Cesare Catania: l’arte come forma di espressione.

Cesare Catania
Cesare Catania

Pittore, scultore e artista digitale per Cesare il compito di chi sceglie di creare è di esprimersi attraverso il proprio linguaggio artistico e dare forma alle sue emozioni, poco importa se in chiave tradizionale o digitale.

Conosciamolo meglio lasciando sia lui a raccontarsi attraverso le risposte alle nostre domande:

Il tuo primo contatto con l’arte?

Sebbene fossi piccolo ho un ricordo nitido del mio primo “incontro” con l arte. Una sorta di amore a prima vista per tutto ciò che erano colori, da quelli a matita ai pennarelli, con primi disegni che risalgono ai miei quattro anni e da lì…non mi sono mai fermato.

Neanche durante gli studi universitari di ingegneria civile al Politecnico di Milano.

Ho sempre trovato il tempo da dedicare all’arte e da che mi ricordi ho sempre avuto l’immensa fortuna di essere circondato già in famiglia da figure estrose ed estroverse, creative ciascuna a suo modo.

Da mio nonno paterno, grande violinista che mi ha avvicinato con delicatezza e passione al mondo della musica classica, alle mie due nonne, ricamatrici di eccezionale talento che mi hanno fatto crescere nella bellezza e in contatto diretto con la tradizione italiana e l’artigianato siciliano.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

L’Arte come passione è una costante della mia vita nel senso che mi ha accompagnato anno dopo anno durante il mio percorso di crescita non solo anagrafico ma anche intimo, spirituale direi. C’è poi stata una svolta importante, dopo la laurea.

Quando ho ripensato con sempre maggiore attenzione alle parole di mio padre: ” Qualunque cosa tu decida di fare, falla al meglio”. E così mi sono guardato dentro, ho scavato fino a trovare la risposta più autentica per me stesso.

Seguire la strada dell’arte. Farne una vocazione e anche un mestiere, per così dire. Da piccolo non sognavo di fare l’artista ma crescendo ho capito di esserlo.

Ho capito che questa era la mia vera natura e andava assecondata. Al massimo possibile delle mie capacità.

La tua prima opera?

Non ricordo esattamente quale sia stata… nel senso che coloravo e disegnavo già da bambino. Mi spiace solo aver perso molti disegni fatti quando ero piccolo.

Diciamo che la prima vera opera d’arte considerata tale a livello professionistico ho iniziato a realizzarla nel 2011 e si chiama “Lo Strappo”.

Questa viene da me considerata la prima opera poichè  e’ stata la prima in cui abbia messo insieme la componente emotiva,  emozionale, e anche quella progettuale sia nei confronti di quello che stavo facendo in quel momento che nei confronti di ciò che avrei voluto fare negli anni a seguire. 

Per fare arte, bisogna averla studiata?

Puoi studiare l’arte come percorso storico ed evolutivo attraverso i secoli.

E puoi studiare arte in Accademia, con lo scalpello in mano o un pennello a seconda delle tue inclinazioni. 

Ma l’arte non si studia per diventare poi artisti e soprattutto non puoi studiare da dove nasce l’ispirazione artistica.

Devi sentirla sulla pelle, devi averla dentro come una scintilla a cui poi dai espressione attraverso il mezzo che ti è più consono e “vicino” in termini di sensibilità e propensione.

Cosa unisce i tuoi dipinti e la musica?

Sento di dover fare una premessa. L’abbinata arte – musica segue da sempre la scia delle emozioni portando a “creazioni” che fanno nascere in chi le ascolta e vede percorsi interiori di grande coinvolgimento e fascino. 

I miei dipinti in particolare e la musica in generale hanno un punto di congiunzione fortissimo: in entrambi i casi ciò che viene prodotto rappresenta un viaggio dentro se stessi, ai confini dell’inconscio.

E poi c è il colore.

Quel colore che da’ vita e forza alle mie opere e che esiste anche in musica perché del resto tutti sappiamo che ogni nota ha una particolare frequenza d’onda, e proprio per questo motivo ogni nota ha un determinato colore.

I miei quadri hanno chiavi di lettura basate su un sistema cromatico variegato e “musicale” nel senso che i colori accompagnano la scena sulla tela come una melodia.

Come scegli cosa ritrarre?

In realtà non scelgo cosa ritrarre.

Piuttosto scelgo, tra le diverse sensazioni, quelle che diventano ispirazioni e tra queste quelle che meritano di passare da semplice bozzetto ad opera d’arte compiuta.

Posso ritrarre infiniti mondi e infinite scene di vita, dando così vita a bozzetti artistici.

Quello che fa scattare in me l’idea di passare da un bozzetto ad un quadro compiuto o ad una scultura è sia l’intensità dell’emozione che ha generato il bozzetto che anche la durata della stessa.

Più un’emozione è costante nel corso dei giorni, più rimane vivida nel corso delle settimane, e più quel bozzetto maturerà in un’opera d’arte ben definita.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso?

Quando ho iniziato a realizzare opere in maxi formato pensavo subito a come realizzare l’opera ma mai a come trasportarla.

Una volta ho trasportato due tele da 270x160cm arrotolate in un tubo di scarico acquistato in un magazzino edile (per intenderci, lo stesso che si utilizza per gli scarichi condominiali). Il tubo è stato legato con delle cinture in cuoio sul tetto dell’auto e ho percorso 1500km in quelle condizioni.

Oggi ricordo sorridendo quella situazione e sicuramente farei scelte diverse sul mezzo di trasporto.

Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?

Non c’è un artista in particolare che vorrei incontrare. Molti sono gli artisti storicizzati che varrebbe la pena conoscere.

Credo comunque che la domanda che rivolgersi a tutti sarebbe sempre la stessa: quanto si siano sentiti abitanti del loro tempo e quanto invece il loro modo di percepire la realtà li facesse sentire distanti dal mondo che li stava ospitando.

Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti ?

La società di oggi ci insegna a non esprimere i nostri sentimenti.

Quello che potrei suggerire a me stesso a 18 anni è di non aver paura di emozionarsi.

L’uomo viene considerato adulto dalla società se è capace di controllare le proprie emozioni. Solo all’artista viene concesso il lusso di emozionarsi. Anzi… le persone lo apprezzano proprio per questa sua attitidine. Al Cesare di 18 anni suggerirei di essere orgoglioso del proprio spirito artistico.

Quanto conta la comunicazione?

La comunicazione è fondamentale. È il ponte tra noi e il resto del mondo, in qualsiasi ambito. Ancora più importante è comunicare in modo strategico, ovvero mirato. Avendo ben chiari gli obiettivi da raggiungere.

Tutto ciò che faccio in termini di mostre, attività e progetti io lo comunico. Ma non per sentirmi importante, no.

Quanto per dare importanza ai miei sogni, a ciò che realizzo, alle mie aspettative.

E in questa direzione “comunicare” diventa un modo per far conoscere agli altri il mio mondo e anche per condividerlo. L’Arte per me è democratica.

E come tale deve essere fruibile da tutti e ovunque, senza alcuna barriera o pregiudizio ma per far “arrivare” questi concetti l’arte va condivisa e dunque ancor prima comunicata. In maniera decisa, continua e imprescindibile.

Che differenza c’è, nella percezione dell’arte tra Italia e estero?

Più che su un concetto di percezione dell’arte con eventuali differenze fra Italia e resto del mondo, mi focalizzerei su un punto basilare che precede tale concetto. 

La domanda fondamentale infatti è, a mio avviso, quanto davvero l’arte italiana sia conosciuta e riconosciuta sia nel nostro Paese sia all’estero poiché  – purtroppo – negli ultimi 50/70 anni si è investito tanto negli artisti del passato ma pochissimo negli artisti di età contemporanea e così continua ad essere. 

Quello dell’arte italiana è un panorama di disgregazione che manca di reali ed efficaci programmi di sostegno e investimento mentre all’estero l’artista ha maggiori opportunità non solo per ricevere booster economici ma anche per crearsi una rete importante di rapporti con curatori, gallerie e musei per poi …”spiccare il fatidico volo”.

Cos’è per te l’arte?

L’arte è, tra gli infiniti modi di comunicare con il mondo e con se stessi, quello che viene scelto da un uomo o da una donna per esprimere sentimenti, sensazioni, pensieri in maniera sia esteticamente armonica che concettualmente efficace. Il prodotto dell’ingegno che non soddisfa entrambe queste caratteristiche, per me non è considerabile come arte.

Devono sussistere entrambi i presupposti. In senso lato l’arte può anche essere considerata come il risultato ultimo cui tende l’artista nella propria produzione, un artista che deve sempre sapersi mettere in gioco e che deve sapere non solo catturare le proprie emozioni ma anche saperle incanalare e veicolare attraverso un processo prima di maturazione e poi di divulgazione, sempre rispettando in qualche modo una certa armonia estetica e senza cadere nella volgarità.

Quindi per me va bene il disruptive a patto che non sia solo quello l’elemento che caratterizza l’opera d’arte.

Cosa ti aspetti da un curatore?

Empatia. È ciò che mi aspetto da un curatore che ha una centralità assoluta nella vita di un artista poiché è colui che lo aiuta e lo supporta in un percorso di evoluzione e affermazione che richiede tempo, pazienza, costanza e tenacia.

L’empatia di cui parlo è un viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda, un muoversi armonico di due persone: l’artista da un lato che produce e il curatore, dall’altro, che è chiamato a mettersi nei panni dello stesso artista, per poterne “sentire” il mondo interiore e apprezzare i lavori prodotti così da veicolarli al meglio al mondo esterno,  sia verso il pubblico finale sia verso il target specifico di galleristi, collezionisti e mecenati, fondazioni e musei.

Progetti futuri?

Non amo sbilanciarmi ma posso dire che il 2024 mi vedrà impegnato sia in Italia che all’estero…per mia natura sono sempre proiettato con la testa verso il futuro: è questo secondo me il giusto approccio che dovrebbe avere un “operaio delle emozioni” verso il mondo che lo circonda. 

Grazie Cesare per il tempo a noi dedicato

Alessio Musella

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