Il linguaggio archetipico del paesaggio Intervista a Edoardo Cialfi Di Chiara Canali.

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Originario dell’Umbria, dove vive e lavora, Edoardo Cialfi ((1993, Marsciano – PG) inizia il suo percorso come artista di strada che, armato di sola bomboletta spray, si concentra sulla scrittura del proprio nome.

Successivamente approda alla Street Art e, contemporaneamente, completa gli studi accademici alla LABA di Firenze e all’Accademia di Belle Arti di Verona.

Nel 2012, a causa di problemi con le autorità, decide di spostare la propria ricerca dai muri esterni a supporti più tradizionali, come tela, tavola o cartone e dal 2017 si concentra sul genere del paesaggio, pur mantenendo fede alla tecnica pittorica a spray.

Soggetto privilegiato della indagine espressiva di Cialfi è la terra dell’Umbria, dalla seconda metà dell’Ottocento una delle mete privilegiate del Grand Tour in Italia e spesso dipinta dagli artisti europei, soprattutto francesi.

La ricerca dell’artista si inserisce, senza soluzione di continuità, in questo filone di analisi del genere del paesaggio (umbro) e, al tempo stesso, intuisce e sviluppa un nuovo rapporto uomo-natura, che va oltre le categorie estetiche del sublime e del pittoresco indagate nel XIX secolo, per soffermarsi invece sul sentimento del “perturbante” quale carattere tipico della post-modernità.

La sua originale tecnica ad aerosol, che unisce costruzione precisa delle forme, libertà del tratto, sintesi additiva dei colori, trasforma ogni veduta paesaggistica in una visione misteriosa e metafisica.

Attualmente le sue opere sono in mostra presso la Galleria d’Arte ZAMAGNI di Rimini, nella mostra IL PERTURBANTE, prima personale di Edoardo Cialfi a cura di Chiara Canali, con il patrocinio del Comune di Rimini.

Il tuo primo contatto con l’arte?

In senso lato è stato quando ho iniziato a usare colori su delle superfici, non ho memoria di quando avvenne, ero molto piccolo.

Più precisamente direi quando ho iniziato a concepire delle forme.

In alcune noiose giornate passate nel campeggio delle zone marittime che frequentavo, ricordo i miei tentativi di disegnare il mare e la fauna ad esso appartenente, credo che abbia avuto 10 anni.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Da quando ho iniziato a praticare Writing a quattordici anni, ho compreso che in qualche modo avrei dovuto trasformare una disciplina in una professione.

Ora non pratico più Writing ma l’aerosol è il mezzo con il quale mi continuo a professionalizzare.

La tua prima opera d’arte?

Credo che la mia prima opera possa essere Il primo pezzo (lettering) del quale mi sono sentito abbastanza soddisfatto.

Nel contesto della mia attuale ricerca la mia prima opera è stata “La fatica della luce”, un lavoro del 2017.

Per fare arte bisogna averla studiata?

Non credo sia necessario studiare arte per iniziare a fare arte, credo che altrimenti si potrebbe applicare una formula precisa per creare un’opera.

Spero che l’arte possa continuare a sfuggire a decodificazione esatte, più o meno complesse.

Credo altresì che nello sviluppare un linguaggio, un artista non possa prescindere dallo studiare chi è suo contemporaneo e chi l’ha preceduto chiedendosi i perché delle proprie scelte e di quelle altrui.

Come scegli cosa rappresentare?

Scelgo di rappresentare cosa percepisco attraverso un linguaggio archetipico, che è quello della pittura di paesaggio.

Tento di ricordare sempre che ci muoviamo in uno spazio indeterminato, e che la nostra inconsistenza nella determinazione degli eventi ci ricorda la nostra superficialità.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso?

Nell’ambito professionale un SMS che sbagliai a inviare.

Dovevo indirizzarlo alla ragazza con cui mi frequentavo in quel momento, ma lo inviai al mio gallerista Gianluca Zamagni. Evito di riportare il contenuto esilarante e la reazione di Gianluca.

Da un punto di vista più intimo e strettamente personale, la mia prima visita al Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi.

Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?

Ne incontrerei diversi ai quali farei diverse domande.

Un quesito che però spesso mi faccio è su un’opera che esercita un grande fascino su di me.

Vorrei saperne di più sulla scelta della luce che costruisce l’incarnato delle figure nella seconda versione della Vergine delle Rocce.

Se un giorno potremmo vivere il tempo come una dimensione spaziale, farei qualche passo indietro per domandarlo a Leonardo.

Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti?

Questa è una categoria di domande che trovo molto difficili. Se non ci fosse alternativa relativa ad ogni causa del passato, nel produrre l’effetto presente, allora gli consiglierei di ripercorrere gli stessi passi.

Forse mi direi di non fare, o quanto meno provare a non fare, cose che non racconterei ai miei amici più cari.

Quanto conta la comunicazione?

A quanto pare conta molto più di quanto mi aspettassi in passato.

Credo che il 50% di un lavoro apparentemente riuscito, sia trovare un modo efficace di comunicarlo.

Cos’è per te l’arte?

Non so dare una risposta certa, nemmeno a me medesimo.

Forse a volte può diventare un’alternativa efficace al mistero del nulla.

Cosa ti aspetti da un curatore?

Da un curatore mi aspetto interpretazioni coerenti relative al percorso e al linguaggio di un artista.

Qualora le interpretazioni possiedano tale coerenza, una collaborazione che sia duratura.

Cosa chiedi ad un gallerista ?

Sinceramente non saprei, farei diverse richieste su vari argomenti.

Certamente è importante che sia capace di fare il suo lavoro.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Ho in programma diverse collaborazioni e partecipazioni tra la fine del 2024 e la metà del 2025.

Pensando però alla data di domani, sto’ per finire i telai, quindi devo sbrigarmi a contattare il mio falegname.

Chiara Canali

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