Augusto Palermo, una passione chiamata Arte.

AUGUSTO PALERMO
AUGUSTO PALERMO


Senso dell’arte, gallerie controtendenza, artisti, loro atteggiamenti e relative scelte, infine, chi è un collezionista?
Ecco cosa ci racconta Augusto Palermo, titolare insieme a Claudio Francesconi di “Futura Art Gallery”, Pietrasanta

Quando ha avuto luogo il tuo primo incontro con l’arte?
Difficile, vado di molto indietro nel tempo.
Ricordo che da bambino mi divertiva l’idea di colorare e, come tutti i bambini provare a dipingere ma non ne ero assolutamente in grado.
Provengo da una famiglia in cui l’arte non è mai stata una cifra distintiva: nessuno dei miei genitori e familiari ne è mai stato un appassionato.
Ciò che riaccese la mia curiosità di bambino, fu,  quando ormai medico venne da me per farsi curare la spalla un paziente, un pittore astratto di Genova, oggi scomparso : Raimondo Sirotti.
Dopo averlo assistito,  mi invitò a vedere la sua mostra.
Da quell’istante, l’interesse verso questo mondo divenne costante.
Mi ricordo un’altra  paziente che, da ortopedico ho curato, una pittrice, anch’ella genovese: Paola Campanella, un’iperrealista.
Andai a medicarla a casa, per curiosità guardai i suoi quadri e ne comprai alcuni.

Ad un certo punto però la mia attenzione si focalizzò sui pittori del Barocco, stile che a Genova fu molto forte e intenso, in quanto influenzato dai fiamminghi.
Sappiamo che Genova fu ed è tutt’ora città portuale, e come tale, meta di viaggi che, ai tempi, ebbero tra i protagonisti pittori fiamminghi collegati appunto a Genova tramite il porto.
Tutti i pittori del barocco genovese Stefano Magnasco, Valerio Castello, Domenico PiolaAlessandro Magnasco, Travi, Orazio de Ferrari, furono figure importantissime influenzate dalla presenza di artisti fiamminghi quali Rubens, Van Dyck, alcuni di essi, tra l’altro, morirono giovanissimi e di peste, la quale colpì Genova intorno al 1650.

La mia prima passione, in realtà, dopo una fugace attenzione nei confronti dell’arte contemporanea, fu l’arte del 600’.
Nel 2006 tornai in Versilia, da piccolo i miei genitori vi acquistarono casa, luogo in cui trascorsi momenti belli della mia infanzia; tornai a contatto con l’arte contemporanea e Pietrasanta, conoscendo i vari artisti e scultori (apprezzabili o meno) che qui condizionarono la scena, entrando nei loro laboratori, nelle loro case: tutto ciò mi permise di sentire la loro energia.
Mi staccai dall’arte antica in quanto deluso dall’esperienza su un quadro che provarono a vendermi: un ritratto di Bernardo Strozzi che si rivelò non essere autentico, rimasi un po’ bruciato da quest’esperienza.  Volsi così il mio sguardo all’arte contemporanea.

Perché hai deciso di aprire una galleria?
Inizialmente ero un collezionista. 
Vi domanderete: chi è il collezionista? Quanto e cosa deve comprare ?
Per me un collezionista è colui che compra cose che gli piacciono, è possibile inoltre entrare nel tema  se le opere sono di valore o meno.
Il collezionismo se vogliamo è una forma di malattia, compulsiva.
A mio avviso anche chi colleziona cose assurde e di poco valore è un collezionista.
Cominciai organizzando eventi legati all’arte perché mi piaceva l’idea che qualche artista, soprattutto giovane facesse qualcosa. Avevo l’impressione che il sistema delle gallerie fosse troppo duro e coercitivo nei loro confronti. Volevo fare qualcosa, ma non avevo e non ho le possibilità economiche di un mecenate. Amavo l’idea che potessero dedicarsi a loro stessi, anche se delle volte, mi spiace dirlo, nella volontà e nel bisogno di arrivare subito, compiono degli errori che li portano all’irriconoscenza.

Mi accorsi che queste cose, non erano in fondo molto apprezzate e destavano diffidenza tra i galleristi: in Italia quando fai qualcosa e sei no-profit, devono per forza guardarti con sospetto.
Nel momento in cui creavo eventi  i galleristi mi dicevano: ”Ah, tu sei quello no-profit!” decisi allora di lanciare una sfida in un periodo assolutamente difficile e controcorrente,  aprendo nel 2015 una galleria che si chiamava “Fienil Art”, che prima era uno spazio non commerciale: lo divenne successivamente.


Il nome deriva da “Il fienile dell’arte”.
Incrociai in seguito la mia esperienza emozionale, di pancia con quella tecnica di Claudio Francesconi, e dall’unione di “Gestalt Art”  (di cui era titolare) e “Fienil Art”  nacque Futura, il cui logo è un triangolo con tutte le sue  possibili funzioni e significati , ma è anche la derivazione, l’emanazione del logo iniziale di Fienil Art, una capanna che si chiude e si tramuta nel triangolo di futura.

Come scegliete gli artisti?

Fondendo le due esperienze abbiamo deciso che sarebbe stato stimolante mettere insieme il mio lavoro e quello di Claudio con la Gestalt, quindi, occuparsi come già aveva fatto lui,  di arte analitica, optical, cinetica  e programmata, quella del periodo intercorrente tra gli anni 50’ e 80’, questo trentennio in cui vi sono artisti meravigliosi che hanno prodotto tanto pur non essendo arrivati come altri all’onore di cronaca e gloria, rimanendo sopiti nel tempo.

Abbiamo cercato di capire quali avevano una fondazione, una famiglia, quelli che avevano lavoro da ricercare e poter offrire ai nostri collezionisti, a cui proporre pezzi storici, di valore ma privi di costi impossibili. Piano, piano abbiamo seguito quel filone: Salvator Prest, Edoardo Landi Grignani, tra i grandi toccati invece: Enzo Mari, Armando Marrocco, Sara Campesan.
Sono tanti gli artisti che stiamo andando a ricercare, ciò ci dona tanta soddisfazione, gratificazione derivante  anche dai collezionisti che, in un momento così difficile per aprire una galleria,  anche nei mesi invernali quando Pietrasanta non è meta turistica, vengono a cercarci, perché sanno che abbiamo quell’opera specifica.

Perché la scelta controtendenza della galleria scura?

Perché trovo che spesso nella vita ci si adagi a delle convenzioni che diventano quasi giuste solo per abitudine. Perché una galleria deve essere per forza bianca? Perché una galleria deve essere uno spazio museale in cui regna il bianco e il silenzio? Perché deve dominare l’opera? La galleria è un luogo in cui si fa cultura, nel quale un utente entra per sentire e vedere una soddisfazione emozionale, se vogliamo inutile ma per me necessaria Chi entra in galleria deve stare bene, deve sentire un buon profumo, qualche nota di musica che non infastidisca, deve vedere le opere, deve essere uno spazio accogliente. Tante gallerie sono scure, basta che andiate a Roma in via Margutta, come in tante gallerie londinesi e parigine. Le gallerie non sono tutte bianche.

Quindi, anche questo postulato assoluto che la galleria deve essere bianca, noi lo abbiamo rigettato, grazie anche al matrimonio di queste due esperienze (mie e di Claudio), Claudio veniva infatti da un’esperienza più fredda, museale, ma lasciamo che sia il museo ad essere così!  Anzi, mi viene proprio da dire che spesso nei musei ci sono pareti scure, rosse. Ho visto una bellissima mostra di Caravaggio alle Scuderie del Quirinale, le cui pareti erano scure.

Claudio aveva più una visione della galleria bianca, allora io, ho forzato un po’ la mano e di conseguenza abbiamo pensato di lasciarla scura. Quest’ultima deve essere un posto dove si fa cultura, si entra e ci si sente avvolti in una nicchia in cui vincono le opere.

Cos’è per te l’arte?
L’arte è il modo attraverso cui l’artista si collega a Dio, al divino, a un qualunque Divinità creda. È il passaggio intermedio di collegamento tra la sua espressione e la divinità. Lo fa con la musica, la cucina, la pittura, la poesia. Chi è in grado di farlo vince nella sua espressione, nella soddisfazione della sua espressione, ma anche nel messaggio che riesce a dare.

Noi ci rendiamo conto che quando mettiamo un’opera d’arte in galleria, non è casuale che gli artisti consacrati, alla fine vincono, ma non perché il collezionista, il fruitore, conosce l’artista e quindi è condizionato dalla fama.
Abbiamo realizzato che quando noi stessi mettiamo in galleria l’opera di un’artista che è arrivato e di colui che non lo è, con il passare del tempo c’è sempre una ragione per cui il collezionista si ferma di più sull’opera importante senza conoscere il nome dell’autore, anche se non è figurativa. Quel lavoro ha una forza dentro che è appunto la capacità dell’artista di connettersi a Dio. Questa, a mio parere, è l’espressione massima dell’arte.

Cosa rappresenta Pietrasanta nel mondo?

Posso dirti cose belle e meno belle, cosa rappresenta e cosa potrebbe rappresentare.
Rappresenta un posto, se vogliamo, unico al mondo, anche se tanti vogliono negativamente contestare a Pietrasanta  il fatto che sia piena di gallerie e di ristoranti.  Uno dei lati positivi è  essere sede di laboratori di marmo e fonderie del bronzo. Tanti si lamentano che abbia perso la sua naturalezza divenendo turistica, dicendo che non si vedono più scalpellini, artigiani del marmo passare sporchi di polvere e marmo. Però Pietrasanta può rappresentare tanto, ha avuto la capacità e la forza di prendere una paternità che, in linea teorica, avrebbe dovuto essere di Carrara, perché, bene le fonderie del bronzo, ma i laboratori del marmo infatti, avrebbero dovuto trovarsi lì.
È un posto unico,  non solo in Italia, ma anche al mondo per la concentrazione di gallerie e vita che ruota intorno all’arte, anche se non lo dicono, Pietrasanta è ricca di eventi culturali.

Noi ne siamo tra i fautori e i protagonisti, abbiamo creato  un filone che partirà dalla prossima estate  e si chiamerà  “Pietrasanta Cult”, che gioca sulla parola cult, cultura, e sarà composto da sei eventi, uno alla settimana, uno per ogni settimana di luglio e per le prime due di agosto.
Abbiamo avuto Marani come esperto di Leonardo.
Nei laboratori di Pietrasanta lavorano anche grandi artisti, nessuno direbbe mai che alcune opere di Damien Hirst e Jeff Koons sono state prodotte qua, la maggior parte delle fusioni delle opere di Botero che vedete in giro per il mondo hanno avuto fonderia a Pietrasanta.

Sogno degli addetti ai lavori è intercettare queste opere prima di vederle partire. Spesso però gli artisti hanno contratti blindati con le fonderie che tengono segrete queste opere e le spediscono via proprio nel momento dell’ultima patinatura.
Per me, Pietrasanta ha un difetto, sentendosi questa autoreferenzialità, dialoga poco con l’esterno.
Se riuscisse a dialogare di più con l’esterno potrebbe avere una maggior forza.

Ci racconti un aneddoto che ti ha fatto sorridere?

Un giorno mi è stato riportato che un gallerista di Pietrasanta, anzi, più di un gallerista abbiano insinuato il fatto che essendo un medico mi muovo in un territorio che non è mio, anzi, quasi dovrei farmi perdonare il fatto di disturbare loro la scena. In realtà il medico è un uomo di cultura, tanti medici sono collezionisti.

Credo che qualsiasi figura personale, o meglio qualsiasi persona che si ritenga, non dico colta, ma curiosa e attratta dalla cultura possa fare il gallerista. Essere un gallerista è un mestiere difficile, si possono commettere errori, non significa solo aprire uno spazio e appendere dei quadri. 

Questo commento mi ha fatto sorridere per il motivo che chi lo ha fatto non è una persona di cultura. Il gallerista che vince è quello che ha il fiuto, che è in grado di capire prima degli altri dove sta andando il gusto della gente.

Se potessi scegliere, con quale artista del passato vorresti dialogare e cosa gli chiederesti?
Leonardo, per forza.
Chiunque avrebbe il desiderio di dialogare con un genio immenso come Leonardo.
Cosa gli chiederei? Un’infinità di cose. Per esempio come ha avuto l’intuito di portare nella pittura, seppur lui abbia dipinto poco, la terza dimensione, cioè quella della profondità, che è stata una cosa stravolgente.
Gli chiederei il significato della posizione delle mani del Cristo dell’ Ultima Cena, chi era la “Ferronière “che è l’opera che preferisco.

Diciamo che ci sono grandissimi artisti, però ad esempio non avrei la curiosità di parlare con Picasso. Insomma, questo sarebbe il mio desiderio.

Quanto conta la comunicazione nell’arte?
Ha sempre contato tanto.
Prima era diversa, era tutta cartacea. Poi ha usufruito di canali differenti.
Oggi i social hanno stravolto la comunicazione, lo si vede anche dal modo di muoversi dei politici. In questa fase storica la gente vuole comunicare direttamente con il suo interlocutore, ficcare il naso nella casa del grande fratello, relazionarsi con il politico che gli parla dalla cucina di casa sua.
La comunicazione è cambiata, è filtrata, pilotata.
La comunicazione è fondamentale, se non fosse filtrata e pilotata sarebbe bellissimo.
La ragione per cui tanti politici comunicano dai social è per dare il loro messaggio direttamente all’interlocutore.
L’arte comunica  ancora attraverso importanti canali cartacei, i quali hanno trovato una rivisitazione online per via di costi più bassi e velocità di diffusione.
In galleria attraverso la comunicazione web possiamo raggiungere i nostri interlocutori. Nel periodo di pandemia siamo riusciti a dialogare con i collezionisti, mandare loro l’istallazione della galleria, interviste ai nostri curatori e artisti.

Per vendere arte è necessario studiarla?
Ti dovrei  dire di sì, perché credo che qualunque cosa noi vendiamo, se non la conosciamo non la vendiamo.
Conoscere il prodotto (anche se è brutto trasferire all’arte questo significato) da vendere è la base per poterlo vendere.
Più è tuo, più  lo conosci, più facilmente lo vendi.
Sono convinto che per questa ragione l’arte vada studiata.
Ci sono diversi modi di interpretare questa domanda: noi possiamo appendere un quadro, passa l’utente della galleria, gli piace perché agisce di pancia, perché ha un colore che si abbina al suo divano, ma questo per noi non è arte.
La compra.  In questa  circostanza non abbiamo bisogno di conoscere l’arte, è una cosa decorativa.
Se si alza l’asticella e la galleria inizia a fare un lavoro più difficile e culturale, attira collezionisti e, i collezionisti sono molto preparati. A volte sanno più degli storici dell’arte e dei curatori dell’artista stesso.

Quindi, bisogna essere preparati perché se entra un collezionista di alto profilo al di là di conoscere il mercato, prezzi, aste e quant’altro vuole sapere che ha un interlocutore preparato, altrimenti si disinnamora di quel posto e della galleria.

Cosa chiedi a un curatore?
Tanto. Ad esempio il prossimo anno contravvenendo a quanto detto prima circa la ricerca di artisti cinetici, optical e arte programmata del secolo scorso, faremo una cosa lontana dal nostro lavoro, ovvero un figurativo pop-art : Giuseppe Veneziano, lo facciamo perché lo riteniamo un grandissimo artista, in grado di attirare curiosità.

con Giuseppe-Veneziano

Realizzeremo una mostra istituzionale in piazza a Pietrasanta che, nel bene o nel male, attirerà curiosità nel mondo dell’arte.
Cosa chiederò a un curatore?  Io al curatore chiedo molto più di un pezzo scritto in critichese da mettere sul catalogo o la scelta dell’esposizione delle opere.
Da un curatore voglio l’interpretazione, e quest’ultimo ha il difficile compito di far percepire il vero contenuto della mostra. Non può  farlo con semplice testo,  ma deve svolgere un lavoro dal vivo: dare cioè  la chiave di lettura sul campo e… non certo è un compito facile.

Grazie per la tua disponibilità Augusto

Mara Cozzoli e Alessio Musella

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