David Berkovitz: evoluzione creativa.

David Berkovitz artista
David Berkovitz artista

David ( Alessandro il suo vero nome)  è italiano, di Bologna.

Ha scelto come nome d’arte David Berkovitz, serial killer Newyorkese.

Così come le sue opere, la scelta del nome, non ha una visione univoca.


Berkovitz, nella fattispecie, fu il primo caso mediatico in cui venne istituita una task force per la cattura.

E’ la parte buia di ognuno di noi, la parte nascosta, la parte lasciata a se stessa, in una società conscia di ciò che accade, ma piuttosto che agire, preferisce “spettacolarizzare” il mostro.

Contemporaneamente, nel suo immaginario, ogni uomo, in senso lato, porta in se un elemento oscuro che si ribella, al sistema…

L’artista da sempre vive la vita con durezza.

Combatte, protesta, come spesso accade a chi vive di creatività, passa periodi di silenzio e momenti di fervida attività.

È un autodidatta che ha cominciato come writer per poi immergersi nella musica, ottimo chitarra, nella scrittura…

Una personalità artistica così complessa non può essere riassunta in un’introduzione di poche righe, per questo lasciamo volentieri il piacere di raccontarsi a David…

Il tuo primo contatto con l’arte?

Io nasco come writer negli anni 90, quando la cultura hip hop era ancora una subcultura relegata a pochi individui, antesignani di quello che oggi è un movimento conclamato.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Ho deciso di dedicarmi completamente all’ arte visiva durante il periodo Covid.

Le due cose non sono mai state completamente scisse e ancora oggi, prima che professione, è necessità.

La tua prima opera?

In assoluto, un lavoro fatto in un garage all’età di 14 anni.

Più di recente, una volta tornato all’arte visiva, fu la creazione di un elemento che fosse rappresentativo di Materia ed Energia.

Nacque il Cubo di Berkovitz con cui poi, iniziò il mio viaggio e la mia ricerca attuale.

Per fare arte , bisogna averla studiata?

Non ritengo che l’approccio accademico sia fondamentale, per quanto ritengo che lo studio, sia fondamentale sia a livello espressivo, quindi la conoscenza tecnico/pratica che permette di mettere in atto un processo, e sia a livello interiore.

Lo studio personale, nella fattispecie, permette visioni nuove delle cose e prospettive differenti.

Cosa unisce i tuoi dipinti e la musica ?  

La musica è mia compagna di vita da sempre. Ho scritto e suonato per diversi anni in una band e la scrittura e la composizione di canzoni fanno ancora parte della mia vita.

Nelle divaricazioni musicali, cerco di rappresentare visivamente lo spazio che intercorre nelle note. Suonare uno strumento a fiato, ad esempio, significa decidere gli spazi di vuoto e di pieno andando così a creare una nota.

Diverse note creano accordi ed armonie. Io cerco di riproporle visivamente, andando a stimolare la parte estetica dell’ “osservare”.

La ripetizione ossessiva di un ritmo visivo mi permette di entrare in una sorta di “spazio musicale osservativo.”

Come scegli cosa ritrarre ?

Ciò che ritraggo attualmente sono simboli arcaici.

Fermo restando che il mio ritrarre si discosta da un ritratto figurativo.

Ora, in questo momento esatto, sto lavorando su dei Forconi, che ricordano la Menorah ebraica. La stessa ha vari riferimenti simbolici.

Dalla luce Divina, al sistema planetario, alla creazione dell’ universo. In questo caso, un universo personale. Altri simboli che mi appartengono sono l’ uroboro che simboleggia l’eterno ritorno e la croce, in una visione di ciclicità e di ascensione.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso ?

Ad un concorso da ragazzo, durante la premiazione, io non ero presente, non sapendo che avrei vinto.

Hanno iniziato ad annunciarmi ed io con il mio “savoire faire”, mi sono presentato solo perché un caro amico, ha iniziato a cercarmi per tutta la villa. 

Se potessi incontrare un artista del passato , chi e cosa gli chiederesti?

I miei riferimenti sono diversi.

Potrei parlare dei più riconosciuti, ma credo che mi piacerebbe conoscere Malevic e forse, più che chiedere, mi piacerebbe andare a bere con lui e respirare ciò che respirava.

Capire cosa scatta all’ interno di un individuo che faccia sì, che la sua visione di ciò che ha attorno, è quella che poi riesce a rappresentare nei suoi lavori.

Quadrato nero, è per me un riferimento.

Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti ?

Prenditi cura di te, preservati e tieniti distante dai saltimbanchi e dalle attrazioni del circo.

Quanto conta la comunicazione ?

La comunicazione è fondamentale. 

Che differenza c’è, nella percezione dell’arte tra Italia e estero?

A mio avviso, oltre ad avere una cultura stantia nella visione delle opere, in Italia, si tende a ricercare l’ accomodante e ciò che si accompagna bene all’ arredo di casa.

In seconda battuta si fa riferimento all’ investire e il pubblico è tendenzialmente un pubblico di diverse primavere.

Quando si compra un’ opera, si compra una storia, un vissuto e un racconto.

All’ estero, si è più aperti a certi tipi di innovazione e a certe forme d’arte e, sempre secondo le mie conoscenze, lo stesso pubblico è più eterogeneo.

Cos’è per te l’arte?

Per me una necessità.

E’ una religio a cui aggrapparmi quando tutto intorno si fa confuso.

Una trascendenza che mi permette di allontanarmi dal mondo materiale ed avvicinarmi al divino. 

Cosa ti aspetti da un curatore ?

Mi aspetto la Cura e l’ attenzione che lo stesso deve avere per la buona riuscita di un progetto.

La società, curatore/artista deve muoversi conscia dei propri ruoli. Nella mia visione ideale, l’ artista deve essere sollevato dalle incombenze burocratiche e deve dedicarsi solo alla produzione di opere.

Cosa chiedi ad un Gallerista ?

La risposta è similare a quella precedente.

Con la sostanziale differenza che un gallerista deve essere anche un buon venditore. 

Quanto contano per te la luce e il colore?

La luce nei miei lavori è fondamentale.

Una illuminazione idonea esalterà la parte scultorea del mio lavoro e metterà in risalto le ombre, creando profondità ed equilibri.

La luce senza ombre non esiste, l’ ombra senza la luce non esiste. 

Il colore, ad oggi, non è presente nei miei lavori se non in poche e sussurrate realtà.

Non lo utilizzo, ma lo apprezzo molto e lo riconosco come fondamentale.

Non escludo in futuro di renderlo integrato nella mia ricerca.

Grazie David , per la piacevole chiacchierata .

Alessio Musella

Intervista in collaborazione con Agostino Art Gallery

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