Harry Greb e l’imprevedibilità della street art.

Harry Greb
Harry Greb

La presentazione dell’artista Harry Greb che segue è di Giovanna Canu.

Harry Greb inizia con una formazione da pubblicitario ma lavora per diversi anni nel settore dell’abbigliamento realizzando lavori per diversi brand.

Si affaccia al mondo della Street Art nel 2020 col discusso e sorprendente Papa Francesco nei panni della protagonista del film Kill Bill di Q.Tarantino.

Di li una serie di opere ed esposizioni che raccontano la cronaca e il costume italiano ed internazionale degli ultimi anni.

Dagli omaggi a Morricone, Gigi Proietti, Monica Vitti a Mourinho sulla vespa, Donald Trump, Putin, la premier Giorgia Meloni e tanti altri.

Raccontati sempre con irriverenza e ironia; ma anche tanti temi sociali toccati dall’artista, sempre con un messaggio ben preciso.

Dalla piaga dei senza tetto, al fenomeno migratorio a cui ha dedicato l’ultima esposizione “Borders”, ai diritti delle donne, dei nativi e comunque sempre dalla parte dei più esposti anche con diverse iniziative benefiche.

Le opere sono apparse in diversi punti di Roma e qualcosa si può trovare anche all’estero (Londra).

Autore della poster art italiana è oggi considerato il più incisivo e geniale esponente dell’ Artivismo, infatti i suoi lavori sono spesso dei veri e propri manifesti di protesta sociale.

Il tuo primo contatto con l’arte?

Difficile trovare una data o un momento preciso.

L’arte è istinto, nasce da un’intuizione, è una compagna di vita che ti segue da quando sei piccolo, da quando per la prima volta rimani senza fiato di fronte a un paesaggio o un quadro…poi certamente crescendo, arrivi alle scuole superiori dove, se sei fortunato, incontri professori che ti trasmettono la curiosità e la passione per la storia dell’arte o per le varie tecniche della grafica.

Questo è quello che mi è successo e che riguarda sicuramente più l’aspetto teorico.

Per la pratica dovranno passare diversi anni in cui ho cominciato a lavorare come grafico su collezioni di abbigliamento fino a sperimentare soggetti di pop Art su quadri con cornici antiche.

Il passaggio alla Street art 3 anni fa, quando ho cominciato a mettere i miei lavori in strada.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

L’ho capito probabilmente proprio 3 anni fa quando dopo aver raffigurato Papa Francesco sono stato portato in questura dalla polizia e sui giornali si parlava di questo autore sconosciuto…quello è stato il primo segnale.

La tua prima opera?

La prima opera di Street Art credo sia quella che raffigurava Trump e Putin che si stringevano la mano in un contesto poco rassicurante.

Anche se quella che ha cambiato è stata quella fatta qualche settimana dopo, con il Papa protagonista stile Kill Bill di cui parlavo prima.

Quella fu l’inizio simbolico di un strada che ancora sto percorrendo.

Era il 3 gennaio del 2020.

Per fare arte , bisogna averla studiata?


Non necessariamente studiata ma bisogna averla vissuta.

Secondo me per fare arte devi aver avuto un percorso in cui l’arte era presente, ti ha in un certo senso condizionato, deve averti intrigato, ammaliato.

E per fare ciò si deve avere una predisposizione e una sensibilità quasi genetica direi.

Poi certo se uno se ne appassiona studiandola è ancora meglio e viene tutto più naturale.

Cosa unisce i tuoi dipinti e la musica ?

Diciamo che spesso l’arte e la musica sono un tutt’uno, nel senso che per creare e dipingere un soggetto ho bisogno della musica, mi accompagna, mi aiuta nel lavoro di creazione.

Nel momento in cui sento di avere l’idea giusta cerco anche la musica adeguata che accompagnerà poi tutto il processo creativo.

Per questo posso dire che la musica è fondamentale nella realizzazione, ne è parte integrante.

Come scegli cosa ritrarre ?

In realtà è come se il soggetto o l’argomento scegliesse me. La scelta è sempre determinata da qualcosa che mi colpisce.

Un fatto, un personaggio, un fenomeno sociale che in un determinato momento mi crea interesse, mi provoca sdegno o semplicemente mi emoziona.

È come se nel continuo bombardamento mediatico a cui siamo sottoposti ci sia tra tutte qualcosa che faccio fatica a lasciare andare; a volte questo processo è immediato, istintivo, altre invece è più ragionato più complesso.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso ?

Mi ricordo che una volta, anzi quella che si può considerare la prima volta, alcuni esponenti delle forze dell’ordine mentre scattavano alcune foto di un mio lavoro mi chiesero poi di toglierlo ma mi dissero anche.. “ma perché non lo fai diventare un lavoro a tempo pieno?..sei bravo!”.

Peccato che dopo 5 minuti mi stavano accompagnando in questura notificandomi anche una denuncia.

Ecco se ci penso oggi mi fa un po’ ridere anche se in quel momento aveva il sapore amaro della beffa.

Se potessi incontrare un artista del passato , chi e cosa gli chiederesti?

Ce ne sono diversi e di diverse epoche che mi piacerebbe incontrare; ma probabilmente chiederei a Egon Schiele se era consapevole che il suo tormento, il suo disagio avrebbe conferito alle sue opere questo alone malinconico e una bellezza unica che le avrebbe rese immortali e soprattutto sempre attuali.

Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti ?

È una cosa a cui penso spesso..mi consiglierei sicuramente di intraprendere prima il percorso artistico ma soprattutto di credere in ciò che l’istinto mi diceva e che anche gli altri mi dicevano. Solo che a quell’età si è dei testoni distratti da tante cose, o almeno lo ero io.

Quanto conta la comunicazione ?

La comunicazione è fondamentale soprattutto in questo momento storico.

Si può fare il lavoro più bello del mondo ma se si è oscurati nessuno lo potrà vedere.

Purtroppo però oggi la comunicazione a volte supera addirittura questo confine definendo le sorti di un lavoro a prescindere dalla sua effettiva validità.

La bellezza e la genialità di un bel lavoro sono messe alla stregua del giusto canale divulgativo.. così va a finire che conta di più avere dei contatti e conoscenze piuttosto che avere talento.

Vedo passare o addirittura imporre alcune cose che in realtà sarebbero banali ma che un’adeguata copertura mediatica fa si che questa realtà sia ribaltata convincendo la gente che siano delle cose originali ed esteticamente valide.

È un peccato.

Che differenza c’è, nella percezione dell’arte tra Italia e estero?

È un paradosso che in un paese come il nostro in cui la creatività, lo stile e quindi l’arte in tutte le sue forme nasce e fa parte della nostra storia..ci viene invidiata e imitata da tutti gli altri sia invece il posto in cui chi fa arte viene quasi ostacolato, come se ci si occupasse di qualcosa di superfluo o addirittura superficiale rispetto al resto delle attività.

Questo fa un po’ rabbia perché all’estero, in molti paesi comunque, l’arte vie è riconosciuta in tutta la sua importanza e considerata essenziale per la società civile.

Cos’è per te l’arte?

L’arte per me è creare un’emozione. Immergersi nella propria creatività e tirare fuori un messaggio, un qualcosa da donare.

L’arte è una sorpresa, un regalo inaspettato.

Cosa ti aspetti da un curatore ?

Mi aspetto condivisione, che si capisca il punto di vista dell’artista.

Avere la stessa visione è fondamentale e di conseguenza la possibilità di trasmetterla al pubblico.

Ma parte tutto da un pensiero condiviso.

Cosa chiedi ad un Gallerista ?

Da un gallerista mi aspetto più o meno la stessa cosa ma con un pizzico di schiettezza in più, un occhio critico che deve condividere sicuramente il messaggio ma soprattutto l’idea, il perchè, l’anima dell’opera.

Quanto contano per te la luce e il colore?

La luce e il colore sono gli alleati che ha un artista per comunicare, fondamentali nel rendere l’espressività di un’opera.

Permettono di rendere concreto ciò che hai visto nella tua mente.

Una volta indovinati questi due aspetti l’opera è completa al 90%.

A volte provo e riprovo finché non ottengo il giusto impatto visivo.

Grazie Henry per aver condiviso con noi parte di te…

Alessio Musella

Intervista pubblicata in collaborazione con Borgo Pio Art Gallery

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