Marclò: quando la razionalità e il sogno si miscelano diventando arte.

Marclò
Marclò

    Osservando le opere di Marco Lombardi, in arte Marclò, sono molti i grandi del 900 che ti vengono in mente, ma materiali e tecnica usate dall’artista , trasformano immagini iconiche in opere uniche nel suo genere….basti pensare che i materiali principi usati sono scotch colorato e metallo…

    Passo con piacere la parola a Marco, lasciando come sempre che sia lui a raccontarsi rispondendo alle nostre domande:

    Il tuo primo incontro con l’arte?

    Il mio primo contatto con l’arte è avvenuto quando da bambino andavo nella bottega di mio nonno, scultore e intagliatore del legno e ammiravo con curiosità le sue creazioni; a volte lui prendeva un piccolo taccuino e faceva dei puntini con una penna sui fogli bianchi.

    In base a cosa vedeva in quella nuvola di punti con la sua immaginazione, faceva un disegno; poi prendeva il foglio e mi proponeva di fare lo stesso.

    Ricordo anche che da ragazzino passavo le ore della sera a guardare fino a tarda notte le televendite d’arte in tv, ascoltando con passione i racconti dei venditori sulla vita e le opere degli artisti.

    Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

    In realtà non l’ho ancora ben capito e spero di non capirlo mai completamente, perché vorrei poter vivere la mia dimensione d’artista con leggerezza ed energia come adesso e così mantenere la mia libertà di espressione.

    La tua prima opera?

    Ho sempre disegnato e fatto corsi di pittura fin da bambino, ma spinto dal realismo delle “accomulazioni” di Arman, la mia prima vera creazione è stata un’opera intitolata “Contenuti e Contenitori”; una bottiglia smaltata e spatolata con smalto rosso e montata inclinata su tavole di legno vecchio, che versa del silicone bianco in un calice di vetro smaltato in bianco. Due contenitori che dialogano tra loro trasmettendosi una “sostanza” pura, metafora delle relazioni tra essere umani.

    Quest’opera viaggia con me in tutte le abitazioni che ho cambiato.

    Per fare arte bisogna averla studiata?

    La conoscenza è importante, non sempre è determinante nel formare una personalità artistica ma sicuramente apre la mente.

    Da architetto sono entrato in contatto con la storia dell’architettura, dell’arte e del design, letto molteplici riviste di settore e visitato innumerevoli mostre che sicuramente hanno contaminato e continuano a contaminare il mio percorso.

    Non si finisce mai di imparare.

    Cosa unisce i tuoi dipinti e la musica?

    Realizzo sempre le mie opere con in sottofondo musica jazz o vecchie canzoni anni 50-60. La musica contribuisce a farmi sognare, a purificare il mio stato emotivo e fa da trampolino ai voli della mia mente.

    Come scegli cosa ritrarre?

    Negli ultimi anni la ricerca dell’equilibrio è stata il centro dell’indagine sul mio esistere. Molteplici sono le ispirazioni di questa ricerca: l’osservazione ed il dialogo con anziane e sagge figure come i nostri nonni, simboleggianti le nostre radici, i nostri spiriti guida; la sintesi di architetture che inserisco in paesaggi spirituali; la memorizzazione di finestre visive del quotidiano.

    Tutti spunti che mi aiutano a comporre le scene dei miei sogni, animate da figure colte mentre raggiungono uno stato di equilibrio o nell’attimo prima della loro partenza verso un altrove fisico o spirituale.

    Racconto questi attimi attraverso i segni impressi da semplici nastri adesivi su carta o legno accompagnati da piccoli tocchi di smalto steso a spatola o dando forma a presenze corporee uscite dalla bidimensionalità e materializzate in lucide sculture, sempre usando squillanti colori primari che richiamano la purezza delle emozioni.

    Un aneddoto che ricordi con il sorriso?

    È bello sorridere, specialmente sorridere nell’animo.

    Spesso mi accade quando riesco a trasferire il mio messaggio a chi entra in contatto con le mie opere e ne rimane gioiosamente avvolto e rasserenato.

    È capitato in modo particolare quando un’anziana signora, dopo aver acquistato una mia scultura, ha voluto farsi fotografare con me dal marito, abbracciandomi con un calore e uno sguardo di gioia che hanno lasciato in me il ricordo del sorriso sincero.

    Se potessi incontrare un artista del passato chi e cosa gli chiederesti?

    Sarei curioso di incontrare Mirò, Picasso, Calder e domandare ad ognuno di loro cosa sogna ad occhi aperti e ad occhi chiusi.

    Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa gli consiglieresti?

    Gli consiglierei di vivere di più ogni singolo attimo, senza indugiare troppo nei pensieri, di gioire dei piccoli momenti, di non prendersi sempre troppo sul serio, di darsi la possibilità di sbagliare, di credere sempre nelle proprie idee e aspirazioni senza farsi condizionare dagli altri come è capitato a me, che non ho intrapreso studi artistici per dare spazio a quelli tecnici, i quali seppur interessanti e appassionanti, ho piegato alla volontà della mia anima artistica.

    Quanto conta la comunicazione?

    Io amo la comunicazione diretta, quella degli sguardi, dei gesti, del confronto personale, quella delle sensazioni, delle emozioni e molto meno la comunicazione attraverso i media, i monitor, anche se oggi è sempre più difficile vivere la prima, lasciando assoluto spazio alla seconda.

    I media oggi possono essere utili per un primo approccio, molto rapido ed intuitivo, ma sarebbe saggio andare oltre e spesso purtroppo non accade. Per questo prediligo conoscere chi entra in contatto con le mie opere.

    Che differenza c’è nella percezione dell’arte tra Italia e estero?

    Preferisco lasciare agli esperti la risposta; per mia esperienza personale non ho notato grandi differenze tra come il pubblico straniero e italiano percepisce la mia espressione artistica.

    Credo però che in Italia si tenda a porsi in modo critico nei confronti dell’arte, analizzandola, cercando di etichettarla e spesso formando giudizi non del tutto obiettivi.

    All’estero invece si tende maggiormente a valutare l’arte in base alle emozioni che provoca.

    Cos’è per te l’arte?

    Purtroppo o per fortuna l’arte è sempre stata la lente con cui osservo tutte le sfaccettature della vita: è passione, lavoro e insieme hobby.

    Filtro quasi tutto attraverso il canale dell’arte, è immaginazione, comunicazione e sintesi della mia visione del mondo e dell’esistenza.

    Cosa ti aspetti da un curatore?

    Ho avuto molti contatti e collaborazioni con curatori ma lavorando come architetto e non nella mia veste di artista.

    Ho conosciuto varie figure, tutte molto eclettiche.

    Dal mio curatore mi aspetto principalmente sincerità, empatia e professionalità, in modo da entrare subito in sintonia.

    Cosa chiedi ad un gallerista?

    Di vivere la nostra collaborazione con il sorriso e di non tradire il messaggio di speranza e serenità delle mie opere, raccontandole come se lo facessi io, con il sole nel cuore.

    Quanto conta per te la luce e il colore?

    Nelle mie opere uso sempre squillanti colori primari, dalla texture lucida che riflette la luce.

    Colore e luce sono dunque la base delle mie espressioni perché richiamano le emozioni dell’anima.

    Amo la luce del sole ma anche le ombre proiettate dalle figure che colpisce; quelle ombre sembrano quasi vivere di vita propria.

    Cerco sempre di affacciarmi sul mondo, aprendo finestre verso la sua luce ed i suoi colori, così da catturarne l’energia.

    Grazie Marco per il piacere di aver dialogato con è stato capaci di trasformare la sperimentazione e la tecnica in arte.

    Alessio Musella

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