GIANDANTE X, eterno viandante tra i poveri e le stelle a cura di Roberto Farina.

GIANDANTE X
GIANDANTE X

“Circolare liberi dopo la grande lotta, ecco il bel umano sogno.” Giandante X                                                                                                      

1899. Nasce a Milano l’8 agosto.

Figlio di un agiato imprenditore tessile, Dante cresce senza conoscere l’affetto della madre, donna fredda e distante. Il padre Francesco Pescò  cerca di reprimere in lui la vocazione artistica precocemente rivelatasi.

Cresce “come in un deserto”.

1916. Nell’ottobre fugge di casa e rompe i rapporti con la famiglia. Vive poveramente.

Si butta su una “terribile strada fatta di fame miseria e fango”.

Nel ‘17 si iscrive alla Scuola d’arti applicate all’industria del Castello Sforzesco.

Nel 1920 consegue il diploma d’architettura presso il Regio Istituto di Belle Arti di Bologna.

Nello stesso anno esordisce alla Galleria Vinciana con una mostra di disegni patrocinata da Adolfo Wildt.

Con una X cancella il suo cognome, inventa il suo nome: da ora si firmerà sempre Giandante X.

Non è uno pseudonimo, ma il sigillo di una scelta.

Si susseguono numerose esposizioni in decine di gallerie.

Entra in contatto con il conte di Castelbarco, che nel 1924 e nel ‘26 lo ospita alla Bottega di Poesia e gli commissiona alcuni lavori di grafica.

È Castelbarco che probabilmente finanzia la scultura in bronzo Fante Ferito, ora nella collezione Franco Maria Ricci.

1921. Si unisce agli Arditi del Popolo, un’associazione eterogenea e apartitica che si oppone militarmente allo squadrismo fascista.

Quando il governo scioglie gli Arditi, Giandante diventa l’agente milanese dei Gruppi Segreti di Azione, di Guido Picelli. Raccoglie denaro e più di cinquecento moschetti.

1922. Fonda la Setta delle cappe nere, “gruppi di pensiero, di azione e di forma”.

Muore il padre, Giandante rifiuta la sua quota ereditaria.

Ogni diritto gli è liquidato con una cospicua somma, di cui si libera in pochi giorni: parte a Rèpaci per la pubblicazione del suo primo romanzo, L’ultimo cireneo, e il resto in libri e armi.

1923. Nell’aprile è arrestato, incarcerato e torturato. Sul tavolaccio dell’aguzzino, rasenta la pazzia. In cella si taglia le vene per protestare contro i ritardi del processo.

Non trovandosi le armi, è rilasciato, ma da ora è incarcerato preventivamente ogni volta che si organizza una kermesse fascista in città.

Nel maggio si inaugura la I Biennale delle Arti Decorative di Monza: l’esposizione viene suddivisa per regioni, Giandante rappresenta la Lombardia, si firma “Nucleo architetti”.

Espone una fontana in pietra artificiale, disegni in bianco e nero, e dei plastici in gesso costituiti da masse semplici e squadrate che piaceranno a Giovanni Papini e all’architetto olandese Albert Böken.

Questi offre a Giandante di collaborare con la rivista De Stijl.

1924. Il 19 dicembre comincia a pubblicare su “l’Unità” di Gramsci, con la quale collaborerà fino alla chiusura del giornale, nel ’26. Realizza immagini sintetiche, di netta e dinamica concisione geometrica.

1925. II Biennale di Monza: Giandante si firma «Nucleo architetti, scultori, pittori, decoratori».

Per Anty Pansera, i lavori esposti sono gli unici della manifestazione monzese a dimostrare  un’attenzione alle nuove impressioni figurative che si andavano manifestando in Europa.

Dipinge una serie intitolata “Galere”. “Ecco le Galere. Io non condanno l’uomo. Per me sono vuote come un dolore senza conforto.”

1927. III Biennale di Monza: Giandante allestisce due sale, dove espone un modello di fontana, plastici e bozzetti architettonici, sculture. Il costruttivismo di Giandante raggiunge qui il suo apice.

Le opere hanno l’angolosità d’un macchinario industriale: i Templi del lavoro sono sagome nere trapunte di luce, le figure sono ombre dal ritmo di locomotiva.

Per Agnoldomenico Pica nasce con Giandante e con il Gruppo 7 il Razionalismo italiano.

“E fra urlato vento e filo di luna Fu squadrata lastra pura”

Nella celebrazione del ventennale della nascita del futurismo, Giandante sostiene alla Galleria Pesaro un confronto con Filippo Tommaso Marinetti: attacca il futurismo, che considera “inconsistente sul piano etico e quindi estetico”, e si definisce “extra-espressionista-costruttivista”.

1930. IV Triennale: Giandante espone il Tempio degli eroi: volti di carbone e cemento incorniciati nel legno grezzo. Maschere allucinanti,  barbare e arcaiche.

Per la prima volta i suoi lavori non compaiono nel catalogo della manifestazione, ormai in mano alla direzione fascista.

“E, per il tutto contro il tutto.”

1933. Nell’ottobre lascia tutto quello che ha presso i pochi amici e passa clandestinamente in Svizzera, quindi in Francia.

I carboncini, le tele a olio, gli studi a china e a matita e le sculture in gesso che si lascia alle spalle sopravvivranno al suo esilio volontario e ai bombardamenti della guerra.

Queste opere saranno conservate per decenni dagli amici di Giandante e dai loro figli, finché, tornate in circolazione per sopraggiunta morte dei proprietari, saranno svendute dalle case d’asta.

L’OVRA segue le mosse di Giandante, lasciandoci un dossier dettagliato dei suoi spostamenti, conservato presso l’archivio della polizia politica, a Roma.

Viene incarcerato ed espulso più volte.

Vive di ogni tipo di lavoro, dal decoratore al facchino.

Espone occasionalmente.

1936. Nel luglio, un mese dopo il tradimento dei generali spagnoli,  getta le sue opere nella Senna e passa clandestinamente in Spagna. Il 28 agosto prende parte alla battaglia di Monte Pelato, nella colonna Rosselli.

Combatte a Guadalajara. L’EIAR, la radio fascista, ne annuncia la morte in battaglia. Tutti in Italia lo crederanno morto fino al dopoguerra.

Scrive Repaci: “Il compianto per la morte di Giandante fu generale nell’ambiente artistico milanese… Si progettò una grande retrospettiva… Chi aveva contribuito a isolarlo, si pentì.”

Intanto in Spagna Giandante si arruola come tecnico alla caserma Carlo Marx, poi passa nella 134° Brigata mista, quindi nell’ufficio Propaganda e Stampa del Commissariato Brigate Internazionali. Illustra giornali di brigata, realizza volantini e manifesti.

1933. Nel gennaio cade Barcellona, Giandante è tra i duecentocinquantamila profughi che passano in Francia. Viene internato nei campi di concentramento di Saint Cyprien, Gurs e Vernet.

Tiene corsi di storia, letteratura e di scultura. Scolpisce una miscela di fango, sabbia e paglia che fa essiccare al sole, ottenendo così l’antica durezza dell’adobe.

Le sue colossali sculture raffigurano Garibaldi o combattenti repubblicani all’assalto.

I compagni di prigionia vi si riuniscono intorno per farsi fotografare. Produce numerosi disegni su carta di quaderno, che dona ai compagni sulla via del rimpatrio: racconta la guerra, ma con forme d’aria, figure solitarie e senza basco, ombre flessuose in corsa oltre le montagne.

1942. Nel giugno è consegnato alle autorità italiane, che lo condannano a cinque anni di confino a Ustica. Produce piccoli disegni a carboncino.

Il 25 luglio 1943 cade Mussolini. Il governo Badoglio rilascia tutti i prigionieri politici, ma non gli anarchici. Questi sono trasferiti nel campo di concentramento militare di Renicci Anghiari, in Toscana.

Pochi giorni dopo l’8 settembre, Giandante fugge dal campo di concentramento e raggiunge Milano, dove milita come ufficiale di collegamento nella formazione partigiana Matteotti 33 Fogagnòlo.

1945. Nel luglio ha già pronta una mostra: espone carboncini e tempere alla Galleria dell’Annunciata: uomini e donne al lavoro, in festa.

Si susseguono numerose mostre nelle gallerie milanesi: Borgonuovo, Gussoni, Schettini, per fare solo qualche nome.

Tra il ’46 e il ‘48 dà alle stampe quattro volumi di liriche, editi da Rosa e Ballo e dal Centro Ricerche e studi.

Per tutti gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta mantiene i contatti con i galleristi, ma in seguito preferisce la via dei mercatini e dei rigattieri.

Vuole tenere le quotazioni basse, afferma di volere “un quadro in ogni casa”.

Si apposta davanti alle gallerie che vendono i suoi quadri, per regalare personalmente le sue opere od offrirle a prezzi popolari.

La sua produzione va concentrandosi su tre soggetti: montagne, volti e fiori.

“Raffinate ricerche tecniche, che hanno consentito a Giandante di raggiungere gli effetti dello smalto, con una sorta di encausto campito sul bianco e trattato a graffito.” (A. Pica)

Nel 1963 l’editore Bruno Caruso gli dedica una monografia, con testo critico di Gino Traversi.

Giandante partecipa con trasporto alla realizzazione di questo volume, che considera “un biglietto da visita”.

Nell’autunno del 1984 lo trovano esanime nel cortile della sua abitazione-studio.

Lo operano di peritonite al Policlinico, quindi lo trasferiscono a Castelleone, dove spira il 19 novembre.

Nel 1988 la Fondazione

Corrente gli dedica una mostra antologica, L’avanguardia dimenticata, a cura di Antonello Negri e Silvia Robertazzi.

Negli ultimi anni si è riacceso l’interesse intorno a Giandante, a cui sono stati dedicati libri, articoli, saggi universitari e mostre.

“La canzone la canto su un bastone vagabondo Finché cadono le ultime lacrime E si richiudono le ali a tutti i corvi”. Giandante X

Roberto Farina

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