Silver Plachesi: l’Arte come seconda vita…

Silver Plachesi
Silver Plachesi

Artista eclettico Inizia la sua carriera pittorica come autodidatta all’età di 15 anni.

Dal 1968 sotto la guida del pittore Forlivese Maceo Casadei, considerato tra i principali continuatori della tradizione figurativa ottocentesca Italiana, affina la sua tecnica pittorica, diventandone presto suo fedele collaboratore di bottega.

Negli anni 1980-1982 frequenta il corso di disegno dal vero presso l’Accademia di Brera  e in contemporanea   si iscrive alla facoltà di Architettura del  Politecnico di Milano, dove si laurea nel 1986.

Dopo una lunga pausa temporale  artistica  in cui la curiosità estetica per ogni forma e per ogni oggetto rimane invariata , torna a creare riscoprendo nuove potenzialità anche nelle cose e negli oggetti  più modesti, dando loro un nuovo utilizzo, una seconda vita.

Abbiamo fatto qualche domanda a Silver Plachesi per conoscerlo un pò meglio attraverso le sue risposte .

l tuo primo contatto con l’arte?
Avevo circa 13 anni, frequentavo il corso di avviamento industriale a Forlimpopoli, cittadina Romagnola famosa per aver dato i natali a Pellegrino Artusi

Per raggiungere la scuola dovevo percorrere ogni giorno circa 5 km di stradine di campagna in bicicletta.

Un pomeriggio  di primavera nel rientrare verso casa notai un folto numero di pittori che con cavalletti, cassette dei colori e i loro pennelli ritraevano i vari scorci della città, si trattava di  un concorso di pittura estemporanea.

Uno in particolare mi colpì, passai tutto il pomeriggio ad osservarlo e talmente ero assorto che non feci caso all’orario per il ritorno.

Avendo lui notato il mio interesse, una volta terminato il dipinto, mi regalò  due cose: la sua tavolozza con abbondanti residui dei colori ad olio utilizzati e un pennello.

Ricordo il viaggio di ritorno con la cartella in spalla e la tavolozza in bilico sul manubrio, felice per l’accaduto, ma molto preoccupato per la possibile reazione di mia mamma, considerato il mio ritardo nel rientrare.

Sul retro della tavolozza c’era una firma : Maceo Casadei

Che formazione hai avuto?

Sono cresciuto nella bottega di mio nonno falegname, fin da piccolo seguivo con curiosità ogni suo lavoro, ancora oggi ricordo il profumo del legno e delle colle da sciogliere sulla vecchia stufa,

Li non era presente nessun macchinario fatta eccezione per un tornio funzionante a pedale, che ho imparato ad usare fin da bambino, col quale mi costruivo le trottole.

Finite le elementari continuai con il corso di avviamento industriale per poi frequentare l’istituto tecnico , scuole che mi hanno  dato  una  ottima preparazione  di tipo tecnico-pratico nel settore delle lavorazione del legno e dei metalli , nonché un’ottima base nel campo del disegno professionale.

Dal 1963 ho iniziato la mia carriera da Pittore autodidatta, nel 1968 ho iniziato a frequentare lo studio di quell’artista che anni prima mi aveva regalato la sua tavolozza.

Sotto la guida del Maestro Maceo Casadei (1899-1992) ho affinato la mia tecnica pittorica.

La passione per la raccolta di legni rifiutati dal mare lungo le spiagge del litorale romagnolo, lo studio delle loro forme  contorte,  mi hanno  portato ad approfondire anche gli studi  delle tecniche scultoree.

Dal 1970 al 1972   ho frequentato  il corso di scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Ravenna sotto la guida di Gino Cortelazzo (1927-1985).

Contemporaneamente alla passione per l’arte ho frequentato la facoltà di matematica presso l’Università degli studi di Bologna dove mi sono laureato nel 1974.

Dopo essermi trasferito per lavoro in provincia di Bergamo,  ho continuato  per alcuni anni la produzione artistica,   esponendo le mie opere in diverse mostre personali in Emilia Romagna e in Lombardia.

Negli anni 1980-1982  ho frequentato  il corso di disegno dal vero presso l’Accademia di Brera  e nello stesso periodo mi sono  iscritto alla facoltà di Architettura del  Politecnico di Milano, dove mi sono laureato nel 1986.

Da quel momento in poi svolgo parallelamente la professione di architetto e  di artista.

Negli ultimi 20 anni mi sono occupato anche di fotografia e di musica.

La tua prima opera?

La mia prima opera, se così si può definire, è stato un tentativo di paesaggio realizzato su un semplice cartone con i colori  ad olio di quella tavolozza che mi fu regalata da Maceo Casadei.

Di quel dipinto ricordo  solo le macchie di olio sul retro.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Quando, mettendo assieme tutti i tasselli del mosaico delle mie esperienze professionali ed artistiche, sono approdato alla realizzazione di sculture, assemblando ogni tipo di materiale rigorosamente di riciclo.

Come nasce una tua opera, quali sono le varie fasi di realizzazione?

Il lavoro non parte mai da un progetto preliminare, ma si sviluppa attorno ad una prima suggestione estetica, scaturita da un determinato oggetto che sarà l’embrione del futuro lavoro.

Inizia così la ricerca e successivamente le prime prove di accostamento di  materiali diversi.

Studio il ritmo e la scansione degli oggetti che man mano si aggiungono, prendo in considerazione le tonalità  dei colori e le sovrapposizioni  dei piani, in questo modo  si  delinea  gradualmente quello  che sarà il risultato  definitivo.

Strada facendo capita talvolta che io possa avere dei ripensamenti, in quel caso sostituisco in parte o tutti i componenti o più semplicemente l’ordine delle cose, fino al raggiungimento  dell’equilibrio estetico sperato.

La fase finale è la “SEDIMENTAZIONE”: riprendere l’osservazione dell’opera  la mattina successiva, è di fondamentale importanza  per capire se apportare le ultime correzioni .

Tutte le opere sono pezzi unici e irripetibili, ognuna è un racconto,  un ricordo, un’emozione.

Qual’è stata l’opera più complessa da realizzare?

L’opera decisamente più complessa è  una delle ultime, lo “scarabeo d’oro”.

L’idea di partenza è stata quella di  utilizzare  uno scassatissimo violino col manico rotto, che avevo in laboratorio da oltre 2 anni, che non mi azzardavo mai a prendere in mano.

Sarebbe potuto diventare il corpo di un insetto di dimensioni importanti, ma la sfida non sarebbe stata certo di poco conto.

Conciliare la leggerezza di un violino con la robustezza di una struttura adatta a sopportare il fissaggio di testa, corpo, gambe, non era facile.

Il passaggio successivo è stato lo studio anatomico dell’insetto da realizzare, al fine di coglierne i tratti essenziali per renderlo il più possibile “verosimile”.

E’ iniziata poi la ricerca e la selezione dei materiali  più adatti,  ricerca che a volte può durare anche mesi, in questo caso il  fortuito ritrovamento di un lampadario in ottone con bracci Liberty, mi ha risolto velocemente il problema delle prime 4 delle 6 zampe.

Molto più complicato è stato realizzare la testa a cui sono fissate le zampe anteriori, il becco, le antenne, le ali realizzate con leggera rete metallica e una struttura in ottone che da sola potesse sorreggere il tutto, violino  compreso.

Nelle mie opere cerco sempre di rispettare il più possibile le caratteristiche colorimetriche, fisiche ed estetiche, dei vari componenti che devono fondersi nell’insieme e contemporaneamente mantenere la propria riconoscibilità, unica cosa che mi manca è la componente sonora.

Talvolta mi chiedo  quale sarebbe il risultato “musicale “ della sommatoria dei suoni dei vari componenti, ma forse sto esagerando con la fantasia.

Conta più la tecnica o la creatività?

Nei miei lavori per dare corpo alla creatività è indispensabile la tecnica.

Capita spesso che occorrano giorni per trovare la soluzione per riuscire ad assemblare materiali diversissimi come consistenza e resistenza fisica.

Non faccio mai uso di saldature, tutti i componenti sono assemblati con viti e bulloni e in casi eccezionali con rivetti, le mie opere sono interamente smontabili.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso

Ricordo e rido ancora  per la  battuta di un visitatore ad una mia mostra: “Lo prenda come un complimento ma lei è fuori di testa”

Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?

Leonardo Da Vinci ,non gli chiederei nulla,  se non il privilegio di osservarlo  lavorare, esattamente  come con quel pittore nel 1963.

Alla fine mi accontenterei di poter avere ed utilizzare uno dei suoi attrezzi di lavoro.

Cos’è per te l’arte?

L’arte è emozione, è magia, per chi la fa e per chi ne fruisce

Quanto conta la comunicazione?

La comunicazione conta moltissimo, i mezzi a nostra disposizione aiutano.

Purtroppo io sono un pessimo comunicatore non tanto come capacità ma come indole, mi perdo via nel mio mondo, nelle mie realizzazioni e spesso perdo di vista la comunicazione ad eccezione di FB instagram.

Grazie per il tempo che ci hai dedicato SILVER

Irene Zenarolla

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