Glenda La Rocca e la sua ricerca pittorica.

Glenda La Rocca
Glenda La Rocca

L’arte ha diverse sfaccettature, sono infiniti i percorsi che chi decide di abbandonarsi a questo splendido universo può prendere, sentieri già battuti, o completamente nuovi…

Glenda ha respirato molti mondi per comprendere come arrivare alla tela….

Lascio volentieri a lei la parola..

Il tuo primo contatto con l’arte?

Ho un ricordo molto romantico del momento in cui ho capito che avrei voluto fare arte da grande.

Avevo appena cinque, vivevo a Licata, in Sicilia, dove sono nata, e stavo guardando con i miei genitori un documentario riguardante la Cappella Sistina.

Chiesi a mio padre se esistessero i “pittori femmina”, così le chiamai.

Lui mi rispose che certamente esistevano ed io affermai in quel momento che sarei voluta diventare un “pittore femmina”.

Il giorno dopo lui si presentò con un kit di piccole tele e colori ad olio per me.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Esattamente due anni fa.

Per circa vent’anni ho vissuto a Roma, dopo il diploma all’Accademia di Belle Arti ho iniziato a lavorare nell’industria cinematografica in qualità di make-up artist.

Il cinema mi ha dato tantissimo, mi ha fatta crescere, mi ha fatto conoscere tante splendide persone e posti meravigliosi, però prendeva quasi tutto il mio tempo, avevo la sensazione di vivere una vita che non fosse la mia.

È stato difficile.

Stavo lavorando sul set di “The House of Gucci” di Ridley Scott quando ho realizzato che dovevo riprendere in mano la mia vita e dedicarmi a ciò che mi stava maggiormente a cuore, la mia pittura.

E così ho deciso di trasferirmi a Milano, prendere uno studio e semplicemente dipingere a tempo pieno con l’obiettivo di trasformare quello che era un sogno nel cassetto in una realtà.

La tua prima opera?

La prima opera in cui sono riuscita a mettere veramente me stessa è stata “Red Hot Peperone”, l’ingrandimento del dettaglio di un peperone rosso realizzato durante gli anni dell’Accademia che portava con sé in maniera del tutto involontaria una forte carica erotica. Quella fu anche la prima di una lunga serie di opere in cui la ricerca pittorica muoveva dall’osservazione della natura, i cui elementi venivano quasi sempre isolati e ingigantiti rendendone difficile la riconoscibilità immediata. 

Mantenendo sempre presente un richiamo alla sfera dell’umano, dalle emozioni e al linguaggio del corpo. 

Per fare arte, bisogna averla studiata?

Per fare arte bisogna studiarla costantemente.

Fondamentale è lo studio dei grandi maestri del passato, ma altrettanto necessario confrontarsi con il contemporaneo.

Il mantra è “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”

Cosa unisce i tuoi dipinti e la musica?

La musica per me accompagna e amplifica, sia nella sua presenza che nell’assenza, il momento creativo inteso come l’atto stesso del dipingere.

Come scegli cosa ritrarre?

Questa è una cosa un po’ complessa da spiegare con le parole, non c’è una vera e propria ricetta.

Le idee nascono da un mix tra la riflessione su argomenti che mi stanno a cuore, la continua ricerca di immagini fotografiche, molte realizzate da me stessa, il bisogno e la voglia di comunicare.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso?

Sicuramente devo tornare indietro agli anni dell’Accademia a Roma.

Il mio professore di pittura, Andrea Volo, ha sempre avuto a cuore il suo lavoro e non faceva sconti o regali a nessuno.

Alla fine del terzo anno, mi impose di fare l’esame a settembre e di portare 5 tele da un metro e mezzo per due.

Le sue parole vedendomi entrare con quelle opere furono: “Signorina, quest’estate è stata a Lourdes?”

Questo era il suo modo per fare dei complimenti e fu una grande soddisfazione esser riuscita a far ricredere un artista per il quale nutrivo e nutro grande stima,

Quelle parole mi fecero sorridere per tutta la giornata.

Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?

Il mio amante segreto nei miei sogni fin da ragazzina è sempre stato Van Gogh, avrei voluto incontrarlo e guardarlo dipingere.

Quando gli attivisti di Just Stop Oil hanno lanciato la zuppa di pomodoro sui suoi girasoli si è discusso tanto riguardo a quanto fosse giusto o meno utilizzare i simboli dell’arte, mettendoli anche a rischio, per sostenere il bene dell’ambiente e in generale dell’umanità.

Io avrei voluto chiedere a lui la sua opinione a riguardo.

Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti?

Direi: ascoltati, ascolta il tuo cuore, non seguire i consigli delle persone che sostengono di parlare per il tuo bene, perché loro, pur volendoti bene, non hanno ancora gli strumenti per capire e accettare chi sei.

Impegnati a essere te stessa, a credere in te e soltanto così anche loro potranno conoscerti e amarti per quella che sei.

Quanto conta la comunicazione?

Come ho detto prima la voglia e il bisogno di comunicare ciò che mi sta a cuore sono parte fondamentale del mio processo creativo.

Non mi considero brava con le parole e dipingere è il mio modo di esprimermi.

Col tempo però ho capito che parole e immagini, suoni e colori, funzionano meglio insieme. Spesso noi artisti pensiamo che l’opera debba parlare da sola, ma crescendo mi sono ammorbidita sulla questione.

Così come un libro ricco di immagini diventa comprensibile a più persone lo stesso avviene con un’opera se accompagnata da un testo.

Che differenza c’è, nella percezione dell’arte tra Italia e estero?

Per quella che è la mia esperienza credo che la differenza stia nel fatto che in Italia, rispetto all’estero, la cultura sia sottovalutata e a volte troppo elitaria.

Facciamo fatica a considerare l’arte in generale una professione vera e propria.

Cos’è per te l’arte?

L’arte è molte cose.

Fare arte per me è in primis una vocazione ed un salvavita.

È anche un modo per dare il mio contributo umano e sociale.

Raccontarmi, raccontare le mie esperienze ed idee mi apre al confronto e alimenta il dialogo con gli altri.

Cosa ti aspetti da un curatore?

Da un curatore mi aspetto innanzi tutto collaborazione, sostegno, stima reciproca e professionalità.

Mi aspetto tante critiche costruttive, e che abbia le competenze e la sensibilità per valorizzare il mio lavoro e per presentarlo al meglio.

Cosa chiedi ad un Gallerista?

Anche con un Gallerista ritengo sia importante instaurare un rapporto di stima reciproca per poter iniziare una collaborazione fruttuosa per entrambi.

Ciò che chiedo è onestà e la voglia di investire il suo tempo nella promozione del mio lavoro.

Quanto contano per te la luce e il colore?

Da uno a cento, cento! Prima di essere un’artista sono una pittrice e luce e colore sono i due elementi di base nella costruzione di un lavoro pittorico.

Scegliere la palette cromatica, quali colori includere e quali escludere, scegliere la luce, la sua intensità e il suo calore, creare o meno contrasti, cromatici e/o di luce-ombra, sono questi gli strumenti che una pittrice usa per fare il proprio lavoro.

Sono come argilla e acqua per modellare.

Grazie Glenda per la piacevole e interessante chiacchierata

Alessio Musella

Artista segnalata da Paola Fiorido

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