riprendere la mano di Van Gogh o di Rembrandt; ma ad ogni modo, stavo cominciando a fare uscire qualcosa, seppure dalla mia oscurità.
Per fare arte , bisogna averla studiata?
Posso ammettere che senz’altro bisogna studiare, ma non solo dal punto di vista accademico e/o tecnico. Bisogna studiare quel complesso mondo dell’arte che può mettere a dura prova se non si è pronti e, pittoricamente, bisogna apprendere le basi per poi con intelligenza distruggerle (o meglio rimodularle).
Cosa unisce i tuoi dipinti e la musica ?
Credo sia quella ritmica gestualità che trasforma linea, forma e colore in unicum perfettamente sincrone, in cui la musica riesce a guidarti, persino quella che si ha dentro e che nessuno, all’infuori di te, può ascoltare.
Come scegli cosa ritrarre ?
Nella maggior parte dei casi, riprendendo scatti o figure dal vero, quello che mi porta a scegliere non è solo l’espressività del soggetto da ritrarre ma la sua dinamicità, una sorta di frequenza che si riesce a percepire non appena si osserva più attentamente e che, anche nell’immobilità, riesce ad ispirarmi. La profondità e l’energia interna la si riconosce, se non c’è non si può ricreare.
Un aneddoto che ricordi con il sorriso ?
Quandouna volta, molto tempo fa, ritraendo dal vero un volto durante le mie primissime esperienze espositive, un passante giudicò sprezzante ciò che facevo, dicendo che era “una roba che era capace a fare anche lui“.
Se potessi incontrare un artista del passato , chi e cosa gli chiederesti?
Incontrereimolto volentieri Kandinskij. Non tanto per arricchirmi delle sue conoscenze riguardo lo spirituale nei colori, nel conoscere dal vivo l’intero processo del suo lavoro o addirittura essere un suo allievo, ma mi piacerebbe capire veramente se accetterebbe o meno la coniazione che gli è stata data di “padre dell’astrattismo”. Quale sarebbe la sua vera reazione?
Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti ?
Di avere senz’altro più carattere e coraggio.
Quanto conta la comunicazione ?
Dal punto di vista artistico, la comunicazione è la base, l’obbiettivo: l’arte è forse la forma più alta di comunicazione. Una volta compreso questo aspetto, si comprende anche che nel far emergere la propria arte la comunicazione è essenziale: bisogna avere il coraggio di raccontarla e di non farsi intimorire da facili giudizi, se non quelli che possono ritenersi davvero costruttivi, ma nello stesso tempo bisogna stare attenti a non renderla troppo frivola.



Che differenza c’è, nella percezione dell’arte tra Italia e estero?
Non posso essere del tutto conscio della differenza, ma quello che percepisco è che quella italiana risulta sentirsi troppo “satura”. E, purtroppo, ciò non è poi del tutto vero, siccome di proposte di qualità ve ne sono ancora e non sono per nulla banali.
Cos’è per te l’arte?
Per me l’arte è tutto e, come per le leggi della percezione, è più dell’insieme del tutto. Non credo di dover aggiungere altro.
Cosa ti aspetti da un curatore ?
Da un curatore mi aspetto l’invito a una collaborazione che possa fare crescere sia l’artista che lui stesso, che sappia essere attento alla professionalità e che possa avere preziosi consigli, che abbia sensibilità oltre che conoscenza e che sia abile nel rivestire il tutto di qualità.
Cosa chiedi ad un Gallerista ?
Di sapere selezionare ed essere un vero e proprio imprenditore, che sappia come proporre artista e opera dove le entrate non debbano sempre partire dalle tasche degli artisti, specialmente di chi di arte vuole vivere e non ha un’altra fonte di guadagno. Ho sempre pensato che è sempre meglio ricevere un no da un gallerista piuttosto che comprarsi il sì senza riscontro.

Quanto contano per te la luce e il colore?
Si può dire che sono il fulcro con cui ho sviluppato la mia produzione: il colore è il risultato della fonte di luce e, tra figurativo e ricerca astratta, c’è uno stimolante gioco infinito.
Alessandro Giansanti ( AGARTE FUCINA DELLE ARTI )