Walter Trecchi (1964, Como), definito da Sergio Gaddi (Consigliere regionale della Lombardia) tra i migliori talenti della scena contemporanea nazionale, da oltre venticinque anni si dedica con costanza alla pratica della pittura di paesaggio.
All’inizio del 2000 si è dapprima concentrato sul tessuto urbano, dipingendo i cantieri delle città quali soggetti privilegiati della sua ricerca: palazzi e grattacieli, gru e tralicci percorsi da un fittissimo reticolato di visioni prospettiche e linee di fuga.
In un secondo momento, con la lucidità di un architetto o di un urbanista, ha compreso che la nuova tendenza della società contemporanea è quella di un equilibrio tra antropico e naturale, e quindi ha messo in relazione i suoi scenari metropolitani in bianco e nero e quasi apocalittici con elementi naturali e coloristici come alberi e vegetazioni, che sostituiscono gli edifici e disegnano le volumetrie di una nuova urbanistica.

Nell’ultima produzione, intitolata Naturae e in mostra presso Valentinarte di Bellagio, Walter Trecchi ha deciso di “squilibrare” verso il tema ambientale e naturalistico.
Se il giornalista Carlo Ghielmetti lo aveva definito, prendendo a prestito le parole di Charles Baudelaire, un “botanico del marciapiede”, un conoscitore analitico del paesaggio urbano e delle sue componenti strutturali, ora potremmo inaugurare questa nuova fase di ricerca come quella di un “pittore della vita vegetale”.
Come ha dichiarato Stefano Mancuso, le piante superiori sono sessili ma non sono immobili e insensibili.
I vegetali sono capaci di ricevere segnali dall’ambiente circostante, di rielaborare le informazioni, di ascoltare e di reagire.
Il tuo primo contatto con l’arte?
Da bambino, guardando mio padre dipingere e disegnare, cercando di imitarlo.
Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?
Se devo identificare un momento in particolare direi dal “Premio Arte Mondadori” nel ’98. Avevo partecipato quasi per gioco leggendo il bando sulla rivista e con mia sorpresa ho passato tutte le selezioni fino alla mostra dei finalisti.
In quell’occasione ho realizzato che avrei potuto fare di più rispetto al semplice diletto per passione.
La tua prima opera d’arte?
Dopo aver citato l’evento che ha dato la svolta al mio approccio alla pittura direi
che potrei considerare proprio l’opera partecipante come la più rappresentativa dei miei esordi, per lo meno dal punto di vista del significato che quel quadro ha assunto.
L’ho appeso a casa e lo tengo per me.
Per fare arte bisogna averla studiata?
Non escludo che la formazione sia importante.
Lo studio e l’approfondimento sia tecnico che culturale arricchiscono le proprie potenzialità.
Credo però che fondamentalmente non si possa prescindere da una dote personale unita ad un bisogno di materializzare i propri pensieri.
Un’esigenza che spinge a trovare il linguaggio e il mezzo più consono alla propria sensibilità di espressione.



Come scegli cosa rappresentare?
Ho sempre cercato di raccontare me stesso, i miei sentimenti, ciò che mi da piacere o mi crea disagio attraverso i soggetti che dipingo. Seguo le mie sensazioni e cerco di esprimerle ritraducendole in immagini.
Mi sono reso conto in seguito, osservando l’evoluzione del mio percorso, che è lo sviluppo di una storia, dove ogni tema diventa un capitolo susseguente all’altro.
Dalle prime rappresentazioni di aree dismesse come riferimento simbolico al decadimento e all’inesorabile passaggio del tempo, alla rinascita attraverso i cantieri, al vissuto urbano sotto diversi aspetti, al confronto e al rapporto con la natura.
É un modo di parlare di me stesso e nello stesso tempo di noi come esseri umani in rapporto all’ambiente circostante e al nostro vissuto.
Un aneddoto che ricordi con il sorriso?
Con piacere e con un sorriso ricordo le prime volte che ho visto i miei quadri appesi in mostra, belle sensazioni!
Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?
Non saprei citare un solo nome.
Mi sento attratto da molteplici aspetti e stili espressivi differenti che caratterizzano diversi artisti e che mi mettono in sintonia con il loro lavoro.
Se devo fare dei nomi tra i tanti sicuramente Caravaggio per la sua forza espressiva, la sua maestria tecnica, l’uso delle luci e delle ombre che esprimono potenza e profondità.


Magritte per le sensazioni contrastanti che provoca in me un’opera come “L’impero della luce”: credo sia il quadro di fronte al quale ho passato più tempo in contemplazione.
La poetica essenziale di forme e colori di Mark Rothko.


La sperimentazione e la matericità delle opere di Burri.
Credo che il mio modo di dipingere sia stato influenzato da diverse componenti, dall’esigenza di essere comprensibile usando immagini tratte dalla realtà e di conferire, attraverso la tecnica, materia e tridimensionalità a ciò che rappresento.


Quindi artisti figurativi o informali mi attraggono in egual maniera.
Quello che chiederei ad ogni artista?
Se ritiene importante essere compreso attraverso il proprio lavoro e di conseguenza se ritiene di essere stato in grado di esprimere ciò che era nelle proprie intenzioni comunicative.
Sarei curioso di sapere come abbiano vissuto il rapporto con il proprio lavoro, capire se sia una sensazione comune quella di tendere ad una perenne rincorsa per cercare di fare meglio.
Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti?
Di osare di più.
Quanto conta la comunicazione?
Credo sia importantissima, soprattutto nel contesto attuale.
La tecnologia ha contribuito in maniera importante alla diffusione di quantità enormi di informazioni di ogni tipo.
Siamo sollecitati come mai in passato da stimoli sensoriali continui, informazioni, immagini, suoni… sapere come comunicare, trovare il proprio spazio e rendersi visibili in questo contesto è fondamentale.
Da questo punto di vista mi ritengo piuttosto carente, tendo sempre a concentrarmi solo sul mio lavoro tralasciando l’aspetto della socialità e della divulgazione.


Cos’è per te l’arte?
Personalmente ritengo sia la capacità di ritradurre i sentimenti della nostra essenza umana.
Essere Artista significa, per me, essere in grado attraverso il proprio mezzo espressivo di trasmettere sensazioni, far riflettere, toccare le corde profonde della mente e dell’anima e farle vibrare.
Cosa ti aspetti da un curatore?
Parlavamo prima dell’importanza della comunicazione.
L’artista dal mio punto di vista dovrebbe occuparsi del proprio lavoro.
Il Curatore a questo punto assume l’importante ruolo di ricerca, ritraduzione e valorizzazione del lavoro dell’artista.
La capacità di creare sinergie, la divulgazione attraverso diversi mezzi di comunicazione, il coinvolgimento in situazioni ed eventi che siano adeguati alle tematiche e al lavoro degli artisti può fare una grandissima differenza.
Lo ritengo un ruolo fondamentale.
Cosa chiedi ad un gallerista ?
Principalmente chiedo che creda nel mio lavoro e lo promuova.
Come detto precedentemente, per ottenere i migliori risultati ogni figura coinvolta dovrebbe occuparsi del proprio ambito in merito alle proprie competenze.
Quello del Gallerista è l’importante ruolo che crea visibilità e contatti con tutte le realtà espositive e di mercato che permettano la crescita e la conoscenza dell’artista.
La propria figura dovrebbe fungere da guida nel complicato sistema dell’arte, definendo il giusto posizionamento di quotazione e promuovendo eventi espositivi.
Un lavoro di sinergia costruito su un rapporto stretto di reciproco rispetto, fiducia e collaborazione con l’artista.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sicuramente continuare il mio percorso, lo sviluppo del mio racconto pittorico, sono curioso di sapere dove mi porterà.
Chiara Canali