Intervista a Henry Le, a cura di Chiara Canali.

Henry Le
Henry Le

Henry Le (Le Huu Hieu) è un artista vietnamita, classe 1982, che vive e lavora ad Hanoi.

Dopo un passato da architetto, da oltre dieci anni Henry Le ha eletto la ricerca artistica come esperienza prioritaria della sua vita, mettendola al centro di ogni riflessione, idea e pratica visiva. Le sue principali mostre personali si sono svolte in Vietnam, presso il Vietnam Fine Arts Museum e presso il Vietnam National Exhibition.

Nel 2016 ha partecipato ad Art Basel Miami con la galleria Contemporary Art Projects USA.

Per la prima volta in Italia, Henry Le presenta a Venezia il progetto espositivo Soul Energy, in un evento collaterale allestito dal 2 al 12 ottobre 2021 alla Tesa 99 dell’Arsenale Nord in occasione della mostra biennale dei finalisti della 14^ e 15^ edizione del concorso Arte Laguna Prize.

Abbiamo fatto qualche domanda all’Artista per permettere a lui stesso di raccontarsi ai lettori:

Il primo contatto con l’arte?

Ho avuto la fortuna di interagire con l’arte fin dall’infanzia.

Mio padre era un artista che praticava l’arte, ma per sfamare la sua famiglia ha dovuto rinunciare all’arte per un’altra professione.

Nel mio paese, quando ero piccolo, un uomo che praticava l’arte non poteva provvedere alla sua famiglia.

Ricordo che alla tenera età di 3 o 4 anni, quando arrivava il capodanno lunare, mio padre realizzava disegni tradizionali da vendere al mercato.

Erano belli ai miei occhi.

Ancora adesso riesco a immaginarli nei minimi dettagli.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Per tutta la vita mi sono dedicato al disegno e alla pittura, dall’infanzia all’età adulta.

Tuttavia, gli obiettivi delle mie pratiche artistiche sono cambiate di volta in volta.

Poiché ho sempre sognato di diventare un architetto, per più di dieci anni ho disegnato come studente di architettura e poi come architetto praticante.

Mentre lavoravo come architetto il mio “mondo” è cambiato.

Mi sono reso conto che progettare un edificio non soddisfa appieno il mio desiderio.

Ho scoperto l’arte passo dopo passo, sviluppando il mio viaggio dalla pittura ad altre forme di espressione come l’installazione e la performance, e infine ho abbandonato completamente la carriera di architetto per fare l’artista indipendente a tempo pieno.

Ma non è esatto definire Arte la mia professione.

L’arte non è una pratica professionale ma piuttosto è la mia Vita.

Una vita che ho scoperto e che sto vivendo, quindi le cose al di fuori di “questa vita” non sono più così significative per me.

La tua prima opera d’arte?

La mia prima vera opera d’arte?

Questa domanda è troppo difficile per me.

All’inizio ho incontrato un lungo periodo di lavoro, di tentativi e di esperimenti.

Ci sono stati migliaia di schizzi, lavori e progetti e, in un momento di follia, li ho bruciati tutti.

Quindi se mi chiedi della mia prima vera opera d’arte, non ricordo.

Forse se avrò la possibilità di rispondere a questa domanda in futuro, potrei essere in grado di risponderti.

Per fare arte bisogna averla studiata?

Mio padre è stato il mio primo tutore.

A 14 anni ho iniziato a intraprendere studi sulla forma e il valore dell’arte per sostenere il test di ingresso alla Facoltà di Architettura.

Poi come studente di architettura ho dovuto intraprendere ulteriori studi accademici e ho continuato a dipingere e, in seguito, disegnare come architetto.

Penso di essere stato fortunato ad avere avuto una formazione come architetto professionista e ad aver praticato come tale.

Quel periodo mi ha fornito una visione più ampia del mondo, oltre ad avermi insegnato a visualizzare in 3D lo spazio e a pianificare la struttura delle cose per qualsiasi lavoro in cui mi cimento.

Questo è il bagaglio culturale che porto con me mentre avanzo nel mondo dell’arte.

Come scegli cosa ritrarre?

Spesso non scelgo un tema e un argomento particolare da rappresentare o a cui attenermi.

È così che vivo.

Di solito lascio che i miei bisogni nativi mi guidino: mangio quando ho fame, dormo quando ho sonno, mi sveglio quando sono pronto e ignoro ciò che potrebbe o dovrebbe accadere.

Quindi, allo stesso modo, il soggetto arriverà casualmente, quasi all’improvviso, ma poi servirà un lungo processo per spiegare ed esplorare tale idea.

Il mio processo creativo può essere suddiviso in due modalità.

Quando lavoro ai miei dipinti, mantengo il mio corpo fisico al suo più alto livello di energia e rimango prolifico per lungo tempo. In un anno spesso dedico circa 4 mesi per la realizzazione dei miei dipinti.

Man mano che la pittura progredisce, entro in una fase di “semi-inconscio”, raggiungendo uno stadio mentale “non pensante”.

I miei migliori lavori sono spesso il prodotto del mio periodo inconscio.

Ma dipingere così risucchia molta energia dal proprio corpo. Spesso devo lasciarmi tutto alle spalle e salire in montagna per recuperare le energie perdute.

Per il lavoro di installazione, il mio metodo è il pensiero e la logica, e per sviluppare questo processo utilizzo il restante periodo dell’anno.

Questa fase del mio lavoro richiede una grande quantità di conoscenze e informazioni sull’argomento che scelgo.

Ad esempio, se l’argomento è un aspetto della storia, oltre a leggere e fare ricerche devo consultare gli storici per avere opinioni dirette.

Quindi, i viaggi ai siti delle reliquie sono d’obbligo.

Ho bisogno di parlare con le persone che ci vivono, per avere un’idea della loro cultura, delle loro tradizioni e per reperire materiali di quell’area che si riferiscono all’epoca storica.

Raccogliere informazioni e organizzarle all’interno della mia ricerca è un metodo che utilizzo per connettere l’argomento alla mia mente interiore, in modo che io possa capire esattamente cosa voglio ottenere dal mio lavoro.

Dovrò pormi molte domande e trovare le giuste risposte.

Solo successivamente potrò iniziare a testare i materiali e il modo in cui dovrebbero essere presentati.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso?

Sono una persona felice, quindi sorrido a tutto ciò che incontro nella mia vita.

Certamente, quando ripenserò a questa intervista, ne sorriderò.

Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?

L’artista che mi affascina di più è Antoni Tapies. Ho imparato tanto da lui.

Quello che ammiro di più in lui è il modo attraverso cui riesce a far permeare lo spirito della cultura orientale asiatica nelle sue opere, aspetto che ha influenzato positivamente il mio pensiero durante la mia precedente carriera.

Ma se dovessi imbattermi in qualcuno del passato, mi piacerebbe incontrare Marco Polo.

Anche se viene considerato un commerciante, un esploratore, per me è un artista. Leggo e studio molto su di lui.

La conoscenza di Marco Polo mi ha sempre dato un senso di libertà, la sensazione che puoi andare ovunque e fare quello che vuoi.

Penso che la scelta di vivere una vita libera sia il mio modo per “incontrarlo” quotidianamente.

Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti?

Se dovessi incontrare me stesso a 18 anni, chiederò il suo consiglio.

Gli chiederò come ha potuto essere così felice, così gioioso, come ha potuto vivere in modo così pieno e selvaggio. Quando avevo 18 anni mi hanno detto che ero più o meno come un animale selvatico.

Ora non mi sento più così libero e selvaggio e sto cercando di ritrovare quella versione di me.

Quanto conta la comunicazione?

In realtà in questo periodo mi sono concentrato solo su lavori e progetti e non ho prestato molta attenzione ai media. Credo di poter rispondere a questa domanda solo quando avrò più esperienza.

Ma capisco che la comunicazione sia importante per un artista, specialmente per un artista con una lunga strada da percorrere.

La connessione con la stampa e i media è essenziale.

Ad esempio, questa è la prima intervista a cui ho risposto in Europa e ricorderò sempre questa pietra miliare perché mi ha dato l’opportunità di riflettere con le parole sul mio lavoro. Quindi in futuro, finché sarai tu l’intervistatore, avrò sempre tempo.

Cos’è per te l’arte?

Come ho già detto prima, ho ricevuto una formazione professionale e ho lavorato professionalmente come architetto per oltre dieci anni.

Per un uomo dieci anni sono tanti, e specialmente per un giovane perché modellano la personalità e la visione del mondo, e plasmano i sogni e la ricerca, gettando le basi per raggiungere i propri obiettivi.

Ed è in questo periodo che ho rinunciato alla professione di architetto professionista per diventare un artista visivo a tempo pieno.

Ovviamente non è successo dall’oggi al domani.

Mentre stavo lavorando ai miei progetti, il processo di creazione di un soggetto e il risultato finale non mi davano più soddisfazione.

Non mi sentivo libero, ma teso e limitato.

Ho avvertito la mancanza di appagamento, la mancanza di una sensazione di completezza che provavo solo quando creavo qualcosa per me stesso.

Al contrario, ogni volta che sperimento l’arte, mi sento soddisfatto ed estatico.

Henry Le

Creo immagini diverse, mi cimento con forme di espressione diverse, combino materiali diversi.

Naturalmente le prove portano anche all’errore e al fallimento.

Ma i fallimenti che derivano dalla sperimentazione artistica mi danno a loro volta soddisfazione.

Quindi, in sintesi, l’arte per me è una continua ricerca.

È la ricerca del luogo, della meta, degli obiettivi della vita per cui sono nato: questo è il compito che la natura mi ha dato e mi sprona a svolgere. Quando ho mosso i primi passi nel mondo dell’arte, ho fatto anche tanta pianificazione e progettazione.

Ho pensato che dovevo venire con molte idee, dovevo organizzarle ed eseguirle tutte, perfezionandole in opere da grande maestro.

Ma poi, mentre percorrevo il viaggio di esplorazione e autocritica, mi è sembrato di viaggiare in sintonia con i veri spiriti artistici e mi sono reso conto che tutto quanto avevo ambiziosamente pianificato e progettato era una perdita di tempo, una produzione infruttuosa.

Fino ad ora non possiedo una definizione chiara dell’arte, perché l’arte non è qualcosa che uno progetta o decide di produrre a priori.

L’Arte è essa stessa una categoria della natura viva e in evoluzione.

L’Arte fa parte della natura delle cose, è una categoria generica a sé stante e la sua esistenza è separata e indipendente dall’uomo e dalla mente umana.

Non credo di avere il potere di essere il creatore dell’arte – secondo me nessuno lo è.

Sono solo un semplice lavoratore, cerco di ragionare e contemplare il più intensamente possibile in modo che un giorno possa avvicinarmi il più possibile al vero mondo dell’Arte.

Cosa ti aspetti da un curatore?

Per lo sviluppo della mia carriera, il curatore gioca un ruolo cruciale e lo giocherà soprattutto nella mia prossima fase. Innanzitutto, voglio che il curatore sia come un amico, un confidente, qualcuno che mi capisca e possa aiutare il pubblico a capirmi. Il curatore sarà il mio confidente, una persona con cui posso parlare e consultarmi quando sono al trampolino di lancio e mi tuffo in nuove opere.

Un curatore può rappresentarmi nel sistema dell’arte quando sto lavorando a lunghi progetti e non posso affacciarmi al mondo. In quel momento avrò un disperato bisogno di qualcuno che svolga un ruolo di collegamento tra me e il pubblico.

Cosa chiedi ad un Gallerista ?

Potrò rispondere a questa domanda un’altra volta.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Il mio obiettivo, per i prossimi cinque anni, è di avere mostre alla Biennale di Venezia, a Documenta Kassel e ad altre importanti mostre internazionali.

Nel 2022 ho bisogno di costruire un nuovo studio, di circa 3.000 metri quadrati, per poter sviluppare nuovi lavori che sto progettando.

Spero che la pandemia migliori progressivamente così che possa portare a termine tutti i miei progetti.

Chiara Canali

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