Intervista Marco Nava a cura di Maria Marchese

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MARCO NAVA

Da qualche tempo neopresidente della galleria “Il Rivellino” , di Ferrara, Marco Nava è un giovane e talentuoso artista, nativo dell’omonima città.

Non ama, invero, sciorinare la propria biografia; egli sottolinea, invece, la sua provenienza da studi di  “bottega” , allignando il proprio percorso artistico alla personalità dei noti Maestri Daniele Carletti e Emidio De Stefano.

In una Ferrara odorosa delle pennellate di De Pisis, Boldini, De Chirico…il volitivo e capace temperamento dell’esteta trasla se stesso, imprimendosi sulle tele attraverso un ludico e scelto avvicendamento della condizione formale, cromatica, materica nonché concettuale.

La sua mano sorrade molteplici orientamenti pittorici, per poi frangere i dictat di questi ultimi e realizzare dei peculiari diastemi esistenziali, che indovano la sua indole artistica in un mutevole limbo, sospeso tra pregnanze neoavanguardiste e neorinascimentali.

Questo cangiante gioco coinvolge l’osservatore nel fluire emozionale, che scorre addentro  un’arteria pulsante, ove ogni singolo brano pittorico involve la possanza delle palme del pittore; esse plasmano il suolo e, nel contempo, carezzano il cielo.

La forza di questa dicotomia dimora l’esteta e, più in generale, l’individuo in una vivifica realtà: ivi l’incertezza diviene foriera di quesito e, quest’ultimo, si esprime come origine di crescita personale.

L’artista stesso definisce le sue difformità espressive “Meta stagioni”  ; quel meta trova radici nel greco “μετά” (con, dopo) , che indica la trasformazione, ma anche nel sanscrito “mìthu o mìtha” (legare l’uno all’altro)  .

In entrambi i casi esso diviene genesi del microcosmo universale dell’artista: sprigiona un eloquio che lo relaziona con l’evoluzione, nella prima ipotesi, e con la continuità tra sfera terrigena e soprasensibile, nella seconda.

Nell’accezione assunta dal termine metafisica, dopo Aristotele, il prefisso meta si rivolge a sfere  che trascendono la realtà percettibile ai sensi.

Marco Nava passa dall’esternare vere e proprie edificazioni materiche al destrutturare parzialmente o totalmente una realtà fisica e concettuale, dall’ammantare un pensiero rinascimentale con una veste neo pop al favolare un’amara condizione umana, attraverso una fanciullesca metafisica.

Egli alterna tenuità e intensità tonali attraverso il lento realizzarsi del pigmento oleoso sulla tela e altresì mediante il lesto concretarsi del colore acrilico sulla stessa, raddolcendo o inasprendo, conferendo spessore o leggerezza, così, al contenuto.

Il pittore tesse un divenire artistico cangiante e interessante, che lo rende meritevole di attenzione nel panorama artistico internazionale.

Qual è il motore che dà inizio ad una tua nuova opera?

Per iniziare a creare devo provare uno stato d’animo, sia esso positivo o negativo, di rabbia o amore: ciò mi dona l’input per iniziare. Frequentemente mi esprimo a ruota libera, senza avere un’ idea ben precisa.

Cosa avviene, in te, mentre realizzi un’opera?

In me subentra una vera propria alienazione rispetto a ciò circonda: la mia mente si libera da tutto, quasi come se vivesse una catarsi, e penso unicamente al concretamento dell’opera.

Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche per distinguersi, nel mondo artistico?

Da artista e presidente di una galleria penso che le singole peculiarità distintive, di ogni individuo, siano ciò che ne decreta la distinzione personale. Se prendo 10 bambini e faccio loro disegnare una mela, ognuno la rappresenterà in maniera diversa. Attraverso la loro individuale trasposizione del soggetto, si evincerà la l’intima creatività e ciò permetterà loro di distinguersi gli uni dagli altri.

Maria Marchese

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