INTERVISTA A ANDREA TRISCIUZZI A cura di Maria Marchese

ANDREA TRISCIUZZI
ANDREA TRISCIUZZI

Un “voce silenziosa” , quella di Andrea Trisciuzzi, la cui presenza in prestigiose sedi di tutto il mondo nonché i pregevoli riconoscimenti scandiscono, invece, a pieni polmoni.

Romano, ha una carriera artistica che vanta innumerevoli elaborati plastici e stagioni di rilievo. Dall’arte sacra alla serie dedicata allo sport, ci parla, oggi, di sé.

Il tuo primo contatto con l’arte?

Ferruccio Vezzoni

L’arte intesa come contatto con il primo artista e le sue creazioni è avvenuto quando avevo più o meno 13 anni: ho accompagnato mio padre a Pietrasanta dal Maestro Vezzoni, scultore e insegnante all’accademia di belle arti di Carrara.

Vezzoni collaborava con il negozio di arte sacra di mio padre, all’epoca, e realizzava opere su commissione.

Lì ho toccato per la prima volta un’ opera che stava realizzando in argilla; mi ha dato allora un pezzo di argilla mentre lui apportava delle modifiche alla scultura che stava realizzando e io ho cercato di duplicare i suoi movimenti, così delicati e allo stesso tempo decisi, che modellavano la materia, trasformandola.

Mi sono innamorato dell’argilla quel giorno e da allora è un amore che si rafforza di opera in opera.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Avrò avuto 16/17 anni, lavoravo come magazziniere e trasportatore nel negozio di mio padre; nel magazzino ho trovato delle confezioni di argilla e nel tempo libero ho creato un ritratto di donna.

Quando mio padre l’ha visto ha capito che avevo del potenziale e che era un’estensione del mio mondo fatto di comunicazione non verbale. All’istituto per sordomuti ho imparato a farmi comprendere coi gesti.

È sopraggiunto poi un problema agli occhi così le mie mani anche continuano a parlare da sole, creando quello che ho dentro.

Dopo il mio primo ritratto mio padre mi ha concesso di studiare con il Prof. Ferruccio Vezzoni a Pietrasanta.

Sono rimasto con lui un anno mentre, in realtà, avrei dovuto affrontarne 3 perché questi ha ritenuto che non avevo altro da imparare da lui, che avevo un dono naturale e dovevo semplicemente continuare a creare per trovare la mia strada.

Tornato a Roma, mio padre mi affidò alcuni bassi rilievi per tabernacoli e arredamenti per il culto. Io ho continuato a lavorare per migliorare il mio modellato facendo un autoritratto a grandezza naturale, ed è l’ultima mia opera che ha visto mio padre perché, poco dopo, è deceduto in un incidente automobilistico, occorso nel 1985.

La mia prima opera importante è stata la Madonna di Tindari, con quattro angeli in stile barocco, e una via crucis, alta 6 metri, che si trova presso il santuario di Rocca di Caprileone, in Sicilia.

Da lì diciamo è diventata una professione vera e propria.

Per fare arte, bisogna averla studiata?

Non necessariamente nel senso scolastico della cosa. Il desiderio di creare viene dall’anima: è ciò che potrebbe essere interpretato come ‘dono’ o ‘dote innata’, un’ispirazione che nasce in maniera irrefrenabile, un qualcosa che non puoi fare a meno di esprimere.

Lo studio penso avvenga in maniera naturale, successivamente, per raggiungere un’unione fra ispirazione e la tecnica per concretizzarla: oppure può anche avvenire attraverso la sperimentazione continua di materiali e tecniche, un pochino come un musicista, che sì, deve sapere suonare lo strumento e dunque averlo studiato ma per comporre la sua melodia deve sperimentare prima di ottenere il risultato auspicato.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso ?

Beh, questo mi fa sempre sorridere e anche se non è proprio legato a nessuna delle mie opere è certo legato alla mia formazione.

Come vi ho detto lavoravo come magazziniere e trasportatore per il negozio di arte sacra di mio padre e, in una certa occasione, ho dovuto fare la consegna di una statua in resina bianca di Cristo a braccia aperte, lunga 3mt larga circa 1,70. Per trasportarla avevo una bianchina e il Cristo, sopra il portapacchi di una macchina così piccola, sporgeva parecchio; mentre mi trovavo nel traffico di Roma, ho sentito un rumore (ricordiamoci che sono sordo) ma non riuscivo a capire bene cosa fosse.

Un autobus condotto da un autista romano verace mi supera e l’uomo mi urla dal finestrino: “Te sei perso la mano de Cristo!!! “ .

Ho accostato e recuperato la mano e, per fortuna, a quei tempi avevo sempre con me gli ‘attrezzi nel mestiere’.

Così ho riparato la mano in mezzo al traffico.

La consegna è andate bene e nessuno si è accorto della riparazione, ma la voce dell’autista mi rimarrà per sempre in mente e, ogni volta, mi provoca un gran sorriso.

Se potessi incontrare un artista del passato , chi e cosa gli chiederesti?

Boccioni… gli direi ‘Grazie’ per essere stato fonte d’ispirazione per la serie degli sport.

Quanto conta la comunicazione ?

L’arte è comunicazione.

Non esiterebbe nessun tipo di arte se l’artista non sentisse il bisogno di comunicare attraverso la materia.

Nel mio caso, non avendo avuto modo di utilizzare le parole, ho trasformato l’argilla in parole.😎

Che differenza c’è, nella percezione dell’arte tra Italia e estero?

L’arte è universale, ma si potrebbe dire che l’artista italiano ha il vantaggio di essere cresciuto in un paese ricco in tal senso, cosicché la si può apprezzare, sin da piccoli, semplicemente guardandosi intorno.

Viviamo in un paese anche ricco di artigiani, che sono sempre stati riconosciuti in tutto il mondo come i migliori, e sono spesso “il braccio destro” di noi artisti.

Cosa ti aspetti da un curatore ?

Il riconoscimento della mia esistenza artistica.

Cosa chiedi ad un Gallerista ?

Divulgazione. Il gallerista è come la pagina di un giornale, rivista o libro per uno scrittore: è il mezzo attraverso il quale il suo messaggio viene divulgato.

Una lunga carriere artistica, la tua, scandita da prestigiosi riconoscimenti in importanti sedi, in tutto il modo: ci racconti questi passi?

Nonostante le mie opere di arte sacra si trovino in quasi tutto il mondo, l’opera che ha raggiunto i luoghi più rilevanti è la mia Croce Astile, che si trova ai poli estremi della terra (Polo Nord e Polo Sud) .

È una croce realizzata in dimensioni più ridotte per permettere il trasporto a mano da parte delle spedizioni, che hanno lottato contro gli elementi più difficoltosi pur di raggiungere la meta prefissata.

L’opera, in diverse dimensioni, si trova anche sul K2, sul Monte Bianco, a Courmayeur, a S. Pietroburgo, ecc…

E’ un opera che, nonostante venga considerata arte sacra, nasce dalla sofferenza che si protrae sino all’accettazione della condizione umana; ciò può accadere unicamente attraverso la condivisione e la spiritualità, che ne sanciscono, elevando lo spirito, la risoluzione.

Il braccio teso verso il basso di Cristo è l’accoglienza, l’aiuto a salire al di sopra della nostra condizione; la salita, però, dobbiamo percorrerla noi, con le nostre proprie forze.

L’opera originale è alta 18mt e ci ho messo più di un anno a completarla, lavorando giorno e notte; dopo averla completata sono crollato e ho dormito per 2 giorni di seguito.

Ci ho messo un po’ a riprendermi da questa fatica: è stato veramente un grande sforzo, sia fisico che mentale, non percepito perché alimentato da un profondo amore.

In questa croce ci siamo tutti, specialmente Papa Giovanni Paolo II, che è l’ultima figura più vicina a Cristo; è stato un uomo e un Papa che ho ammirato più di tutti: mi è venuto in sogno mentre scalava una montagna, trascinando con se i fedeli.

Forse lo vedevo già santo chissà, i sogni, l’intuizione e l’ispirazione vanno mano nella mano.

L’originale di 18mt è in attesa di essere collocato sul Monte Baldo.

Un momento forte è stato l’incontro col presidente Giulio Andreotti: mi venne commissionato da Padre Agostino, allora a capo della Chiesa degli Artisti di Piazza del Popolo, un Busto che lo ritraeva.

L’allora presidente mi incontrò personalmente per riceverlo dalle mie stesse mani.

E ancora mi emozionai molto quando, nel 2014, consegnai la statua del ciclista a Simeoni.

Alfonso Signorini mi chiese di realizzare dieci copie della statua “Gli amanti” , che vennero distribuite a Palazzo Butera (dove venne girato “Il Gattopardo” ) a personaggi come la Prestigiacomo, Maria Grazia Cucinotta…

L’ultima ma non meno significativa soddisfazione è intervenuta poco tempo fa: Tiziana Giraldoni, la vedova del cantante Stefano D’Orazio (Pooh), ha voluto per sé il busto del popolarissimo artista. Forte il momento della consegna, per entrambi mi ha poi ringraziato personalmente e pubblicamente, in maniera profonda.

Tra le tante stagioni artistiche, una, in particolar modo, si distingue: quella dedicata allo sport. Quando e com’è nata l’idea e quali discipline hai trattato?

Lo sport è stato ed è una parte importante della mia vita: ho praticato per tanti anni la ginnastica artistica.

‘Il Ginnasta’ sugli anelli è la prima opera della serie degli sport. Ispirato dall’arte futurista e, in particolare, da Boccioni e il suo ‘Forme uniche nella continuità nello spazio’, ho voluto omaggiare lo sport che mi ha formato da giovane e mi ha dato le basi per praticarne altri negli anni successivi.

La fusione dell’uomo e il suo attrezzo è più evidente nell’opera ‘Il Ciclista’.

Alla base della serie sportiva c’è la semplicità, l’essenza del movimento puro e pulito come lo sport stesso.

La serie comprende ‘Il Tennista’, ’Lo sciatore’, ‘Gli schermisti’, ‘la ginnasta’, e ‘il maratoneta’ che ho voluto creare anche in versione paraolimpica per omaggiare gli atleti che come me non si sono fermati nonostante le difficoltà fisiche.

L’arte sacra è parte integrante del tuo percorso artistico… una scelta forte e particolare il dedicarvisi. Ci spieghi da dove nasce questo legame?

L’arte sacra è il forte legame con mio padre e rappresenta questo per me.

Mio padre è la persona che ha creduto in me più di tutti e mi ha permesso di iniziare ad essere quello che sono.

I miei problemi fisici, legati alla vista e l’udito, hanno sicuramente rafforzato la mia spiritualità, permettendomi di ‘sentire’ in maniera diversa: una dannazione e un dono allo stesso tempo.

Ora che ‘non vedo’, paradossalmente, ‘vedo’ meglio di prima.

Hai una grande predisposizione a realizzare opere di dimensioni ragguardevoli, perché?

Prediligo le opere a grandezza naturale perché sono rapportate alla nostra realtà. Non perché con la grandezza do più importanza all’opera bensì per dare all’opera il giusto spazio, nell’infinito reale.

Quando intraprendi una nuova “impresa” , come nasce l’idea?

E’ un lavoro di trasposizione e metamorfosi. L’ispirazione è l’input iniziale, poi, attraverso lo studio di interpretazione che svolgo, il soggetto mi permea e io muto nel soggetto per poterlo foggiare, consentendogli così di comunicare la sua essenza, mediante la materia che plasmo.

Tu spazi tra pittura, scultura, pitto/scultura: quale prediligi?

Sicuramente la scultura.

Le tue opere hanno molto spesso una valenza umana e sociale? A cosa vorresti che conducessero?

Vivo le mie opere come impronte lasciate sulla madre terra, come un simbolico riconoscimento per tutto quello che mi è stato dato e che mi ha permesso di compiere determinati passi sin qui.

Un percorso travagliato, il mio, non facile: ogni opera è una testimonianza che anche il momento più buio s’illumina se si apre la finestra della speranza. Il brutto si può sempre trasformare in bello.

Quanto conta per te essere compreso e quanto vendere?

Secondo me non c’è nessuna correlazione reale fra arte e denaro.

E’ una necessità dare un prezzo ad ogni cosa perché obbiettivamente il denaro è necessario per sopravvivere.

Con l’arte la questione si fa molto complicata.

Ci sono musei che investono per mostrare le opere al pubblico, permettendo a tutti di poter godere del piacere: l’arte è quindi anche investimento; ci sono persone che investono solamente per vedere il prezzo di quell’opera aumentare e non per il piacere di possederla.

Questo circuito costringe gli addetti ai lavori a dare indici e valori agli artisti per renderli ‘commerciabili’.

Non voglio entrare nel merito del giudizio, comprendo, infatti, che è l’unica maniera esistente per valorizzare artista e operato.

Ho avuto la grande fortuna che le mie opere siano state comprate perché apprezzate nella maniera più semplice : ’mi piace’…’lo voglio’…’me lo compro, ma non storco certo il naso verso chi investe in opere d’arte.

Ciò equivale ad investire nelle capacità degli esseri umani che le producono dando poi vita ad una fonte infinita di possibilità.

Cosa vorresti per il tuo imminente futuro dal mondo dell’arte?

Se mi viene concesso, vorrei far circolare le mie opere: mi piacerebbe che venissero esposte in varie gallerie in tutto il mondo.

Grazie Andrea per esserti raccontato attraverso le tue risposte

Maria Marchese

Fotografia in copertina di Renzo Udali

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