Bernardo Peruta nasce a Bergamo nel 1973. Fin da giovane, mostra una passione innata per l’arte, che lo ha portato a seguire un percorso formativo presso la Scuola d’Arti Plastiche Castellini di Como ed in seguito a conseguire la maturità artistica presso la Scuola d’Arte Andrea Fantoni di Bergamo.
Nel 2004, si trasferisce a Nizza, in Francia, dove organizza la sua prima mostra personale e dove rimane fino al 2006. Tornato in Italia, continua a partecipare a svariate esposizioni d’arte contemporanea sia personali che collettive tra cui le più importanti in Italia, Milano, Parma, Verona e all’estero in Francia, Germania, Belgio e New York.

Negli ultimi anni Peruta ha sviluppato una originale ricerca formale che combina pittura tradizionale su tela e nuovi supporti industriali, come lastre di alluminio microforato, che sovrappone alla tela e che dipinge ulteriormente al fine di creare particolari effetti ottici. Applicando molteplici strati di velature di colore sui diversi piani, Peruta gioca con i contrasti cromatici, le luci e le ombreggiature, richiedendo un costante dinamismo al processo della visione.
Il tuo primo contatto con l’arte?
Il primo contatto con l’arte l’ho avuto da giovane: salendo su un’impalcatura sotto la volta di una Chiesa, sono rimasto affascinato dagli affreschi e in quel momento la pittura e l’arte in genere sono diventati il mio principale desiderio di espressione, quasi come fosse un tarlo.
Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?
In realtà non l’ho capito da un momento all’altro, è stata un’idea, o meglio un’esigenza, che si è manifestata poco alla volta fino a diventare uno stile di vita.
La tua prima opera d’arte?
Difficile da stabilire, probabilmente il primo viso che ho dipinto allontanandomi dal ritratto puro.



Per fare arte bisogna averla studiata?
Fare arte è fondamentalmente un bisogno che viene dal profondo di se stessi, cosa che poi inevitabilmente ti spinge ad approfondire, ti rende curioso e ti porta a studiarla.
Da un punto di vista pratico, è importantissimo padroneggiare certi aspetti della tecnica, che ti permettono di realizzare al meglio ciò che nella tua testa vedi già definito.
Come scegli cosa rappresentare?
Non scelgo deliberatamente cosa rappresentare, a volte mi imbatto in immagini, in volti che mi colpiscono. Mi trasmettono sensazioni che poi cerco di riportare nelle mie opere.
Un aneddoto che ricordi con il sorriso?
Probabilmente il mio primo approccio con i colori ad olio, un disastro!
Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?
Uno solo? Difficile scegliere.
Mi piacerebbe incontrare Michelangelo, Van Gogh, Rothko… e tanti altri.


La domanda però sarebbe sempre la stessa: “sei mai stato veramente soddisfatto del tuo lavoro?”.
Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti?
Sicuramente una cosa che ho imparato con la maturità e l’esperienza, mi darei il consiglio di non trattenermi, di non pormi limiti, e di non avere paura di esprimere al meglio il proprio istinto e di realizzare il proprio demone interiore per raggiungere la felicità.
Quanto conta la comunicazione?
Nella società in cui viviamo oggi ritengo che la comunicazione sia importantissima. Ancora di più la comunicazione visiva, abbiamo a disposizione una quantità inimmaginabile di informazioni e il tutto accessibile in modo molto veloce e per lo più superficiale, per cui l’impatto visivo è fondamentale.
La cosa difficile sta nel non cadere nella superficialità, e l’arte serve anche a questo: a far si che lo spettatore si soffermi a riflettere in profondità su quello che vede.



Cos’è per te l’arte?
Credo che l’arte sia un’espressione estetica che da personale diventa collettiva.
È quella cosa che rende il mondo che ci circonda migliore, che ci apre gli occhi e l’anima e che va oltre la quotidianità, la superficialità e l’indifferenza. Che si tratti di pittura, scultura, architettura, musica o design, ogni espressione di creatività che porta con sé un messaggio o uno stimolo alla riflessione è arte.
Cosa ti aspetti da un curatore?
Dal mio punto di vista un curatore ha l’arduo compito di “tradurre” il pensiero dell’artista, fare in modo che il messaggio arrivi al pubblico anche in altre forme oltre a quella dell’espressione artistica in sé. Secondo me è quella figura che è in grado di valorizzare le opere in relazione al messaggio che l’artista vuole comunicare.
È una figura importante perché è proprio il tramite tra lo spettatore e l’artista.



Cosa chiedi ad un gallerista ?
Al gallerista chiedo che valorizzi il mio lavoro, dandogli la giusta visibilità, la giusta posizione sul mercato, che mi aiuti a focalizzare il pubblico più interessato. Che tramite i mezzi che ha a disposizione, faccia in modo che ciò che voglio comunicare sia accessibile alla maggior parte di persone interessate.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
In primo luogo continuare la mia ricerca, sono attratto da ciò è sconosciuto, ma soprattutto da ciò che non è possibile conoscere, mi piacerebbe trovare il modo per esprimere al meglio le mie sensazioni, cercare di trasmettere allo spettatore quell’aspetto meditativo, introspettivo e di contemplazione che è intrinseco nelle mie opere.
Mi piacerebbe sperimentare, provare nuove forme d’arte, nuove tecniche, senza dare limiti alla creatività, e vedremo dove mi porterà.
Chiara Canali