Alda Merini, la vita, il tormento, la passione.
Anima forte e fragile, poco incline a rispettare regole.
Ne parlo oggi con Ave Comin, studiosa di Alda Merini.
“Sona nata il 21 a primavera ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar tempesta”.
Partiamo dall’infanzia. Alda Merini fu una bambina fuori dal comune: amante della cultura, imparò a memoria la divina commedia. Cosa puoi raccontarmi di Alda Bambina?
Alda fu una bambina sensibile, silenziosa e abbastanza solitaria. Figlia di un uomo culturalmente preparato che la avviò allo studio dei grandi classici, già da piccola imparò a memoria l’inferno di Dante Alighieri; vinse il premio Giovani Poetesse consegnatole dalla regina Maria José di Savoia. Tutto ciò in conflitto con la figura materna che, sebbene figlia di una maestra, avrebbe preferito per Alda la vita da casalinga. A volte, dopo litigi con quest’ultima, Alda si toglieva le scarpe ed elemosinava per strada dicendo di essere orfana, con le conseguenze che tale gesto comportava.
La madre si rivelerà figura importante nella sua vita e questo è dimostrato dalla crisi che la colpì alla morte di quest’ultima.
Fu costretta a lasciare gli studi, questo influì su una psiche già fragile.
Sì, fu costretta a lasciare gli studi a causa della guerra, si trasferì in Piemonte con parte della famiglia. Frequentò la scuola di avviamento al lavoro.
Sognava di iscriversi al liceo classico per proseguire con medicina.
Insomma, grossi progetti. Venne però bocciata alla prova di italiano: questa fu una sconfitta mai digerita e che la fece sentire incompleta.
Talento e tenacia ebbero però la meglio. La fine degli anni 40’ costituirono un punto di partenza. Cosa accade?
Sì, Alda lavorava presso lo studio di un notaio in Via Verdi e, nonostante si trovasse sul posto di lavoro, diede vita ai suoi versi.
Angelo Romanò, conosciuto tramite Silvana Rovelli, sua professoressa di italiano , la mise in contatto con Giacinto Spagnoletti (il quale ne pubblicherà le prime poesie), iniziò a frequentarne la casa situata presso via Del Torchio, dove ebbe modo di incontrare intellettuali del calibro di Giorgio Manganelli, Maria Corti, David Maria Turoldo, Luciano Erba e molti altri.
VI è un aneddoto a dimostrazione del talento di Alda.
Una sera bussò alla porta Salvatore Quasimodo e cercava proprio lei.
“Chi è lei?” chiese il padre in dialetto milanese.
“Sono Salvatore Quasimodo”. Rispose l’uomo.
In seguito conobbe anche Pier Paolo Pasolini che scrisse di lei sulla rivista “Paragone”.
Manganelli, una storia d’amore tormentata e ai limiti della legalità che lasciò il segno in entrambi.
Alda come già detto lo conobbe in via del Torchio presso il circolo culturale di Spagnoletti
Persona di cultura, traduceva dall’inglese e scriveva poesie. Possiamo dire che s’incontrarono sia mentalmente che fisicamente.
Tra i due nacque subito una forte attrazione.
Manganelli è maggiore di dieci anni, ma il problema fu un altro: lui è sposato e ha una figlia, Lietta, che stabilì un rapporto forte con Alda.
Sicuramente la relazione con la moglie fu abbastanza difficile, tant’è che con il passare del tempo, quando quest’ultima incontrò la Merini, le disse: “Se vuole mio marito può anche tenerselo”.
5 anni di relazione e nel momento in cui venne ricoverata la prima volta a Villa Turro, in quanto vedeva ombre, e sottolineo, non voglio parlare di “pazzia” perché non era pazza, in suo aiuto Manganelli.
Ad un certo punto però, l’uomo prese la sua motocicletta, partì e la lasciò. Parlavano di tutto: di vita, di morte, di poesia, affrontarono problemi di un certo spessore, però tra i due chi aveva il carattere più forte fu Alda che, nel corso di un’intervista disse:
“Io per Manganelli sono stata un demone, anche ispiratore”, perché Manganelli ha assorbito molto della poetica della Merini.
Un demone significa anche che quest’ultimo non ce la fece e troncò la loro storia.
L’esordio di Alda arrivò intorno agli anni 50’. Nel 1953 viene pubblicato “ La presenza di Orfeo”, nel 1955 “Nozze Romane” e “Paura di Dio”. All’interno de “La presenza di Orfeo” è collocata la poesia “Estasi di San Luigi Gonzaga”.
In questi testi quale aspetto della personalità della Merini emerge?
Riaffiora la presenza della spiritualità anche se coesisteva con l’aspetto molto erotico.
Alcune poesie sono dedicate alla Madonna nel cui dolore si immedesimava , che era poi il dolore che la stessa Alda aveva sofferto per le figlie, così come la madonna affrontò momenti difficili con Gesù.
Sia nei primi anni che negli ultimi è presente una forte spiritualità, con Dio e con la Madonna. Elemento che perde nel periodo in cui entra in manicomio, quindi nella fase centrale della sua vita, a causa dell’atteggiamento dei preti da lei ritenuto non esemplare. SI allontanò così dalla Chiesa.
Da bambina si recò in chiesa anche 10 volte al giorno e chiese di diventare suora.
Ritornò alla spiritualità verso la fine della vita.
Elemento caratterizzante la “Presenza di Orfeo” è l’angoscia.
Passiamo al rapporto con la poesia: conflittuale, tanto che cerca di sottrarvisi, rendendosi però conto di non potervi vivere senza. Arriva a considerarla una maledizione.
“Ho una pistola puntata alla tempia” disse Alda.
Aforisma per dire che la poesia è stata importante, l’ha salvata, scriveva, anche se non voleva.
“ Le poesie mi escono come un fiume piena, sono quasi costretta”. Raccontò spesso.
“Ho il colon irritato dai versi”.
Da dove traeva ispirazione?
Quando nel corso delle interviste le ponevano questa domanda, rispondeva: “Non lo so, è qualcosa che mi viene dall’alto, spontaneamente”.
Nel 1965 subisce il primo internamento, su di sé il marchio della “pazzia”, le porte della dannazione, come le chiamò le si aprono. Iniziano così anni fatti di elettroshock, seranase, noritrem. Ne racconta in “L’altra verità. Diario di una Diversa” e “Reato di Vita”. Come si è salvata?
Il fratello specificò che nessuno psichiatra che la curò capì cosa avesse. Secondo quest’ultimo fece fatica a collegare la vita normale di tutti i giorni con la vita poetica e questa dicotomia creò la problematica.
Tanti anni di manicomio, luogo in cui arrivò per la prima volta in modo particolare.
Un giorno il marito uscì di casa, assentandosi due giorni senza avvisare. Al rientro la Merini lo accolse gettandogli addosso una sedia e prendendolo a ombrellate. Quindi, come soluzione trovò quella di chiamare un’autoambulanza la quale la portò in manicomio.
Lei non conosceva ovviamente questa realtà, quando vi entrò, il carattere forte che non accettava imposizioni, la pose in situazione di contrasto con le infermiere, che non erano quelle di adesso con una determinata preparazione, ma avevano una grande forza fisica per contenere i malati mentali e riversavano su di essi tutte le loro insoddisfazioni e tensioni
Alda Merini a volte reagiva e le conseguenze furono gli elettroshock senza neanche sedarla. Ne subì una quarantina, circa.
C’è anche da dire che dopo il primo ricovero, avrebbe potuto non metterci più piede, invece , volontariamente era lei che sceglieva di ritornarci.
Il manicomio sotto certi aspetti svolse la funzione di protezione rispetto alla realtà.
Alda si salvò in quanto donna molto forte, intelligente ed ironica, e poi, la poesia.
Vi sono molti aneddoti a testimonianza del suo lato ironico.
Nel corso di una celebrazione per adularla le dissero:” Ah, signora Merini! Com’è bella lei”, Alda rispose: “Sono stata 10 anni in manicomio e ho fatto la cura della pelle, non c’era da mangiare, quindi ho fatto anche la cura dimagrante. Ecco, perché sono bella”.
Nel corso di un’altra occasione, mentre raccontava le affermazioni del padre relative al fatto che la poesia non portava il pane, aggiunse: “Ho sposato un prestinaio”.
La situazione le tolse la possibilità di crescere le quattro figlie, le quali vennero date in affidamento.
Una volta adulte, quale legame riuscì a instaurare con loro?
Rapporto sempre molto difficile.
Le figlie volevano una madre che lavava i piatti, puliva le scale e non poetessa. Flavia, scrisse una poesia molto bella in merito:
“La madre dei discepoli”.
Ne cito alcuni versi:
“Sì, avrei voluto una madre che lavava le scale,
te lo dissi allora madre mia, e ti feci piangere…
Una semplice, dolce madre, premurosa, attenta,
pronta ad asciugare amorevolmente le mie lacrime.
Ma io madre, anche se ingiustamente,
di questo ti ho punita e ferita….”
Hanno sempre vissuto con sofferenza il fatto che vivesse in questa bolla di poesia e non sapesse dare loro quell’affetto pratico di cui necessitavano. Alda Merini amava tantissimo le sue figlie, avrebbe fatto di tutto per loro ma non fu in grado di dare quanto loro desideravano.
Manuela la figlia divenuta infermiera, lavorando in un reparto psichiatrico a contatto con i malati è riuscita a capire meglio sua mamma.
Non hanno mai voluto vederla come poetessa.
Secondo me soffrono ancora, tant’è che quando tengono degli eventi e ne parlano escono un po’ a pezzi perché devono ricordare avvenimenti della vita dolorosi.
Dottor G fu una figura fondamentale nella vita di Alda.
Sì, Dottor G, o meglio Gabrici è una figura fondamentale.
Medico con la quale Alda legò molto.
Anche lui , ovviamente visto il periodo la curò con elettroshock, serenase e altri farmaci, ma le fece un regalo bellissimo: una macchina da scrivere, quindi lei in ospedale iniziò a scrivere delle poesie che le permisero di uscire dal mondo reale per entrare in quello poetico.
Scrive molte lettere a Gabrici dal quale traspare rispetto e riconoscenza, le quali sono raccolte nel volumetto “Lettere a dottor G.” con introduzione eseguita dallo stesso all’età di 90 anni e che tra l’altro non era a conoscenza del fatto che durante il ricovero Alda avesse scritto a lui.
A partire dal 1980 circa torna a scrivere. Una sorta di Araba Fenice che risorge dalle sue ceneri.
Dopo il 1961/1962 a causa dei vari internamenti smette di scrivere.
Nel 1980 dopo la morte del marito, si trasferì a Taranto, nel 1983 sposò Michele Pierri, altro uomo di cultura, poeta ed ex medico che si prese cura di lei e la rese felice. Alla prima chiamata che Pierri le fece, lei rispose: “Erano 30 anni che aspettavo questa telefonata”.
Lui vedovo.
Lei poetessa arrivata dal nord, non fu ben vista dai figli di lui. Quando quest’ultimo si ammalò le impedirono di vederlo.
Dopo la morte del marito un altro breve internamento a Taranto e poi il ritorno a Milano, dove riprese a scrivere.
In questi anni crea versi legati alla sua drammatica esperienza in ospedale psichiatrico.
Dopo l’esperienza manicomiale nacque “La Terra Santa”.
Tutti la vollero intervistare, spesso fu ospite di Maurizio Costanzo che addirittura pagò di tasca propria le ospitate in TV.
Pubblicò tra i tanti “L altra verità. Diario di una diversa”.
A contenuto religioso “Cantico dei Vangeli”.
Negi anni delle grandi produzioni, vanno menzionati gli aforismi di Alda pubblicati da Alberto Casiraghi, tipografo ed editore.
In realtà molti testi di Alda sono andati persi, in quanto in cambio di un caffè o di una brioches regalava poesie, quindi non sappiamo quale fine abbiano fatto.
Occorre aggiungere anche, che un giorno Giovanni Nuti entrò in libreria e gli cadde ai piedi un libro, nella pagina iniziale una poesia di Alda.
Da questo momento iniziò non grande sodalizio con l’uomo che compose in musica i testi della nostra poetessa, sorse inoltre una grande amicizia che durò fino alla morte di quest’ultima.
Ci racconti il tormento, la ribellione e il bisogno d’amore di Alda?
La ribellione in quanto non amò obblighi e imposizioni.
In tempo di Covid non sono certa che avrebbe accettato di indossare una mascherina.
Per quanto riguarda il tormento, fu soggetta a un’ alternarsi di stati diversi, tristezza, malinconia e felicità.
Alda fu una donna che sempre cercò amore. Molto spesso chiamò il “Corriere della Sera”, giusto per parlare con qualcuno, e allora le mandarono un giornalista a casa per farle un’intervista.
Negli ultimi tempi non scrisse a mano o a macchina, ma si attaccò al telefono e le dettò versi ai suoi amici. Altro aneddoto, vide Alda telefonare a un amico in partenza per le ferie con la moglie dicendo:” Io la grande poetessa sola a Ferragosto”, di conseguenza l’amico rientrò a Milano per portarle il suo piatto preferito e ripartire poi per le ferie.
Tra l’altro ebbe un rapporto molto particolare con i suoi amici: non li fece mai incontrare tra loro e quando capitò che si presentassero in due a casa sua, inevitabilmente si arrabbiò molto.
Vi è un’espressione che indica il modo con la quale Alda vuole essere ricordata, che può apparire in contrasto con la drammaticità e l’intensità dei suoi versi, come della sua vita.
Alda vuole essere ricordata come la poetessa della gioia
Quale fu il suo rapporto con la vita?
Alda scrisse: “ Io la vita l’ho goduta tutta, a dispetto di quello che vanno dicendo sul manicomio.
Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della vita e la vita è spesso un inferno… per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara”.
Con quale poesia vorresti concludere quest’intervista?
Vorrei concludere l’intervista con:
“Ho bisogno di sentimenti”.
Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’ orecchio degli amanti.
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.
La mia poesia è alacre come il fuoco
trascorre tra le mie dita come un rosario
Non prego perché sono un poeta della sventura
che tace, a volte, le doglie di un parto dentro le ore,
sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida,
sono il poeta che canta e non trova parole,
sono la paglia arida sopra cui batte il suono,
sono la ninnanànna che fa piangere i figli,
sono la vanagloria che si lascia cadere,
il manto di metallo di una lunga preghiera
del passato cordoglio che non vede la luce.
Termino ringraziando la dottoressa Ave Comin per la disponibilità concessami.