Jean Turco un obbiettivo tra luci e ombre…

Jean Turco
Jean Turco

Nel lavoro di Jean Turco la luce e le ombre ti avvolgono, uno sguardo felino in un mondo metafisico di oggetti che riprendono nuova vita in scenari mistici, il bianco e nero è come china, le immagini si materializzano attraverso le luci cinematografiche, così divento un soggetto che appartiene al passato delle conoscenze delle arti per sublimare la continuità della vita e dei sogni di grandezza.

Ho avuto modo d’ incontrare a Giais il grande maestro delle luci Jean Turco e di estrapolare questa intervista che riporto ai lettori con l’ augurio che vi possa meravigliare e suscitare interesse nei confronti della sua fotografia e del suo punto di vista.

Jean Turco è stato così gentile di ritrarmi cos’ mi sono riconciliata con le mie origini Friulane, ho ritrovato attraverso questi scatti la mia luce, la luce di casa.

Quando è nato il tuo amore per la fotografia e per l’ arte ?

Dovevo avere 8 o 9 anni quando ho realizzato le mie prime immagini con la macchina fotografica che mia madre mi aveva affidato con un po’ di paura che danneggiassi quello che allora era considerato un lusso nelle famiglie di immigrati friulani in Francia.

La mia fotografia non aveva molto a che fare con l’arte.

Abitavamo la Savoia dove sono nato e con i miei amici vivevamo le nostre giornate di vacanza in montagna; in particolare nelle rovine abbandonate nel tempo, di un castello forte del XII secolo a “Chantemerle” nelle alture di un villaggio chiamato La Bathie.

Per far condividere ai miei genitori quello che vedevo e mostrare loro la « vita da castello » che facevamo avevo chiesto e ottenuto, non senza fatica, che mamma mi prestasse la sua macchina fotografica.

Le mie fotografie non erano male e stupivano i miei genitori, parenti e i loro amici per i quali la fotografia era solo un modo per illustrare le feste di famiglia e fare il ritratto di coloro che le componevano.

Rapidamente, per un Natale, quello dei miei dieci anni penso, mi regalarono la mia prima macchina fotografica, un Ultra-Fex 6×9 in Bakelitte e non ho mai più smesso di fotografare.

Più avanti negli anni mi sono appassionato alle riviste d’arte che trovavo nella biblioteca comunale di Chamonix-Mont-Blanc e mi sono laureato in fotografia e in storia dell’arte. Facevo, perché i luoghi si prestavano, fotografia di alta montagna ma, con molto più piacere, fotografie, anche poco vestite, delle mie amichette e delle “estivante” o “hivernantes”, parigine che venivano in vacanza ai piedi del Monte Bianco.

Chi sono i tuoi maestri i tuoi punti di riferimento ?

Amo la pittura come la fotografia e sono aree in cui, inconsciamente forse, attingo la mia ispirazione, nella pittura sono meravigliato dai colori dei dipinti rupestri di Lascaux per esempio ma anche dalle luci e dalle composizioni di Caravaggio, di Wermer de Rembrandt ma anche di molti altri come Modigliani, Morandi e Picasso.

In materia di fotografia il mio maestro è ovviamente Jean-Loup Sieff ma amo anche Richard Avedon, Ansel Adams, Yousouf Karsh, Horst P. Horst, Irwing Penn e ho molto piacere a guardare le immagini di Helmuth Newton e quelle, non tutte, di Mapplethorpe il cui esibizionismo omosessuale non apporta molto alla sua grande arte, del ritratto in particolare.

Come hai trovato la tua identità stilistica ?

Nel corso degli anni ho ricercato e perfezionato le tecniche che mi permettono di realizzare fotografie che illustrano al meglio la mia visione sia del ritratto che del nudo, della natura morta e del paesaggio.

Il loro punto comune è una grande semplicità della luce e, allo stesso tempo, la sua comprensione e la sua perfetta padronanza.

In studio questo non è un problema perché la luce si crea con facilità visto il materiale di cui si può disporre, che sia semplice ed economico o professionale ed estremamente costosa. Si può dunque realizzare la luce esatta, al millimetro, al quarto di lumens, assolutamente come la si visualizza quando si posiziona il suo oggetto.

All’esterno è più complicato perché devi aspettare il momento giusto.

La stagione giusta, il giorno giusto, l’ora giusta e, quasi, il minuto giusto per fare “la” foto.

Ma ci sono delle incognite e la luce è fugace.

Può essere e non è raro all’esterno, che quando tutto è a posto e arriva il momento ideale, passa una nuvola, anche piccola, e non permette di realizzare la foto visualizzata.

E ovviamente ci sono anche i soggetti orientati in modo tale che la luce non li illuminerà mai come si vorrebbe.

Si può, sempre, se il “budget” lo permette, fare tutto, illuminare come si fa al cinema dove ho per amici grandi specialisti, direttori della fotografia come Jacques Renoir per esempio, ma ancora bisogna non solo che il detto bilancio di previsione lo permetta ma anche sapere che nessuna luce “cinematesca” non varrà mai la luce naturale del sole.

Cosa ricerchi in uno scatto ?

Quando faccio un’immagine è per materializzare e conservare il ricordo della visione che ho del suo soggetto; che si tratti di un paesaggio, di un ritratto, di un nudo o di una natura morta.

In effetti vedo ciò che ci circonda in un modo che mi è del tutto personale, del resto vedo spesso in bianco e nero e in sfumature di grigio, e le immagini che mi si offrono durante il giorno sono spesso fugaci, soprattutto con la luce naturale dove in pochi minuti la luce passerà dall’angolo radente ideale alla sua scomparsa delle pareti che mette in risalto quando fotografo “case coloniche” in pericolo di crollo nelle zone bonificate tra Venezia e Trieste.

Inoltre, in questo caso preciso illustro e documento una situazione che si deteriora nel corso degli anni e ci fa perdere la testimonianza del passato di un’Italia a me cara.

E nelle mie altre immagini l’obiettivo è ancora lo stesso, condividere la mia visione, mostrare che un oggetto non è solo un oggetto, che un corpo nudo può essere vestito dall’ombra, che un volto, uno sguardo, un sorriso abbozzato può rivelare un’anima.

Che è importante infine prendersi il tempo di guardare perché il mondo che ci circonda è un’immensa riserva di bellezza.

Come sono nate le tue nature morte ?

Mi piace vedere negli oggetti qualcosa di più della loro semplice immagine e li guardo come testimoni della vita a cui hanno partecipato nelle mani di chi li ha comprati, posseduti, usati.

Quando guardo un vecchio spartito, vedo una giovane donna che suona il pianoforte nel salotto di un appartamento veneziano, quando ho davanti agli occhi una tela strappata dove è stato dipinto un ritratto o un nudo, spesso senza grande talento, è il pittore che vedo, è il suo modello che immagino, e questo cavallo di legno, rotto, che incollerò di nuovo, lo vedo cadere dalla mensola dove era stato messo.

È così che, in un negozio di antiquariato o in un mercatino, compro, abitualmente per pochi euro, oggetti che non hanno più valore, un giocattolo di latta maltrattato, rotto, un attrezzo consumato e arrugginito, una scultura di terracotta scheggiata, una vecchia schiumaiola di alluminio attorcigliata e tante altre cose che molti butterebbero nella spazzatura.

Spesso il venditore mi guarda quando osservo da tutte le angolazioni un oggetto che aveva gettato in una scatola senza prestargli la minima attenzione e si chiede quale interesse potrei mai trovare in esso.

E non capisce, quando lo giro, questo oggetto oggi inutile, davanti ai miei occhi, cercando di capire come la luce lo valorizzerà, che non è più l’oggetto che vedo ma l’immagine che ne faró, che visualizzo, la storia che immagino e che sto per raccontare, illustrare.

Spesso questi oggetti si riferiscono alla mia vita, alle mie relazioni con gli altri, ai miei desideri e sempre alla mia musa, e quando li metto in borsa, non sono più oggetti, ma elementi della foto che farò appena tornata a casa, prima ancora di pranzare, nello studio che è sempre pronto, dove in pochi istanti organizzo l’immagine che ho in mente, ottimizzo la luce dei miei “Broncolor”, regolo il tutto al centimetro, al millimetro, in modo che i dettagli che voglio sottolineare siano evidenziati.

Lo scatto è veloce, è solo una questione di tecnica da padroneggiare perché l’immagine era già fatta, l’avevo in mente da quando ho scoperto e comprato l’oggetto e il tempo che bolle l’acqua dove metterò una manciata di spaghettoni, e mettro in padella l’olio, l’aglio e il peperoncino, la foto e fatta come la vedevo.

E la mia musa, la guarda e sa subito che è dedicata a lei.

A quali progetti stai lavorando attualmente ?

Attualmente sto preparando nuove immagini, nature morte, per “Photo-Beijing”.

Ho esposto un po’ ovunque nel mondo ma devo dire che è in Cina dove la cosa mi dà più soddisfazione.

La ricchezza del mondo dell’arte in questo paese, a livello dei suoi artisti come a quello dei suoi appassionati e collezionisti benestanti, è incredibile.

Ho la fortuna e il piacere di avermi creato in China, grazie a Lala Zang, il mio agente, un posto, sia per la pubblicazione dell’edizione in lingua cinese del mio libro sull’arte dell’illuminazione che per le mie conferenze, master-class e mostre, in particolare a « Photo-Beijing » .

Photo Beijing dove ho già avuto il piacere di essere « ospite d’onore » e camminare sul tappeto rosso di questa manifestazione di fama internazionale.

Purtroppo, con il Covid, anche se le cose sono diventate più complicate, conto e nutro molte speranze sulla prossima edizione di « Photo-Beijing » dove è prevista una mostra personale e nuove conferenze

Tra le varie cose organizzi anche dei master di fotografia e hai scritto diversi libri sulla tecnica fotografica e la comprensione della luce, cosa consigli a chi si vuole avvicinare al mondo della fotografia ?

La fotocamera digitale è un grande progresso nella fotografia e sembra permettere di liberarci da tutti i problemi tecnici delle immagini…

Convenzionali; immagini che sono quelle che la maggior parte degli possessori di telefoni cellulari e altre fotocamere compatte produce con soddisfazione.

Dobbiamo ammettere che la qualità di questi ultimi apparecchi incorporati nei telefoni per esempio superano spesso quella degli apparecchi professionali utilizzati negli anni ’60 e fornisce immagini perfette nella maggior parte delle situazioni previste dai creatori del software integrato che li equipaggia.

È quindi possibile, senza alcun dubbio, creare cose bellissime, opere d’arte degne delle più grandi gallerie con questa attrezzatura, a patto di avere una buona cultura dell’immagine, un idea e un progetto artistico.

Ma naturalmente, se si desidera creare immagini “non convenzionali” la cui composizione, i contrasti, la distribuzione dei volumi, le condizione di luce ecc. vano logicamente al di là dei criteri perfettamente gestiti dal software della fotocamera, si dovrà prendere il controllo del materiale et della produzione dell’immagine idealizzando le impostazioni, dalla visualizzazione prima d’iniziare, alla ripresa e alla post-produzione, cioè al laboratorio digitale o analogico.

Questo mi permette di dire che e importante avere una perfetta conoscenza di tutte le tecniche legate alla creazione fotografica, la conoscenza del materiale per poter scegliere il formato più adatto alla destinazione dell’immagine, ed essere capace di passare dal 24×36 digitale al banco ottico 8×10 analogico.

Questa tecnica è facile da apprendere, anche se è necessario trascorrere qualche anno o fare da assistente a un fotografo che possa insegnarla.

Dopo, per essere fotografo, non basta la tecnica e se ci si occupa solo di quella si diventa un professionista, un tecnico, un artigiano eventualmente di grande qualità ma non un artista, quello che conta, padroneggiata la tecnica, è l’occhio del fotografo e questo occhio si forma da sempre, guardando, studiando migliaia d’immagini che altri artisti hanno realizzato, nei libri, nelle riviste, nei musei, nelle mostre e anche in internet.

C’è tanto da fare !

Basta fare.

Iniziare al più presto, subito, perché no ?

Paola Fiorido

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