Un ponte tra arte fisica e digitale. Intervista a Matteo Mandelli /YOU di Chiara Canali

Matteo Mandelli
Matteo Mandelli

Matteo Mandelli in arte YOU (1988), è un artista performativo che, dopo diverse esperienze nel mondo dell’Urban Art, approda a una complessa ricerca espressiva a metà strada tra la realtà fisica e digitale che utilizza come supporto lo schermo tecnologico.

Alcune sue opere sono state esposte ad Hong Kong, Milano e a Venezia presso il Decentral Art Pavilion in parallelo con la 59° Biennale di Venezia. 

Attualmente espone a Milano presso Fabbrica del Vapore, nei nuovi spazi di Alveare Culturale, dove ha presentato la personale The Contact, a cura di Alisia Viola e Tommaso Venco, promossa da Point Break e Tokenable e prodotta da The Crypto Gallery e T|V.

La mostra si fa portavoce del movimento della Phygital Art. Intenzione dell’artista è infatti quella di infrangere le catene sociali e materiali generate dall’opera fisica per potersi specchiare nelle infinite possibilità del digitale.

La tela e i colori vengono sostituiti dalla frammentazione e dall’esplosione dei cristalli liquidi che rappresentano i veri protagonisti delle sue opere.

Matteo Mandelli, sceglie lo schermo come supporto, in quanto simbolo del progresso tecnologico e il flessibile da taglio come pennello contemporaneo. 

Al momento del contatto, con la rottura dei cristalli liquidi, si vanno a generare dei nuovi colori che a loro volta originano nuovi orizzonti.

1. Il tuo primo contatto con l’arte?

Il mio primo contatto con l’arte è stato abbastanza turbolento, avevo forse 4 o 5 anni e ricordo che giocando a calcio tirai una pallonata ad un’opera recandole dei graffi.

Anni dopo capii il motivo per il quale i miei genitori se la presero tanto, si trattava di un Mathieu.

Allo stesso tempo, essendo i miei genitori da sempre grandi appassionati d’arte, sono sempre stato circondato da opere che hanno accompagnato la mia crescita, a volte da lontano e a volte più da vicino, ma l’arte è sempre stata presente nella mia vita.

2. Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

In realtà credo di averlo sempre saputo dentro di me. Inoltre viviamo in un mondo nel quale tutto quello che succede all’esterno pare prevaricare sull’interiorità che a mio avviso rispecchia la vera realtà.

Talvolta nella vita si procede per inerzia senza ascoltarsi davvero e senza nemmeno rendersi conto di chi siamo e di ciò che abbiamo dentro di noi.

Fortunatamente io ad un certo punto ho capito davvero quale fosse il mondo reale ed era proprio quello dentro di me ed è in quell’istante che ho compreso veramente l’importanza dell’arte nella mia vita e ho deciso diventasse la mia professione.

3. La tua prima opera d’arte?

La mia prima opera d’arte risale a molto tempo fa.

Avevo dieci anni e realizzai un’opera che all’epoca probabilmente aveva per me un forte valore, la mostrai solo al mio cane.

Ricordo che nacque da un momento particolare, sicuramente da una forte necessità di comunicare il mio mondo interiore.

Si tratta di uno specchio antico, segato con una frase che recitava similmente “Tu sei vero” Da quando invece l’arte è diventata la mia professione, le prime opere risalgono alle installazioni site-specific in giro per la città di Milano, dal pescatore dentro al Naviglio a lavori di street art.

4. Per fare arte bisogna averla studiata?

Non è necessario secondo me, nel mio caso è una vocazione.

Non ho intrapreso studi accademici, ma ho sempre studiato la storia dell’arte e in particolare ho approfondito molto i grandi maestri del Novecento.

Nel mio caso specifico, le opere nascono sempre da una chiara necessità espressiva e da un’azione quasi performativa, quindi forse reputo più importante che il mio cervello e il mio corpo siano totalmente liberi nell’atto di creare.

L’arte è qualcosa che si ha dentro.

5. Come scegli cosa rappresentare?

Non scelgo io cosa rappresentare, si tratta di un attimo.

Per quanto riguarda il progetto The Contact creo sin da subito un profondo legame con il supporto, studiandolo e conoscendolo al meglio.

Siamo io e lui che insieme decidiamo quando è il momento giusto di creare, quando donare una nuova veste e una nuova vita – in questo caso artistica – allo schermo, al momento l’unico supporto che riesce effettivamente a conferire e a comunicare agli altri il mondo che ho qui dentro.

6. Un aneddoto che ricordi con il sorriso?

Prima della nascita di The Contact ero in un periodo di blocco artistico, di grande confusione e mi confrontai con Riccardo Perillo, il mio Manager, dicendogli che avrei voluto prendere un periodo di riflessione.

Quel periodo di riflessione durò in realtà 5/6 ore e la mattina seguente gli inoltrai un video di sei minuti in cui ero bardato con in mano un flessibile nell’atto di tagliare uno schermo.

Dopo aver preso visione, mi chiama Riccardo chiedendomi cosa mi fosse successo.

Gli mandai subito l’immagine di Beyond Digital, la prima opera realizzata mediante la tecnica flessibile da taglio su schermo, la genesi di The Contact.

7. Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?

Chiederei subito cosa provano durante il processo di realizzazione di un’opera, qual è la loro benzina, ma soprattutto chiederei dei loro sogni.

Mi piacerebbe sicuramente confrontarmi con Lucio Fontana al quale sono particolarmente legato, Basquiat perché amo la sua leggerezza e Warhol per essere stato capace di creare una nuova era artistica. 

8. Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti?

Probabilmente mi consiglierei di pensare esclusivamente ad essere felice, alla fine se ci pensiamo è davvero l’unica cosa importante, tutto il resto è secondario.

9. Quanto conta la comunicazione?

Nel 2023 la comunicazione è tutto, è necessario integrarla all’interno del proprio lavoro.

Oggi credo che un artista non possa più essere visto solo come tale, ma deve essere in grado di trasmettere a 360 gradi.

10. Cos’è per te l’arte?

In questo momento della mia vita l’arte è tutto, è la mia linfa vitale potrei dire.

Non riesco a scindere l’arte dalla vita, in quanto fruisco in prima persona dell’arte per riuscire a comunicare con gli altri, è il mio linguaggio principale.

Allo stesso tempo è un sussurro malinconico, un grido di speranza per l’umanità, e soprattutto è uno sguardo puntuale e attento sul presente e sul futuro. 

11. Cosa ti aspetti da un curatore?

La figura curatoriale è fondamentale e nel mio caso mi aspetto che mi comprenda come persona e come artista, che conosca meglio di me la mia ricerca e che mi affianchi costantemente nel mio percorso dando una giusta direzione al mio lavoro.

Il curatore è la figura con la quale un artista si interfaccia maggiormente, è importante per me creare un rapporto autentico su tutti i fronti.

12. Cosa chiedi ad un gallerista ?

Ad un gallerista chiedo anche in questo caso un rapporto leale, sincero e autentico. Chiederei anche i prezzi delle opere Basquiat, Spoerri, Fontana, Mathieu e molti altri.

Un giorno mi piacerebbe possederli all’interno della mia collezione e sarebbero sicuramente di grande stimolo.

13. Quali sono i tuoi progetti per il futuro? 

Ho duecento progetti ogni giorno in testa, difficile svilupparli tutti per diverse ragioni, ma la mia mente viaggia molto velocemente e cerco sempre di rendere possibile anche qualcosa che apparentemente può sembra utopico. In primis vorrei viaggiare molto, accrescere e alimentare il mio mondo interiore e continuare a pormi domande e riflessioni da mostrare poi attraverso la mia arte.

Grazie Matteo per il tempo a noi dedicato

Chiara Canali

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