Conosciamo meglio Graziana Conte.

Graziana Conte
Graziana Conte

Tra Fotografia e Arte c’è un rapporto speciale, un filo unisce queste due forme di espressione dando origine, spesso , a lavori unici nei quali la tecnica gioca a rincorrere la creatività..

Abbiamo fatto qualche domanda a Graziana Conte, per capire da dove nascono le sue immagini….

Il tuo primo contatto con l’arte?

Fin da piccola mi divertivo nel collegare dettagli e costruire semplici figure geometriche.

Giocavo, ad esempio, con Supermag, un gioco per bambini ma anche per adulti, e attraverso queste barrette colorate che avevano delle calamite alle estremità, mi ingegnavo a comporre triangoli, quadrati.

Ovviamente, allora non lo sapevo ma è stato il mio primo avvicinamento all’arte.

Come scegli cosa ritrarre ?

Inizialmente è come un fulmine.

Un’idea che mi si forma nella mente.

Questo processo, di solito, dura tanto tempo, non metto subito in pratica quello che ho pensato. Passano diverse settimane, a volta anche mesi.

A volte mi segno con parole brevi quello a cui ho pensato per non dimenticarlo.

Dopo questo periodo di attesa e di incubazione interiore, parto coi bozzetti di carta, con un disegno, una matita, o una penna con una punta molto sottile, disegno anche i vari movimenti del corpo che devo compiere quando sarò in camera oscura, davanti alla macchina fotografica.

I disegni sono schizzi, non sono perfetti, anche perché i dettagli, la precisione dei movimenti e degli sfumati li realizzo in post-produzione. Dopo i bozzetti, inizio con le riprese del mio corpo in camera oscura.

Dopo essermi fotografata, che è un processo assai laborioso, assembro il materiale in post-produzione, quasi sempre in forma speculare.

Spesso sono intuizioni, altre volte studio attentamente i fenomeni della natura, quelle combinazioni o equazioni della realtà, che sono nascoste all’occhio umano, così da arrivare ad essere sia originale nel segno sia anche realistica.

Ordino così i vari movimenti che si sono prodotti in camera oscura.

Dopo, con una tavoletta grafica, mi dedico alla pittura digitale di quanto ho composto, soprattutto alcune parti, le espressioni o i sentimenti o i simboli che sono celati dentro.

Molte idee vengono scartate, perché vedo imperfezioni ovunque che devono essere migliorate.

A volte è capitato pure che, per rabbia, sconforto o insoddisfazione, io abbia eliminato tutto. Soltanto quando posso dirmi soddisfatta, si arriva alla forma definitiva dell’opera.

E’ un processo assai lungo e faticoso, da un punto di vista fisico e psicologico.  

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Ad un certo punto della mia vita, ho capito che spesso avevo bisogno di mettere ordine nella mia mente. Tutto mi trapassa: le forti luci, i rumori, la caoticità delle cose che accadono. Avevo bisogno di ordine, simmetria.

Quando creo, infatti, ristabilisco il mio equilibrio.

È il mio ossigeno.

La tua prima opera?

Lo ricordo benissimo. “Medusa”.

Un giorno, giocando con i movimenti del mio corpo e i riflessi d’acqua, mi accorsi che anche il corpo umano e i suoi movimenti sono un sistema di costruzioni.

Per fare arte , bisogna averla studiata?

Direi di no.

A scuola dimenticavo sempre tutto.

Apprendevo, inconsciamente, basandomi sull’osservazione e sulla sperimentazione.

Potrei dire che il metodo induttivo <-> deduttivo è quello su cui si fonda ad oggi la mia arte. 

Ovvero, le idee mi arrivano improvvisamente, ho delle intuizioni del tutto casuali, che spesso partono da fenomeni che ho osservato in natura, dunque in questa prima parte sono induttiva, ma poi arriva la logica, e mi concentro su uno schema che si ripete, sulla somma di due o più soggetti che siano armonici tra di loro, ordinati secondo un equilibrio che infine mi soddisfi.

Il metodo dunque è inizialmente intuitivo, poi, nel farsi, diventato più rigido, quasi matematico. Se ci pensiamo bene, tutto ciò che si regge in natura, è fondato sulla matematica.   

Cos’è per te l’arte?

L’ arte è innanzitutto intuizione, seguita poi dalla logica.

Ho sempre creduto nei sistemi numerici, naturali e di tipo motorio, e la mia arte si fonda su questo schema ricorrente. Il ritmo e il tempo sono fondamentali; il ritmo è vita, tutta la nostra esistenza è scandita da ripetizioni regolari: la respirazione, le fasi lunari, anche molti organismi viventi che crescono seguendo precisi ritmi geometrici; le mie opere sono spesso realizzate sulla base di figure geometriche. 

Un aspetto a cui tengo molto e che si rivela spesso nelle mie opere è il senso del tempo e dello spazio; si rivela sia da un aspetto psicologico che simbolico.

Lo spazio non è fisico, non è reale, non è misurabile, è prodotto psico-percettivamente dalle forse spaziali, definito dalle forme, dalle sfumature e dall’attività psichica dell’osservatore. Adoro giocare con le forze spaziali e la percezione visiva tra figura e sfondo, celando simboli e letture criptiche. 

Un aneddoto che ricordi con il sorriso ?

È curioso, ma è così: i miei unici nemici sono i calcoli, eppure mi sento spesso più vicina ai matematici che ai miei colleghi artisti; le mie opere sono realizzate sulla base di figure geometriche e sistemi numerici: è un’equazione.

Ogni volta, ne sorrido.

Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti? 

Lo psicologo della percezione Edgar Rubin.

Che peccato non essere nata in quell’epoca!

Avrei stretto sicuramente una collaborazione con lui, per indagare nuovi aspetti della percezione, perché credo che un teorico della mente e un visuale dell’arte si completino tra di loro.  

Secondo le mie capacità visuo-spaziali, ho voluto indagare appunto alcuni aspetti della percezione visiva e psicologica, tra cui le configurazioni reversibili, nel senso che quello che un momento sembra rappresentare la figura può, un attimo dopo, diventare sfondo e viceversa, ma le immagini non compaiono mai contemporaneamente: è un’illusione ottica. Possiamo realizzare infinite composizioni reversibili, infinite dimensioni, più livelli di osservazione, ma può avvenire che una delle configurazioni prevalga sull’altra.

Tutto questo inganna la percezione dell’osservatore ma, al tempo stesso, rende partecipi. Questo fenomeno ottico è rappresentato anche in natura: sono molti gli animali e gli insetti che sfruttano le loro capacità mimetiche per sfuggire ai predatori.

Quanto contano per te la luce e il colore?

Le macedonie, tutto ciò che è confuso mi irrita.

Adoro le geometrie, l’ordine e le sfumature, si può comunicare tantissimo con la giusta gradazione di luce.

Il bianco e il nero sono versatili.

La semplicità è sempre complessità. 

Cosa ti aspetti da un gallerista?

Mi aspetto che si crei una collaborazione sia lavorativa che umana, dove il puro aspetto economico non sia il solo fattore da guardare.

Quando incontri i galleristi, spero sempre che possano dare attenzione alla qualità del mio lavoro, alla costruzione che mi ha portato a compierlo, non soltanto alla quantità di opere che possono avere a disposizione per venderle.

Vendere è un momento essenziale nel rapporto tra gallerista e artista, perché la vita costa, perché le opere che realizzo costano sia in fase ideativa (lo studio, la ricerca) che in fase esecutiva (i vari materiali che scelgo per rendere al meglio l’opera che ho realizzato).

Ma la vita è fatta anche di amicizia, conoscenza, comprensione, approfondimento e reciproca fiducia e vorrei che, tra me e il gallerista, tra me e il curatore, si possa stabilire un rapporto che rispetti la mia anima e il mio sentire.

Grazie Graziana, davvero un interessante chiacchierata

Alessio Musella

Total
0
Shares
Previous Post
Glenda La Rocca

Milano:”INTIMITA’ MOBILE” di Glenda La Rocca, dal 10 al 13 Maggio presso ArtMall

Next Post
CRIS CONTINI CONTEMPORARY

CRIS CONTINI CONTEMPORARY presenta “ENDLESS THE ICONS IN MILAN” dal 24 maggio al 30 giugno 2023 al Salotto di Milano.

Related Posts