Mara Isolani, un viaggio chiamato arte.

Mara Isolani
Mara Isolani

Mara Isolani osserva e reinterpreta il mondo che la circonda, raccontando attraverso i suoi dipinti il viaggio che ognuno di noi ha deciso di intraprendere…

Lasciamo che sia l’artista a raccontarsi attraverso le risposte alle nostre domande :

La tua prima opera?

Conservo ancora oggi le prime due tavole dipinte a tempera.

Avevo cinque anni.

Ma già da prima disegnavo con i gessi su una lavagnetta che mia madre mi aveva regalato per evitare che disegnassi ovunque.

Peccato che poi non amassero l’idea che potessi fare l’artista e mi osteggiassero tanto che dovevo dipingere di nascosto.

Ma niente mi ha fermato.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Passione? Qualcosa di più. Una parte di me,

Per fare arte , bisogna averla studiata?

Un bisogno continuo di indagare forma e colore, di migliorare anche attraverso lo studio. 

La capacità di ricreare la realtà attraverso l‘arte è un dono che non si può acquistare ma bisogna affinarlo attraverso lo studio delle tecniche, che può essere fonte di nuove ispirazioni, e mediante lo studio della storia dell’arte per poterla capire nella sua evoluzione.  Io mi sono laureata in storia dell’arte di recente e ne sono felice.

Come scegli cosa ritrarre ?

C’è poi quel QUID che fa scattare l’ispirazione  per l’opera. Per me è un elemento ad ampio raggio, pur partendo magari da un solo elemento scatenante.

Seguo dei temi per proseguire un dialogo con il fruitore, che non si esaurisca con la singola opera.

Attualmente ho il tema del viaggio, metafora della vita.

Viaggiatori, che cercano una meta e se stessi, e auto d’epoca, mezzi ricchi di storie e passioni.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso ?

Quando ripenso ai tempi di scuola ricordo che ogni volta che cambiava l’insegnante di disegno, immancabilmente, non credeva che avessi realizzato a casa da sola i miei lavori  e dovevo  dimostrarlo rieseguendoli in classe.

Se potessi incontrare un artista del passato , chi e cosa gli chiederesti?

Io amo molto la figurazione americana, Hopper in particolare, e se potessi parlargli gli chiederei se è d’accordo con l’interpretazione che danno ai suoi quadri, interpretandoli con una visione della solitudine che io non credo lui condividerebbe.

Egli cercava la luce e i suoi giochi nel quotidiano, senza bisogno di inutili romanticismi.

Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti ?

L’Arte creata da un artista è il frutto delle sue esperienze di vita e se potessi tornare a quando avevo 18 anni, e potessi darmi un consiglio, mi direi di credere di più in me stessa e pur continuando a sacrificarmi per aiutare la famiglia, a non ascoltare chi cercava di demolire le mie convinzioni.

Quanto conta la comunicazione ?

Oggi penso sia tutto più semplice   per chi vuol far conoscere il proprio lavoro, grazie a Internet e ai social.

Al tempo stesso è un obbligo sapersi inserire nella rete della comunicazione cartacea e non, saper utilizzare le tecnologie attuali e avere il coraggio di esporre sé stessi al mondo, con tutti vantaggi e gli svantaggi che ne conseguono.

Che differenza c’è, nella percezione dell’arte tra Italia e estero?

Se penso alla reazione delle persone di fronte ai miei quadri, ho tratto la conclusione che gli stranieri apprezzano più facilmente soggetti che gli italiani riterrebbero inusuali, ovvero che si distaccano dai soliti paesaggi, fiori, donne e astratti.

Cos’è per te l’arte?

L’arte è come una parola che viene tradotta in mille lingue: Il significato rimane uguale ma il suono è sempre diverso. Così è giusto che esistano infiniti modi di fare arte perché non è importante cosa si rappresenta o come, ma saper dare emozione. L’Arte è emozione.

Cosa ti aspetti da un curatore e da un gallerista ?

Per ogni artista ci sono delle figure importanti: curatore e gallerista.

L’artista dovrebbe poter pensare solo a creare ma purtroppo spesso non è così e diventa curatore, gallerista e anche facchino.

Un curatore dovrebbe aiutare l’artista a vedere il proprio lavoro dall’esterno e trovarvi dei significati che a lui sfuggono perché creati inconsciamente.

Il gallerista dovrebbe curare la parte espositiva, promozionale e comunicativa e fare da collegamento con i collezionisti.

Questa sarebbe la composizione perfetta.

Quanto contano per te la luce e il colore?

A volte cerco di fare dei lavori monocromi ma non ci riesco perché il colore mi esplode sulla tela e cerco inevitabilmente la luce. In una delle mie serie, dedicata alle ombre, utilizzo silouette dorate che proiettano una lunga ombra.

Sono gli alter ego dorati dei miei viaggiatori, immersi nel colore e nella luce comuni a tutti i miei quadri, simbolo dell’eterno gioco tra compiuto e irrisolto perché non si smette mai di esplorare per cercare e trovare sé stessi.

Grazie per la piacevole chiacchierata

Alessio Musella

Intervista in collaborazione con Artonline20 e Fondazione Mazzoleni

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