Mr. Savethewall artista comasco le sue opere interpretano temi e costumi della società contemporanea in chiave ludica o polemica, ironica o dissacrante.
Le sue modalità e le tecniche di intervento sono proprie della Street Art, ma Mr. Savethewall non dipinge sui muri , li rispetta e li “salva” fissando le sue opere temporaneamente con quattro pezzi di nastro adesivo giallo agli angoli….
Lo abbiamo intervistato
Il tuo primo contatto con l’ arte ?
L’esperienza più significativa è la prima mostra su Caravaggio. Passai abbastanza rapidamente la sequenza di opere, come assuefatto dall’impianto classico di cui, da ignorante, non compresi la grandezza e la meraviglia fino a che non scesi al piano inferiore della mostra dove altri dipinti del medesimo stile proseguivano e mi venne spontaneo domandare a voce alta “qui hanno spento le luci?” e la guardia mi si avvicinò dicendo “la luce è nei dipinti: quelli al piano di sopra che lei ha appena visto sono di Caravaggio, questi sono della sua scuola”. Tornai indietro e mi innamorai perdutamente di Caravaggio e dell’arte. Tornato a casa presi la scatola dei colori ad olio di mio nonno e non smisi di sperimentare quello straordinario effetto della luce di Caravaggio.

Quando hai capito che l’ arte sarebbe diventata da passione a professione?
Quando si dice sliding doors… I miei genitori avrebbero voluto che intraprendessi studi artistici e accademici per via di attitudine e capacità innate che, opportunamente affinate e coltivate da studi adeguati, avrebbero potuto offrire grandi soddisfazioni personali. Invece ho fatto altre scelte che mi hanno portato a lavori più attinenti al business management che, fin quando ho potuto, ho comunque interpretato con una visione più da artista che non da manager.
Nonostante gli eccellenti risultati, mi sentivo in una gabbia dorata che, per quanto d’oro, è pur sempre una gabbia. È così che per sentirmi libero, nottetempo ho cominciato ad indossare i panni del “writer galantuomo”, installando (più che dipingendo sui muri in modo permanente) i miei lavori, le mie opere dalla poetica e il linguaggio assolutamente urbani, ma con modalità da post streetart.
I miei lavori hanno suscitato immediato interesse e un bel giorno, quella è diventata la mia strada.
La tua prima opera?
Coerentemente con quanto appena affermato, un uccellino sul ramo di un albero, libero, fuori da quella gabbia, con un fumetto con una nota musicale. Libero quindi di dire sempre quello che penso, senza padroni. Libero di fare quello che voglio, senza limiti né sovrastrutture. Quell’uccellino lo dipingo ancora oggi.
Come scegli cosa ritrarre ?
Ritraggo la mia quotidianità. Qualcosa mi colpisce come un pugno allo stomaco, come un bacio all’improvviso, come un salto nel vuoto o un tuffo in mare aperto e a quel punto traduco in immagini questa mia sensazione. Ho fatto così per tutta la vita per via di un’esigenza, quella di fermare nel tempo quella “sensazione” quella “emozione” quella “esperienza” e tirarla fuori da dentro. Un’esigenza personale in cui ben presto ho scoperto che era condivisa da tanti. Alle volte abbiamo bisogno di alleggerirci senza perdere quel peso, sapendo di poterci ritornare a pensare tutte le volte che ne dovessimo aver bisogno.ad esempio penso alla bambina che prega sull’iPad per la restituzione del proprio padre: era un peso che non potevo portare più dentro ma anche una lezione che non volevo dimenticare. Ne ho fatto un dipinto. Funziona così.
Ora però, dopo una lunga evoluzione della mia ricerca, faccio anche ritratti. Il mio ultimo progetto chiamato “wallsaved, l’opera d’arte è il muro” faccio i ritratti ai muri urbani, ne racconto la storia attraverso dettagli che sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti ma, proprio perchè sono sempre sotto i nostri occhi, spesso li trascuriamo.
Arte e fotografia quando si. Incontrano?
Nel mio caso si sono incontrate in un progetto intitolato LIFESHOT, per fare della propria vita un’opera d’arte. 16 oggetti per 16 momenti fondamentali della propria vita, dalla nascita alla morte. 8 scelti da me e 8 dal “committente” che con me affronta un viaggio a volo alto sulla propria vita.
L’ho chiamato “il viaggiatore” proprio per questo, perché prova l’esperienza di un viaggio intenso, profondo e mai sgradevole, anzi, liberatorio su tutta la propria vita. Il mio fotografo, Emanuele Scilleri e il mio video operatore, Piergiorgio Perretta, documentano quanto accade con la straordinaria capacità di scomparire dando a me al viaggiatore la sensazione di essere soli e intimi. Sensibilità non verbale, grande empatia sono gli ingredienti collaudati di questa vera e propria opera d’arte che mi ha dato la possibilità di confrontarmi con intellettuali, come Angelo Crespi e Sergio Mandelli, critici d’arte come Luca Beatrice, esperti di fotografia come Denis Curti, attori come Giuseppe Battiston, Direttori di importanti periodici come Pierluigi Vercesi, capitani d’impresa come Graziella Gavezotti, grandi chef e personaggi televisivi come Bruno Barbieri. Nello stesso tempo però, anche persone normali, come me, che alla fine del viaggio hanno scoperto di vivere una vita meravigliosa.
Quanto è importante la fotografia?
importantissima. È lo strumento che consente di fermare per sempre un sentimento che non vogliamo perdere ma nello stesso tempo, non vogliamo necessariamente portare dentro di noi.
Un aneddoto che ricordi con il sorriso ?
Il sorriso è il mio compagno di viaggio preferito. Ci alziamo insieme e andiamo a letto insieme; sogniamo insieme. Forse quando ho creato “la fine del mondo”. Un’opera per me importantissima. Si tratta di una installazione in cima con la “fine di Dio” di Fontana. Ha la forma di un uovo ma è di ferro arrugginito ad arte. Su quest’uovo si vedono i continenti come se si trattasse di un Mondo in procinto di esplodere. Ho voluto racchiudere l’idea che la fine del mondo è l’inizio di un nuovo mondo, magari anche migliore. Avevo perso il compagno di viaggio Sorriso quando ho lasciato il mio lavoro precedente e l’ho riacquistato quando ho realizzato che il mio nuovo mondo era migliore. Ecco perchè ricordo con il sorriso il ritorno del sorriso.
Quanto conta la comunicazione ?
L’arte è una forma di comunicazione. La comunicazione è una forma d’arte. Per me è molto importante. Io con la mia arte voglio comunicare. Ho l’ambizione che i miei messaggi raggiungano il maggior numero di persone possibile. Ho cercato di riuscire a comunicarli in modo che non passassero inosservati nel bombardamento mediatico in cui viviamo la nostra contemporaneità. Per catturare un neurone si fa una grande fatica. La corretta comunicazione aiuta. Poi bisogna avere qualcosa di interessante da comunicare… e soprattutto un neurone a cui farlo.
Che differenza c’è, nella percezione dell’arte tra Italia e estero?
Quando avevo il mio atelier a Como, il New York Times ha citato il mio spazio come una delle 12 cose da vedere venendo sul lago. Grazie a questo endorsement e al fatto che Como sia una meravigliosa meta turistica, ho potuto incontrare migliaia di appassionati di arte da tutte le parti del mondo. L’apertura mentale e l’approccio all’arte all’estero è molto più libero, friendly, accessibile. Io ho sempre messo il prezzo accanto ai miei lavori, ad esempio, e questo ha incontrato il favore degli stranieri e un po’ di snobismo da parte degli italiani. Ma non voglio generalizzare. C’è tanto di buono in Italia quanto all’estero. L’ideale sarebbe una galleria italiana con un gallerista con una mentalità estera. Ah già, ma io ce l’ho.
Cosa ti aspetti da un gallerista?
Ho il gallerista che ho sempre desiderato, pertanto posso dire con facilità cosa mi aspetto dal mio gallerista. Innanzitutto la medesima visione e, viceversa un’adeguata capacità di dialogo atta a comprendersi sulle diverse posizioni. Poi, sostanzialmente, la divisione dei compiti: io mi occupo di ricerca e creazione artistica. Il mio gallerista si occupa di sostenerla e farla conoscere, raccontare la mia storia, venderla. Sostanzialmente il mio gallerista deve essere un venditore di storie e di emozioni. io un creatore di storie e di emozioni.
Per proporre arte bisogna averla studiata?
Assolutamente si. Io ho potuto provare a farla senza averla studiata, e questo ha il vantaggio della totale libertà con il rischio di ripercorrere strade già battute da… secoli. Poi si avverte naturale il bisogno di studiarla. Io la sto studiando ancora oggi. Studio tantissimo e mi sembra sempre di non saperne mai abbastanza. Unitamente alla storia dell’arte penso ci siano altre discipline che vanno conosciute e nel mio caso mi riferisco alla filosofia, alla psicologia, alla sociologia, marketing ed economia. Porto avanti questi studi parallelamente e mi sento ogni giorno più ricco.
Se potessi incontrare un Icona del passato quale sceglieresti e cosa gli chiederesti?
Più che chiedere qualcosa mi piacerebbe osservarle, le icone del passato. Mi piacerebbe vivere il loro contesto storico, socio economico e culturale. Immaginiamo quanto potesse essere diversa l’Italia di Leondaro, Michelangelo, Caravaggio. Oppure essere un conoscente di Vincent Van Gogh. Non gli chiederei nulla, mi basterebbe osservarli, come un garzone di bottega, o come una presenza invisibile… Se dovessi identificare una sola icona del passato farei fatica. Adoro tutte le menti geniali che la storia dell’umanità ci ha dato in tute le discipline. Galileo Galilei, Newton, Copernico, Gandhi, Malcom X, Dante Alighieri, Alessandro Manzoni, Freud, De Saussure, Platone, Aritsotele, Pitagora, kant… come si fa a scegliere?

Grazie per il tuo tempo