Classe 1959, Nato a Voghera.
Le opere di Bellucci sono caratterizzate da sovrapposizioni di elementi di carta di vario tipo tagliati a filo d’acqua (tecnica di taglio orientale che lascia i contorni ammorbiditi e sfumati), oppure strisce di carta dipinte con varie gradazioni di grigio e nero disposte il più delle volte in verticale e in parallelo, rifacendosi in questo ai principi di base dell’estetica giapponese dell’iki.
La tecnica fondante dei suoi lavori è quella del collage su tela o in alcuni casi ferro e legno, declinata in svariate tipologie di utilizzo dei materiali di base, carta nepalese fatta a mano e inchiostro sumi giapponese.
Lo abbiamo intervistato :
Il tuo primo contatto con l’arte?
Lasciando da parte gli esperimenti infantili con acquerello e pittura ad olio ispirati per imitazione dalla passione di mio padre per la pittura, il primo vero contatto con l’arte è avvenuto per caso (ma il caso non esiste mai) camminando per le vie del centro di Milano circa venti anni fa. Mi sono trovato di fronte ad una galleria d’arte nella quale si stava svolgendo l’inaugurazione di una mostra di studenti di calligrafia cinese. Da lì sono iniziati i miei studi di calligrafia, io in passato nei miei anni universitari avevo studiato tra le varie discipline anche linguistica e quindi ero molto interessato anche alla scrittura soprattutto delle lingue orientali. Questo è stato il mio primo approccio anche allo studio delle tecniche artistiche estremo-orientali sulle quali ho basato poi le mie successive ricerche.
Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?
Probabilmente il punto di svolta è stato quando una gallerista della mia città, vedendo alcuni miei lavori che a poco a poco si stavano allontanando dalla matrice scolastica legata alla replica di modelli storicizzati di antiche calligrafie cinesi, mi ha proposto di esporre alcuni di questi nuovi lavori in una mostra collettiva. In seguito il progetto di questa mostra si è progressivamente evoluto fino a trasformarsi di fatto in una mia prima vera e propria personale.
La tua prima opera?
Più che di una singola opera parlerei di un gruppo di opere nelle quali alla tradizionale carta per calligrafia giapponese utilizzata in formati abbastanza standardizzati è subentrato l’uso di pesanti carte da acquerello con formati molto più liberi. Questo ha segnato il passaggio da lavori prettamente scolastici a forme espressive più libere pur mantenendo l’utilizzo del tradizionale inchiostro per calligrafia estremo-orientale.
Come scegli cosa ritrarre ?
Essendo la mia ricerca legata in senso lato all’ambito della pittura astratta, in genere pro cedo per via di addizione, iniziando da una tipologia di segno, solitamente molto semplice e minimale che poi viene ripetuta all’infinito con numerose sovrapposizioni. Altre volte lavoro con campiture più uniformi di neri o grigi alle quali contrappongo aree chiare più o meno estese. Unica costante è l’utilizzo della tecnica del collage di carte orientali e dell’inchiostro nero (giapponese ”sumi”) al quale solo di recente ho aggiunto il colore rosso ad evocazione della lacca cinese.
Un aneddoto che ricordi con il sorriso ?
Un concetto dell’estetica orientale legata alla pittura ad inchiostro (sumi-e) che mi aveva sempre affascinato era quello della presenza di colori “interiorizzati” all’interno del classico colore nero utilizzato in modo più o meno diluito sulla carta. Ricordo che una visitatrice ad una mia personale anni fa a Milano osservando alcuni lavori astratti molto elaborati nelle varie gradazioni del grigio aveva esclamato “quanti bei colori!”. Forse uno dei più bei complimenti che abbia mai ricevuto!
Quanto conta la comunicazione nell’arte?
Provenendo da studi universitari di tipo linguistico, sono naturalmente portato a dare grande importanza alla comunicazione verbale anche nell’ambito artistico. D’altro canto mi rendo conto di quanto facilmente tale comunicazione e con questo mi riferisco a presentazioni di mostre e saggi critici, possa trasformarsi in una sorta di auto celebrazione dello spessore culturale dell’estensore perdendo di vista lo scopo originario è cioè l’individuazione di strumenti storico critici atti a permettere una maggiore comprensione dell’opera dell’Artista. In genere quindi ritengo un limite il fare ricorso ad un linguaggio eccessivamente involuto ed aulico con il solo scopo di mascherare la propria incapacità di esprimere dei concetti in modo chiaro e diretto.
Che differenza c’è, nella percezione dell’arte, tra Italia e estero?
Purtroppo pur avendo avuto miei lavori esposti in personali e fiere d’arte all’estero non ho mai avuto una esperienza diretta e approfondita di questi mercati e quindi non saprei esprimere un parere basato su dati reali ed effettivi.
Cosa ti aspetti da un gallerista?
Ricordo di aver fatto una lunga chiacchierata anni fa con un gallerista di Milano il quale mi esponeva varie problematiche che lui si trovava ad affrontare quotidianamente nel mercato dell’arte. Primi fra tutti i costi di gestione ad esempio per partecipare alle fiere d’arte. La conclusione inevitabile era che per coprire i costi di tali partecipazioni era necessario per lui puntare sulle vendite di artisti storicizzati. Purtroppo temo che in questi ultimi tempi di crisi generalizzata in quasi tutti i settori dell’economia sia diventato comprensibilmente ancora più difficile per un gallerista poter investire nella ricerca di nuovi “possibili” talenti. Sarebbe a mio parere un risultato già abbastanza gratificante se un tale gallerista decidesse di inserire in una collettiva di artisti già abbastanza conosciuti un 10, 20 % di opere di artisti di valore ma alle prime armi, così da poter avere possibilmente un primo riscontro dal mercato.

Grazie per il tuo tempo Mauro, alla prossima
Intervista fatta in collaborazione con Arti Services di Alessandra Korfias