Pierluigi Slis è nato nel 1974 a Wuppertal, in Germania. Vive e lavora a Revine Lago.
Dal 2009 espone in Italia e all’estero in mostre personali e installazioni site specific.
La sua ricerca esplora tematiche connesse agli usi sociali e ai processi psicologici ad esse sottese.


Utilizzando strumenti come la pittura, l’installazione ambientale, l’azione performativa o il video, dà vita a opere “aperte” (secondo la definizione di Umberto Eco), a volte effimere, caratterizzate da una certa insofferenza verso regole estetiche e formali ma dense di rimandi interpretativi.
Il suo fine è evocare una risonanza emotiva, un punto di domanda che inviti l’individuo a una riflessione e alla riscoperta della propria consapevolezza esistenziale.
1. Il tuo primo contatto con l’arte?
Sono convinto l’arte sia semplicemente il frutto di un particolare assetto di vita, con il quale nasci e cresci, come una nuvola che ti avvolge e che puoi decidere a un certo punto di curare… Mi permetto di dire che o ce l’hai o non ce l’hai.
Ho preso consapevolezza di questo solamente dopo aver ammirato Van Gogh alla Kunsthalle di Brema.
Ho percepito che doveva essere stato avvolto da una cosa simile e che quella sensazione ammaliante si era appiccicata e viveva ancora sulle opere esposte.
2. Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?
Ho sempre percepito in modo chiaro il ruolo di questa spinta innata, prima ancora di sapere cosa fosse avevo capito che sarebbe stata comunque la mia via e una materia di scambio potente.
L’ho presa seriamente fin da giovane e praticata da sempre con sistema, dedizione e responsabilità.

3. La tua prima opera d’arte?
Il mio primo lavoro: una sequenza di fotografie ricevute per errore, incollate una affianco all’altra e su cui ho lavorato pittoricamente a evocare il freddo.
Penso sia stata semplicemente un’opera, non un’opera d’arte.
A tal proposito penso siamo invasi da opere di varia natura ma che l’Arte, l’Arte sia rarissima e abbia poco a che fare con i prodotti di questa epidemia celebrale in cui stiamo vivendo.
4. Per fare arte bisogna averla studiata?
Si, non necessariamente in un’accademia.
5. Come scegli cosa rappresentare?
Evito la mera rappresentazione, non mi appartiene.
Solitamente il mio lavoro si genera nelle riflessioni sul vissuto e sul percepito quotidiano.
6. Un aneddoto che ricordi con il sorriso?
Non so rispondere… questa cosa al momento mi ha procurato più delusione e tristezza che gioia.
7. Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?
Senza dubbio sceglierei Leonardo da Vinci e mi offrirei come suo assistente per un pò.
Non avrei bisogno di chiedergli nulla, solo l’opportunità di osservare il genio all’opera sarebbe abbastanza.

8. Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti?
Di fuggire immediatamente, di andarmene subito di casa, senza paura!
Di abbracciare l’ignoto senza paura, di studiare e mordere la vita con coraggio.
9. Quanto conta la comunicazione?
La comunicazione fra gli stati sottili è il lavoro.
La comunicazione con il pubblico è l’energia.



10. Cos’è per te l’arte?
Essa è sempre qualcos’altro.
Non riesco a definirla precisamente.
E’ simile alla forza magnetica nel motore che sfugge e fa girare il motore.
La rapporto spesso al linguaggio del sovrannaturale.
11. Cosa ti aspetti da un curatore?
Sincerità, coraggio e lucidità.
12. Cosa chiedi ad un gallerista?
Coraggio, fede e lucidità.
13. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Crescere, crescere umanamente e professionalmente.
Esplorare nuove forme espressive e cercare nuove sfide che mi permettano di evolvere come artista.