David Berkovitz visto da Alberto Gross.

David Berkovitz
David Berkovitz

“Le maniere sono la fusione dei moti dello spirito e del corpo; e i moti non si dipingono”.
Questo scrive Barbey d’Aurevilly riferendosi a quell’artista del vivere che fu George
Brummell, raffinato interprete della propria epoca che praticava naturalmente le qualità non
rappresentabili che – forse – altri si sforzavano di riprodurre.
È segnatamente questo scarto di indicibile, il riflesso che sfugge e rende tale, nella luce, il
diamante nero, questa briciola di tempo spedita che David Berkovitz pare tentare di
incatenare e risolvere, liberandola tra curve della memoria.
Negli ultimi lavori c’è una sorta di ricerca dell’essenziale, un armonico battere e levare che
riconduca tutto all’Uno: un incedere tra suite, tappeti musicali e stasimi, a proteggere e
dischiudere un segreto vivo e fremente.

Riccioli di marmo scavati nel burro di una carta che taglia come vento, sottili fessure ricavate sulla cenere densa che cela una materia che ribolle, scintillante di fuoco e rossa come il diaspro.
Le fenditure praticate dall’artista consumano lo spazio e giungono alla quarta dimensione:
collegamenti con le possibili deflagrazioni della materia alla ricerca di un ipotetico “orizzonte
degli eventi”, lacci temporali liberati nella densità del tempo a riannodare incastri di memorie
future.
Una ricerca mai gridata ma sussurrata, praticata con calma ma senza lentezza, una danza
visiva ordinata e sistematica a scovare e ricomporre i frammenti di un’archeologia
contemporanea.
Così la linea di Berkovitz che – dopo le intemperanze e le concessioni ad un aristotelico
horror vacui – diviene essa stessa cronòtopo, dimensiona lo spazio graffiando il bianco e
tracciando il ritorno all’infinito, lasciandoci smarriti, disorientati e sgomenti, come tra le pareti di neve del giardino dell’Overlook Hotel.

Questa, infatti, un’ulteriore peculiarità del lavoro dell’artista: non regalare mai certezze o punti di riferimento.

I quadri che annegano nel bianco lasciano storditi come di fronte all’occhio fisso della balena, o sotto l’ombra lattiginosa del Leviatano, tutto condotto con l’eleganza di un ricamo intessuto nell’aria.
Berkovitz ci mostra il movimento del suono, fende il tempo – sottilmente – con una sorta di
voracità silenziosa, a inghiottire l’ipotesi di una goccia di vita che torna pioggia fitta di cenere acre. All’infinire, oltre il sensibile e il misurabile, cercando i giacimenti d’oro di un linguaggio
a venire, ne distilla un’oncia nella densità del tempo.

Alberto Gross

Ph di copertina di @Inessaalievisaev

Total
0
Shares
Previous Post
“THE ROOM”

PALERMO – FONDAZIONE DONÀ DALLE ROSE:ARTE E MUSICA A PALAZZO IMPERATORE CON “THE ROOM”LA NUOVISSIMA INSTALLAZIONE DI SIMONE LINGUA Dal 9 al 16 dicembre 2023

Next Post
"La Donna e l'Arte"

Mostra Collettiva “La Donna e l’Arte” celebra la sua X edizione nel Centro Storico di Corigliano Rossano.

Related Posts