Dario Ballantini, la sua vita sulla tela…

Dario Ballantini
Dario Ballantini

Quella di Dario Ballentini per l’arte è una grande passione che parte da lontano, la respirava tra le mura di casa, osservava, chiedeva,  curiosava…

Potrei dilungarmi nel raccontare la sua carriera, ma come sempre , preferisco sia il protagonista dell’intervista a dialogare con noi attraverso le sue risposte alle nostre domande.

Il tuo primo contatto con l’arte?

Già nella primissima infanzia. Mio padre dipingeva, i miei zii dipingevano. Livorno è una città piena di pittori ed io comunque già alle elementari aiutavo i miei compagni a disegnare meglio.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

L’ho sempre voluto e desiderato però indubbiamente nel 2001 il successo di vendite della mostra di Verona alla Galleria Ghelfi mi ha proprio fatto capire che c’era un mio mercato.

La tua prima opera?

Aldilà del fatto che ho sempre disegnato e scarabocchiato su tutti i diari di scuola indubbiamente considero la mia prima opera il ritratto di Pierpaolo Pasolini che tentai di portare ad una mostra a lui dedicata a 10 anni dalla scomparsa. È del 1985.

Per fare arte, bisogna averla studiata?

Non solo, ci vuole anche il talento naturale, un certo tipo di visione compositiva dell’opera. Senz’altro averla studiata serve perché tutti siamo frutto anche di quello che assorbiamo.

Cosa unisce i tuoi dipinti e la musica?

La musica accompagna benissimo più di intenzioni didascaliche, ambienti, comfort e cornici. Spesso il potere ipnotico di certe musiche può dare impeto e quasi ispirare la realizzazione di un’opera.

Come scegli cosa ritrarre?

Non scelgo perché dipingo sempre quello che sento sgorgarmi da dentro.

Di sicuro metto al centro l’essere umano in tutte le sue sfaccettature ed innumerevoli interpretazioni.  

In qualsiasi contesto riferimenti al volto ed ai significati del corpo conferiscono la cifra che voglio dare alla mia poetica.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso?

Uno degli insegnanti di pittura che quando venne ad una mia mostra, convinto che dipingessi cose legate all’allegria ed al mondo comico, fu costretto a coniare un nuovo termine “No! Ti Devi smacabrare”.

Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?

Chiederei a Picasso perché temesse tanto il confronto con Modigliani.

Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti?

Di fare molte più pubbliche relazioni, di studiare di più, di conservare tutte le opere e di frequentare ancora di più altri pittori maturi (come comunque ho fatto).

Quanto conta la comunicazione?

Oggi la comunicazione conta tanto. C’è troppa distrazione, troppa offerta ed un alto rischio di superficialità e fraintendimenti.

Che differenza c’è nella percezione dell’arte tra Italia e estero?

In Italia siamo eccessivamente abituati ad opere d’arte, a proposte artistiche, al dilagare di arte amatoriale.

Ciò è dovuto al fatto che siamo un paese pieno anzi stracolmo di arte.

Credo che la differenza sia lì e forse c’è più rispetto da parte di fruitori che non appartengono un popolo così ricco di talenti.

Cos’è per te l’arte?

L’arte è soprattutto il mistero di come si possa rappresentare qualcosa in maniera ultra-umana.

Qualcosa che sta solo nell’opera d’arte e non da altre parti, qualcosa forse di scovato sopra le nostre teste, dove albergano forze superiori… l’artista è come un’antenna che riesce a pescare nell’ignoto dove si scoprono armonie e concetti non spiegabili che però parlano al cuore di tutti.

Cosa ti aspetti da un curatore?

Il rispetto per l’essenza dell’artista ed il rispetto per le opere che, se esposte male, illuminate male o senza un senso ottico di equilibrio, possono danneggiare l’intera mostra.

Cosa chiedi ad un gallerista?

Di credere davvero che sia un privilegio condividere il mondo delicato e prezioso di un artista quindi di individuare il modo migliore per fidelizzare i suoi contatti verso chi ama davvero l’arte.

Chiedo di diventare complice del mio mondo.

Quanto contano per te la luce e il colore?

Mio zio mi diceva che il chiaroscuro è tutto quindi luce e ombra danno la vibrazione di un quadro.

I colori li ho scoperti più tardi, dopo anni in cui rimanevo su quadri mono tonali. Il rapporto con i colori è difficile, è una lotta contro una tigre che è tanto bella ma anche tanto pericolosa. Non si può affidare solo ad un effetto cromatico l’importanza del segno che si vuole lasciare. In definitiva prediligo il segno.

Grazie Dario per il tempo a noi dedicato, è stato molto interessante entrare in contatto con il tuo universo creativo legato all’arte.

Alessio Musella

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