Le Meduse. Un altare contro la malattia

un altare contro la malattia
un altare contro la malattia

Le Meduse, il movimento di arte contemporanea fondato nel 2010 dal critico d’arte Vera Agosti, tornano a riunirsi a causa dell’urgenza sanitaria mondiale per la mostra collettiva virtuale su Instagram e su Facebook Le meduse.

Un altare contro la malattia (account e pagina LeMeduse2020). I contenuti e i video sono leggermente differenti a seconda del social media utilizzato.
L’obiettivo è quello di riflettere su come gli artisti rispondano e interpretino la difficile situazione del presente. Le Meduse hanno una figurazione di ispirazione classica e da sempre riflettono su tematiche sociali attuali.
Gli artisti coinvolti sono Giovanni Cerri, Maurizio Cariati, Anna Madia, Emanuele Gregolin, Iacopo Raugei e Andrea Riga.

Hanno realizzato opere nuove ad hoc proprio nei giorni della pandemia o hanno proposto lavori di qualche anno fa il cui soggetto rientra perfettamente nell’argomento trattato dalla collettiva.
Alcuni pezzi sono in vendita, in base alle disponibilità, e il ricavato sarà devoluto alla Protezione Civile. Per maggiori informazioni, è sufficiente inviare un messaggio diretto all’account Instagram e alla pagina Facebook.

Giovanni Cerri, milanese, figlio d’arte, è il padre spirituale del gruppo che ha fatto da guida ai più giovani. A cavallo tra realismo esistenziale e neoespressionismo, si dedica a una pittura di verità e di testimonianza morale.

Espone con successo in Italia e all’estero. È sempre stato un cantore di Milano e delle sue periferie. La città è intesa anche come metafora della vita. Nei giorni del coronavirus ha terminato due lavori. In 1° marzo 2020. Storia di un’epidemia, per esempio, una tecnica mista, si scorge lontano la torre di Unicredit, simbolo inconfondibile della nuova Milano, e
altri grattacieli e palazzi, mentre in primo piano campeggiano un solo e lungo lampione, emblema della solitudine, e alcuni carrelli della spesa, abbandonati forse dopo l’assalto ai supermercati. Tra i grigi e i bruni, solamente il cielo è un tripudio di colori: azzurri, rossi e gialli, di una luce metafisica che illumina lo scenario desolato.

Maurizio Cariati è nato a Cosenza, vive e lavora tra Milano e Sartano (CS). Si diploma in pittura all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro e all’Accademia di Brera di Milano.
Espone con ottimi risultati in spazi pubblici e privati. Dopo una lunga ricerca figurativa sulle estroflessioni su juta, inizia un nuovo ciclo pittorico dedicato alla natura. La juta resta il materiale prediletto, legato alle tradizioni della sua terra.

In Tutto andrà bene del 2020, acrilico e bitume su juta, un fiore rosso riesce a crescere dove nessuno potrebbe immaginare. Un segno per non perdere la fiducia nel domani. La risposta dell’artista alla pandemia è che la natura è sempre il primo esempio di una speranza che non muore. In una serie di preziosi disegni su carta, Cariati introduce l’elemento dell’ironia che tanto caratterizzava parte della sua produzione del passato, in particolare le tele estroflesse.

Ecco allora i soggetti della mascherina, dell’infermiera o dell’isolamento forzato, che ci riportano al presente e all’attualità.
Anna Madia. Il respiro a metà, olio su tela, 2013
Anna Madia è nata a Torino, ma vive e lavora a Troyes, nella Champagne. Ha vinto
numerosi premi e residenze d’artista. Il suo lavoro è apprezzato anche a livello internazionale. Il suo universo creativo è ispirato alla poetica e all’estetica romantica.

La pittura raffinata ritrae spesso giovani donne calate entro sfondi scuri
indistinti, tratti dal mondo antico. Ragazze belle, ma tormentate, enigmatiche e misteriose, colte in una dimensione onirica. I dipinti richiamano il soggetto delle mascherine che aiutano a proteggerci, nonché il tema della maschera, tanto ricorrente nella sua poetica. Ne Il respiro a metà del 2013, sorta di autoritratto, il dolore è dato dal viso nascosto e negato, dal respiro debole e difficoltoso.

Il centrino, così come altri oggetti escamotage studiati da Anna Madia, quali capelli, parrucche o pizzi, con i quali i personaggi celano il volto, diventano la porta d’accesso a un mondo sospeso tra sogno e realtà. Il ritratto evolve in un non ritratto, collocato in un luogo non luogo, in una dimensione spesso notturna e atemporale.

Emanuele Gregolin è nato a Milano, vive e lavora a Novate Milanese. Ha frequentato la facoltà di architettura al Politecnico di Milano, studiando parallelamente il pianoforte

È attivo in ambito artistico dal 1998, partecipando a numerose rassegne
d’arte e concorsi. Differenti sono le istituzioni pubbliche e private che hanno dedicato pubblicazioni ed esposizioni al suo lavoro. Nell’ultima produzione del pittore, le immagini passano da toni febbrili dal sapore espressionista a forme maggiormente astratte e pulite che si solidificano in un processo sempre più rigoroso, fatto di sospensione concettuale. Ciò appare evidente per esempio nella serie Pagine e nei nuovi lavori sull’emergenza sanitaria.

Nei dipinti di Emanuele Gregolin si assiste a un continuo ritorno di elementi che si fanno simbolici e assoluti:
il Duomo, icona di Milano, il Sole o la molecola del virus, emblema del male dacombattere.

Tra i due, lo sfondo completamente grigio (Città, Milano (Simboli),2020) o nero (Città, Presenze (Milano), 2020), come la nostra solitudine, in cui la
vittoria sulla malattia (Figure, La grande battaglia, 2020) resta l’obiettivo più importante.

Iacopo Raugei, fiorentino, si è laureato in biologia molecolare presso l’Università degli Studi di Firenze. Biologo molecolare presso i laboratori di Medicina Interna di Careggi, nel 2004 si trasferisce negli Stati Uniti dove ricopre la posizione di Ph.D. presso i National Institutes of Health in Bethesda (Maryland)

La sua prima mostra si tiene alla World Bank Art Society di New York nel 2006. Tornato in Italia, nel 2007 consegue un master in Marketing, Comunicazione e Relazioni Pubbliche Internazionali e vince diversi concorsi pittorici. Decide di dedicarsi esclusivamente alla pittura.

Raugei si muove dunque su due binari apparentemente opposti: la
scienza e l’arte e indaga la realtà col taglio di chi ha dimestichezza con gli strumenti di precisione. Talento artistico autodidatta, stupisce per la sua abilità tecnica e la forza delle immagini. Il suo nero, profondo, cupo, a volte lucido e brillante, a volte opaco e ovattato, come fatto di velluto, invade prepotente la tela.

È il protagonista che, secondo l’autore, favorisce l’interpretazione e la contemplazione. Il nero è squarciato da una luce, ora intensa, ora fioca, un faro nella notte, che teatralmente mette in scena la rappresentazione.

In Know thyself del 2008, un acrilico su tavola, viene raffigurato il lavoro dei ricercatori con un focus anonimo sul vetrino e le mani che stanno analizzando un campione per trovare cure e soluzioni.

Andrea Riga è nato a Crotone, vive e lavora a Milano. Si laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro e l’ Accademia di Belle Arti di Brera. Come afferma Riga stesso, il suo intento è dipingere più vero del vero. I dettagli del corpo dei suoi personaggi sono così particolareggiati da raggiungere l’esasperazione, fino a sembrare artificiali. Osservando le figure da vicino, con attenzione, si notano alcuni tratti inquietanti: escoriazioni, bruciature, cicatrici… ; la pelle non è più solo il contenitore protettivo del corpo, ma anche la prigione dell’anima che soffre, come nel drammatico dipinto Accattone del 2012, dove vediamo un uomo che muore per soffocamento o in Sacra Famiglia, Chernobyl, 26 aprile 1986, del 2020, dove visi mutanti si stagliano con ironico contrasto tra palloncini colorati, giostre e arcobaleni.

Il dolore è una componente fondamentale dell’opera di Riga, inteso come una condizione connaturata all’uomo e alla sua esistenza precaria che si concretizza nella scelta di soggetti ai margini, che vivono le realtà conflittuali dell’epoca contemporanea. L’attenzione al dettaglio, la cura con cui riproduce i corpi e i visi ci raccontano del suo sentimento classico nei confronti della bellezza, ma anche della sua capacità di dissacrare, manipolare, ridicolizzare e rendere tragica ogni cosa.

In mostra l’artista porta numerosi soggetti e un’installazione: Covid-19, Sindrome respiratoria acuta grave, acrilico su bidone di plastica sotto teca del 2020, minuziosamente pop

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