Le sculture-maschere “transumane” di Alessandro Grimoldieu di Chiara Canali.

Alessandro Grimoldieu
Alessandro Grimoldieu

Profondamente influenzato dalle teorie e dall’arte Post Human, Alessandro Grimoldieu (Milano, 1990) è sostenitore della grande rivoluzione tecno-biologica che, portando all’abbattimento della barriera umano/non umano, possa permettere l’incremento delle capacità fisiche e cognitive e la progettazione di un uomo aumentato, il cyborg o uomo bionico.

Artista e artigiano orafo, da circa una decina d’anni si dedica all’arte orafa, creando collezioni di anelli di design disegnati a mano e fusi con la tecnica della cera persa, come l’esemplare ad artiglio della collezione “Architettura ossea”, anello che nella struttura ricorda una protesi ossea che si ramifica come una pianta calciforme, spesso indossato dall’artista come una seconda pelle.

Questi gioielli sono metafora di un’arte post-organica che mette in mostra il substrato della nostra configurazione ossea e che assume un’aura di forte intimità.

Recentemente Grimoldieu è passato dalla scala micro dell’arte orafa a quella macro, e a dimensioni reali, della scultura contemporanea.

La sua nuova poetica si concentra sul tema della “maschera” come riflessione sulla condizione umana, sul rovesciamento del rapporto tra essere e apparire e sulla conseguente duplicità che caratterizza l’essere umano.

Fin dalle origini, la storia umana è fondata sulla simulazione e la dissimulazione e le maschere che gli uomini hanno posto sui loro volti sono destinate a cadere soltanto al momento della morte.

Il tuo primo contatto con l’arte?

    È stata l’ Arte ad incontrare me.

    Sono sempre stato un bambino insonne che aveva costantemente bisogno di fare qualcosa, così mia mamma, architetto e designer, mi ha iniziato a dare fogli e pennarelli per tenermi occupato.

    Quei fogli e pennarelli sono diventati via via tele e colori ad olio, blocchi d’argilla e vernici spray, ecc…

    Ho sperimentato molto e sono sempre stato circondato dall’Arte.

    Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

      Ho realizzato che l’arte sarebbe potuta diventare una vera professione nel momento in cui ho iniziato a lavorare la cera per realizzare le mie sculture indossabili (ho sempre trovato riduttivo chiamarli “gioielli”).

      La tua prima opera d’arte?

      È difficile definire quale sia la mia prima opera d’arte perché, prima di trovare un mio linguaggio, ho cambiato diversi stili e media.

      Ricordo però che mi feci un autoritratto su tela e poi decisi di stratificarlo con una maschera su un pannello di plexiglas.

      Mi piaceva l’idea di poter interagire con la mia opera cambiandola aggiungendo o nascondendo qualcosa.

      Ero già affascinato dalle maschere.

        Per fare arte bisogna averla studiata?

          Assolutamente no!

          Non basterebbe studiare arte per fare Arte. Per me un artista può essere definito tale quando sente la necessità di comunicare qualcosa attraverso un’opera.

          L’ Arte bisogna sentirla nascere da dentro per poterla poi esprimere.

          Certo l’esperienza, lo studio e, più in generale, la cultura, possono sollecitare e dare stimoli all’artista.

          Come scegli cosa rappresentare?

            Generalmente quando rappresento qualcosa è perché l’ho “visto” non con gli occhi ma con la mente.

            Spesso mi capita di immaginare figure o scene pensando a qualcosa che magari mi ha colpito o che semplicemente passava in quel momento per la mia testa.

            Sono molto creativo, spesso troppo perché mi vengono idee che, con i mezzi attuali, non posso realizzare e la cosa veramente più difficile è adattarle ai miei limiti senza snaturarle. Da sempre un mio chiodo fisso sono state le maschere perché esprimono dei lati a volte anche nascosti del nostro Io.

            La maschera per me non ha sempre una valenza negativa, può essere la rappresentazione estetica di uno stato d’animo, una sorta di feticcio che “indossiamo” in determinate circostanze.

            Un aneddoto che ricordi con il sorriso?

              Ricordo che quando mi sono svegliato in rianimazione dopo un incidente mortale e, toccandomi la testa, mi sono accorto avevo un’ingessatura, ho chiesto subito dove avessero buttato i miei capelli dispiaciuto dal fatto che li avrei potuti utilizzare per costruire un’opera. Amo il connubio tra tecnologia e biologia e mi sarebbe piaciuto costruire una scultura utilizzando una parte di me.

              Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?

                Sceglierei Salvador Dalì e gli chiederei di vivere dentro un suo sogno, senza però essere svegliato da un’ape.

                Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti?

                  Direi a Grimoldieu del passato di non smettere mai di credere, di non smettere mai di lottare e di sentirsi fiero di essere diverso.

                  Spesso non è facile nella società contemporanea accettare le proprie diversità, quelle cose che ci distinguono dall’uomo medio scelto a tavolino dai “poteri alti” perché più facile da “controllare”.

                  Essere diversi significa anche trovare una propria unicità che, a mio parere, ci rende delle opere d’Arte.

                  Quanto conta la comunicazione?

                    Sono laureato in “Comunicazione, Media e Pubblicità” allo IULM di Milano, mentirei se dicessi che la comunicazione non serve.

                    Comunicare è la base di ogni azione: ora sto comunicando. Spesso dietro grandi artisti io penso che la comunicazione giochi il 99% del loro successo, ma non faccio nomi perché internet non dimentica.

                    Cos’è per te l’arte?

                      L’Arte per me è la Vita.

                      Può sembrare banale come affermazione ma io penso che attraverso l’arte si possano cambiare tante cose, lasciare un segno, raccontare di popoli, civiltà o persone che sarebbero finite nel dimenticatoio e che con l’Arte restano vive.

                      L’Arte è anche emozione, bloccata nel tempo dall’artista e suscitata in svariate forme dai suoi fruitori.

                      Cosa ti aspetti da un curatore?

                        Un curatore è una via di mezzo tra un angelo custode ed un avvocato.

                        Io credo che un curatore sia a sua volta un artista che partecipa attivamente al processo creativo e formativo dalla persona che sta curando.

                        È una parte indispensabile del team anche perché, come ho fatto intendere prima, brandisce l’arma più potente: la comunicazione.

                        Cosa chiedi ad un gallerista ?

                          Innanzitutto chiedo un parere sul mio lavoro; sicuramente l’esperienza di un gallerista è nettamente superiore alla mia.

                          Il giusto rapporto che si deve creare con un gallerista è quello di reciproco rispetto e reciproca fiducia, sarebbe bello fossero la base di ogni rapporto umano, ma in questo caso la mancanza di essi porterebbe subito ad una rottura; con l’Arte non è facile mentire.

                          Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

                            Ho molte idee pronte per essere realizzate.

                            Mi piacerebbe lavorare con materiali innovativi e sostenibili, con nuove tecnologie e “potenziare” la mia tecnica con degli upgrade, senza cambiarla.

                            Sono un grande sostenitore del progresso tecnologico e scientifico e mi attrae molto l’idea di unire la meccanica con la biologia:

                            il cyborg è uno dei miei modelli d’arte a cui aspiro da sempre.

                            Sicuramente dovrò fare tanta ricerca e sperimentare fino a quando non trovo la vera soddisfazione.

                            Ma abbiamo un sacco di giorni davanti, se no come potrei tenere occupate le mie ore di insonnia?

                            Chiara Canali

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