Il Mondo surreale di Angelo Accardi.

Angelo Accardi
Angelo Accardi

Cresciuto circondato dall’arte.

Non ha terminato il suo percorso  all’Accademia d’Arte di Napoli, dove si è dimostrato studente di talento, preferendo dedicarsi alla pratica sul campo aprendo un proprio studio creativo.

Assiduo frequentatore di mostre e musei, osserva, ascolta, rielabora …

I suoi dipinti portano con se immagini della vita quotidiana rivisitate con tratti surrealisti e posizionate  in scenari realistici di paesaggi urbani e naturali in una continua sovrapposizione di mondi e immagini.

Le sue opere non hanno mai un solo significato, ma aprono a diverse interpretazioni , ogni dettaglio è una storia da raccontare….

Lascio volentieri la parola ad Angelo Accardi per conoscerlo meglio…

Il tuo primo contatto con l’arte?

Il primo contatto visivo con l’arte che mi ricordi  è avvenuto il primo giorno di scuola all’Istituto Dante Alighieri del mio Paese.

Fummo riuniti dalla Preside nella hall della scuola dove su una parete campeggiava un’opera di un pittore locale Biagio Mercadante che aveva fatto parte della scuola di Posillipo
(scuola napoletana).

Fui molto colpito dall’effetto realistico che mi dava la sensazione di entrare letteralmente nel quadro. E’ una sensazione che ho voluto poi ricreare nei miei quadri.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

il mio percorso di formazione all’Accademia di Belle Arti di Napoli fu breve e determinò in me una crisi creativa profonda.

In quel periodo avevo già messo su famiglia e sbarcavo il lunario facendo mille lavori diversi, senza abbandonare mai il mio obiettivo a lungo termine: vivere di arte.

La tua prima opera?

La mia prima opera fu un esperimento, frutto dell’inesperienza: volevo esordire con una natura morta realizzata ad olio su tela ispirata a cesto di Caravaggio: una mela verde marcia, una foglia secca e un canovaccio.

Ebbene, non conoscendo la tecnica diluii il colore a olio con l’olio di oliva (non avendo altri diluenti) impedendo in pratica al colore di essiccare.

Era un’estate particolarmente calda e il dipinto era diventato una specie di carta moschicida in cui tutti gli insetti restavano intrappolati.

Diedi vita inconsapevolmente a una vera e propria opera concettuale che si arricchiva ogni giorno di malcapitati che rimanevano invischiati nelle trame della mia opera prima.

Per fare arte , bisogna averla studiata?

Come autodidatta sono un bulimico divoratore di saggi sull’arte e infaticabile frequentatore di musei e location artistiche.

La breve parentesi accademica, mi ha comunque impresso una disciplina e un metodo di studio che continua a guidare la mia formazione continua.

Penso che il pericolo di chi va incontro alla conoscenza, sia l’eccessiva consapevolezza che può portare alla paralisi creativa.

Non è il mio caso.

Cosa unisce i tuoi dipinti e la musica ?

C’è un episodio girato da Martin Scorsese nel film New York Stories che mi ha molto colpito: Nick Nolte interpreta un artista in crisi intento a dipinge una grossa tela sulle note trascinanti di “Like a Rolling Stones” di Bob Dylan suonata ad altissimo volume…davvero struggente. Sono un chitarrista e amo tutto il rock degli anni ’70 che ha fatto della chitarra un’indiscussa icona.

Come scegli cosa ritrarre ?

Nel mio Pantheon iconografico convivono esponenti della cultura alta e della cultura bassa, non mi è difficile scegliere tra Elon Musk e Homer Simpson e per non fare torto a nessuno li ritraggo insieme come fossero vecchi amici.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso ?

Quando ho girato il mio primo film autobiografico “Placenta”, era prevista la scena in cui mi imbatto in un branco di struzzi.

Individuiamo un allevamento e organizziamo la scena.

A un certo punto mentre gli struzzi mi passano davanti, ce n’è uno che si ferma e si interessa a me: l’allevatore capisce che deve intervenire, ma non fa in tempo a fermarlo. Fortunatamente il cappello mi ha protetto da una beccata dello struzzo maschio in calore che difendeva il suo harem.

Se potessi incontrare un artista del passato , chi e cosa gli chiederesti?

Farei volentieri una partita a scacchi con Marcel Duchamp per chiedergli di tornare in vita per salvare il dadaismo dai neodadaisti.

Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti ?

Mi direi di fare esattamente le cose che ho fatto: perseveranza e determinazione possono fare miracoli.

Quanto conta la comunicazione ?

Viviamo nel millennio della comunicazione e comunicare è la mia passione.

Penso che l’incomunicabilità non esista, esiste l’incomprensione e quando si verifica la colpa è sempre dell’emittente che invia messaggi contraddittori o fuori target.

Penso che ci sia molta confusione sui media e sui social che danno l’illusione di essere connessi con tutti.

Per fortuna un artista non si pone il problema dell’immediato e dei tatticismi che usano spesso le aziende per svuotare gli store, ma utilizza livelli subliminali che rendono la sua comunicazione universale.

Che differenza c’è, nella percezione dell’arte tra Italia e estero?

L’Italia ha la fortuna di possedere un patrimonio artistico concentrato in un piccolo territorio per cui l’eventualità di imbattersi durante la propria vita in un’opera d’arte di pregio è molto più alta qui che altrove.

Tuttavia l’Italia non eguaglierà mai i paesi scandinavi e non solo, nella valorizzazione del patrimonio artistico dove ogni singola pietra, manufatto o vestigia del passato gode di un sistema museale di grandissima efficienza.

Cos’è per te l’arte?

L’arte per me ha a che fare con la libertà: una dimensione di pura creatività, negata a qualsiasi altra categoria che dovesse sottostare a obblighi gerarchici per controllarne l’attività.

L’artista è una strana creatura che sovverte le leggi della fisica e sfida l’ira degli dei, pur di affermare la propria ribellione che aspira alla libertà.  

Cos’è per te la musica?

Per me la musica è un flusso emotivo che accompagna spesso le mie maratone pittoriche. In particolare il suono della chitarra elettrica, gli impasti tra chitarre diverse dalla più pastosa distorta a quella cristallina delle ballad acustiche sono la mia colonna sonora preferita.
Kandinsky attribuiva alla musica una dimensione astratta esclusiva rispetto alle altre muse. Da questa constatazione è nato l’astrattismo: invenzione pura.

Cosa ti aspetti da un curatore ?

Da un curatore mi aspetto che “veda oltre”.

Aspetti che potrei anche ignorare ma che chi si prende “cura” del tuo lavoro ha il potere e la competenza per renderli unici.

Un curatore ti conosce meglio di come ti conosci tu.

Cosa chiedi ad un Gallerista ?

Devo la mia ascesa nel circuito dell’arte, alla lungimiranza e alla professionalità di alcuni galleristi che hanno amato la mia arte e l’hanno fatta crescere senza
pressioni.

Quanto contano per te la luce e il colore?

Il mondo Pop è un mondo molto colorato e carico di luce!

Considero il colore e la luce effetti speciali che ricreano  il mondo.

Grazie Angelo per la piacevole chiacchierata

Alessio Musella

Intervista in collaborazione con Eden Gallery

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