Simona Chipi: il Mondo attraverso le Donne…

Simona Chipi
Simona Chipi

Non hai mai smesso di dipingere soprattutto Donne, perchè estremamente convinta che la storia del mondo passi attraverso le “storie” delle donne. 

Dall’olio su tela a la stampa digitale su materiali industriale, continua a raccontare il suo universo fatto di anime e colori, e luce.

Il tempo del nostro caffè vale la pena spenderlo per conoscere meglio Simona.

Il tuo primo contatto con l’arte?

La mia maestra delle elementari, Wanda, femminista della prima ora, bellissima, poetica. E’ stata lei, la sua attenzione, il suo senso della cura a regalarmi la scoperta dell’arte. E’ stata ispirazione e fonte di conoscenza, ero una bambina, le sarò eternamente grata. 

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Nel momento in cui ho capito cosa nella vita non volevo fare. Ho sempre lavorato sentendo che ciò che facevo come artista era interessante per me e ho sempre lavorato convinta che lo sarebbe diventato anche per chi avrebbe incontrato il mio lavoro.

La tua prima opera?

Un olio su tela che nell’insieme appariva come un assemblaggio parecchio distopico di fiori ma che in realtà erano Isoquanti di Produzione, un’ossessione, preparavo l’esame di economia, primo  anno di Università. In realtà ho iniziato a dipingere da ragazzina ma considero quella la genesi perché ho faticato tanto ho pianto mi sono entusiasmata poi disperata di nuovo entusiasmata e, alla fine, mi sono sentita libera.

Per fare arte, bisogna averla studiata?

Studiare e dunque capire il mondo che decidi di abitare è ineluttabile, vale per tutti gli ambiti della conoscenza secondo me. Se penso alle scuole d’arte, beh sì, ti consentono anzitutto di impadronirti della tecnica. Ma credo anche che la commistione di tecniche che esiste nell’arte contemporanea abbia consentito di andare oltre, oltre il linguaggio della pittura o della scultura. Io non ho fatto un percorso di studi artistici, sono un autodidatta o, come diceva il mio maestro di pittura (perché a un certo punto ci sono cascata), sono una sperimentatrice. 

Come scegli cosa ritrarre?

Il mio soggetto – oggetto è il Femminile. Scelgo un volto e un corpo e l’ambiente che circonda queste mie “anime di carne” rispetto alla storia che c’è dietro, alla storia che io vedo e tento di raccontare.    

Un aneddoto che ricordi con il sorriso?

Parecchio tempo fa un autorevole accademico, un uomo di raffinata cultura che aveva sentito del mio lavoro senza mai però averlo visto mi chiese: “Come vanno le sue donnine”?

Più che un sorriso fu una risata, ovviamente gli regalai un piccolo quadro, una delle mie donnine appunto.

L’ha messa nel suo studio e da allora, mi dice, prima di iniziare a lavorare ci fa una lunga, intima, silenziosa conversazione, solo loro due, tutti i santissimi giorni da più di dieci anni.  

Se potessi incontrare un artista del passato , chi e cosa gli chiederesti?

Vorrei incontrare Frida Kahlo per chiederle come riusciva dentro la sua complicata esistenza a trasformare la forza in speranza, in visione, in tutto quello straordinario lavoro che è la sua opera e che continua ad essere una fonte di ispirazione unica. 

Quanto conta la comunicazione ?

Conta da matti.

Mi sono occupata molto di Comunicazione, sono giornalista e ho iniziato a lavorare in  questo settore in tempi non sospetti, prima che la Comunicazione si studiasse nelle Università e diventasse una parola di uso ( e abuso!) comune.

Conta moltissimo perché comunicare fa parte del nostro vivere sociale, della trasmissione di esperienze, dello scambio di conoscenze e della loro esaltazione.

Cos’è per te l’arte?

Una necessità, per tutti, per l’umanità.  Per la sua capacità di essere racconto prima e memoria poi.

Cosa ti aspetti da un curatore ?

Sensibilità.

Cosa chiedi ad un Gallerista ?

“Audacia, audacia e ancora audacia” diceva Alessandro Magno.  

Grazie Simona per la piacevole chiacchierata

Alessio Musella

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