Francesco Zizola “esserci per raccontare”.

Francesco Zizola
Francesco Zizola

Per Francesco Zizola le immagini hanno l’impegnativo e fantastico compito di creare percorsi intimi capaci di stimolare viaggi unici negli occhi di chi osserva .

Per lui esserci è il primo dictat per uno scatto, ha viaggiato molto, ha visto osservato e raccontato il mondo attraverso i suoi lavori.

Conosciamolo meglio attraverso la nostra intervista, lasciando a lui il piacere di raccontarsi:

Il tuo primo contatto con la fotografia ?

Ci sono state due fotografie che  hanno cambiato il mio modo di vedere ed intendere il mondo.
La prima l’ho incontrata da bambino, una fotografia in bianco e nero che mostrava il macabro e drammatico scenario di un campo di concentramento, una montagna di corpi scheletrici ammucchiati in quella che sembra una fossa comune.
 In un momento, quello di uno sguardo, ho capito quello che molte parole non potevano descrivere.

La seconda immagine è arrivata dopo qualche anno, ero un ragazzino; anche questa una fotografia in bianco e nero, al centro dell’immagine orizzontale una bambina nuda che corre su una strada di campagna a braccia aperte, circondata da altri bambini e da soldati armati.
Sullo sfondo il villaggio in fiamme e le colonne di fumo nero che fanno immediatamente capire la ragione della sua nudità.

Queste due immagini hanno avuto il potere di condizionare il mio modo di vedere il mondo e la realtà intorno a me.

Inoltre mi hanno convinto della potenza delle immagini fotografiche che da allora hanno accompagnato la mia vita.

Quando hai capito che la fotografia sarebbe diventata da passione a professione? Cosa è per te la fotografia oggi?

Ho continuato a praticare  la fotografia e durante gli studi universitari di antropologia culturale ho iniziato ad utilizzarla  come strumento di accompagnamento delle mie ricerche.

Il passaggio al “professionismo” è stato naturale.
Ho quindi praticato ed esercitato diverse forme di fotografia privilegiando alla fine quella che mi ha accompagnato per tre decenni, quella della fotografia documentaria.

Negli ultimi dieci anni  invece ho iniziato ad usare la fotografia in modo diverso, da quando mi sto dedicando ad un progetto sul rapporto tra l’uomo e la natura ho operato una trasformazione del mio linguaggio che da documentario si è sempre più spostato su un piano interpretativo e simbolico.

La fotografia, come sappiamo, non è mai pura duplicazione del reale e il suo uso comporta sempre un certo grado di interpretazione.
L’incontro tra il mondo esterno e quello osservato da luogo ad una infinità di mondi immaginari.

Le fotografie di Mare Omnis  vogliono essere un invito ad entrare in nuovi e diversi piani percettivi.

Sono immagini fotografiche (quindi ancora prelievi di realtà) che  disegnano però percorsi interiori ed evocano immagini anteriori, ancestrali.

Il riferimento alla dimensione sacrale dello spazio naturale è presente  in molte delle fotografie in mostra ed è solo uno degli esempi su cui ho creduto opportuno procedere.


Le fotografie di Mare Omnis si potrebbero definire fotografie di paesaggio, inteso come luogo di incontro tra natura e cultura.

Ogni immagine è quindi l’immagine in cui si consuma una continua tensione tra ciò che riconosciamo e ciò che le immagini evocano in noi.

C’è nelle fotografie un deliberato invito a passare da una dimensione esterna ad una interna,
il paesaggio mostrato diventa così interiore.

Le mie fotografie  abbandonano lo status descrittivo a favore di quello evocativo.

La fotografia è un linguaggio contemporaneo sempre più usato.

Oggi come mai  dall’avvento dell’invenzione fotografica, le immagini sono usate dalla maggioranza degli uomini per  comunicare?

In questo momento un diluvio di immagini attraversa il pianeta e mentre il suo numero aumenta esponenzialmente, sempre meno viene colta la potenzialità intrinseca della fotografia di indicare non solo la superficie delle cose, ma il suo l’aspetto più profondo e complesso.

Mare Omnis quindi è un invito a ripensare la fotografia come strumento di relazione con il mondo.
Lo fa attraverso una esposizione di fotografie in grande formato , altrimenti non godibili sulle superfici digitali classiche dei nostri computer o telefoni, ricordandoci come le fotografie siano anche oggetti che possono interagire fisicamente con la nostra percezione delle cose e del mondo.

La decisione di rendere una immagine del progetto disponibile come NFT è connessa alla riflessione sulla nostra relazione con la natura.

Può questa nuova forma di scambio esistere attraverso la moneta elettronica  superando l’impronta ecologica negativa da esso generata ?

Alcuni nuovi protocolli , per esempio quelli legati alla Proof of Stake, fanno intravedere interessanti e promettenti orizzonti.
L’immagine eventualmente acquistata attraverso il blockchain diventerebbe così garanzia di azione compensatrice di CO2 contribuendo a progetti qualificati di riforestazione .

Intervista in collaborazione con

CULTURALIA DI NORMA WALTMANN Agenzia di comunicazione e ufficio stampa tel : +39-051-6569105 mob: +39-392-2527126 email: info@culturaliart.com web: www.culturaliart.com
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