Giovanna Lacedra, l’Arte che grida…

Giovanna Lacedra
Giovanna Lacedra

Foto in copertina BREATHE ME
© Giovanna Lacedra 2020
selfportrait

Attraverso la pittura e le sue  performances Giovanna Lacedra non ha paura di puntare i riflettori  su i temi che che coinvolgono la quotidianità femminile: infanzia, il passato, gli incubi, i traumi irrisolti, la violenza di genere, i disturbi alimentari

Il tuo primo contatto con l’arte?

Chissà quando è avvenuto! Non so dire in quale delle mie vite precedenti sia accaduto. Devo essere stata, in qualche modo, a contatto col fuoco sacro dell’ispirazione e della creatività, forse non il mio, ma deve essere qualcosa di molto remoto, perché quando sono nata, in questa vita, ho immediatamente sentito di avere una specie di percorso tracciato. Ovviamente da bambina non ne comprendevo la natura. So solo che ho disegnato sempre e non ricordo un momento della mia infanzia in cui io non lo abbia fatto.

Quindi, se la domanda si riferisce al primo contatto con la mia sensibilità di artista, con la mia creatività, con la mia propensione alla comunicazione mediante immagini o anche silenzi plateali, posso dirti che questo risale al primo ricordo che ho di me stessa. Io mi ricordo di una me piccola piccola e timida. E silenziosa, appartata, indisturbante ma sempre, sempre sempre, con una matita o coi pastelli della Giotto tra le mani e un foglio bianco su cui reinventarmi il mondo. Quando il mondo vero diventava “rumore” io mi rifugiavo nel bianco di un foglio.

Se invece la domanda si riferisce al mio primo contatto con l’ambiente artistico, alle prime interazioni con il sistema dell’arte, beh questo è avvenuto a Milano, città dove ho vissuto per sedici anni sino al 2019.

A Milano ho abbandonato la pittura per abbracciare il linguaggio del corpo, la Performance Art. E proprio a Milano ho esordito e poi sono cresciuta, costruendo il mio percorso, intrecciando legami, relazioni professionali, amicizie e, spesso, sbattendo il muso contro la faccia più ruvida e ambigua di questo ambiente.

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Credo di averti risposto sopra. Da piccola sentivo che mi interessava molto la mia solitudine rispetto alle altre bambine. Perché la mia solitudine non era un vuoto, non era una mancanza, era un luogo in cui io potevo disegnare, quindi creare, quindi spaziare in altre dimensioni. Disegnare era la mia libertà.

Il mio percorso poi è stato di una coerenza imbarazzante: Liceo Artistico, Accademia di Belle Arti a Firenze. E oggi sono una docente di storia dell’arte in un liceo di Ravenna e lavoro come artista performer da dieci anni. Prima dipingevo. In seguito ad un blocco creativo che pareva di cemento, ho incontrato e accolto la possibilità del linguaggio performativo. Casualmente, partecipando alla performance di un altro artista e scoprendo, in quel contesto, che il linguaggio del corpo era un linguaggio fatto per me. Del resto, il corpo è da sempre un linguaggio.

Dalla Venere di Willendorf.

Ce lo insegna, poi, Leonardo, coi suoi moti dell’animo.

E prima di lui gli scultori greci, con i loro schémata.

La Performance Art può sembrare un linguaggio relativamente nuovo ma, quante sculture greche sono performanti? Prendi la Menade Danzante di Skopas!

Oppure il Galata Suicida di Epigono. Io adoro la statuaria classica. Le pose, la gestualità, il pathos, l’espressività, persino la stasi delle Korai arcaiche.

L Ombra del Bianco Veduto dal Sole _ Performance 2019_ Foto di Beppe Fontana

La tua prima opera?

 “IO SOTTRAGGO” una performance sulla patologia anoressico-bulimica. Un lavoro totalmente autobiografico. Nato nel giugno del 2011. A questo ne sono seguiti altri negli anni, oggi siamo a sedici progetti performativi scritti e realizzati da me, talvolta in collaborazione con altri performer.

Come scegli cosa raccontare ?

Non scelgo. Sento. Sento che ho bisogno di raccontare, attraverso il mio corpo, qualcosa che mi cattura. Qualcosa che mi scuote, mi colpisce, mi porta a riflettere. Diventa una sorta di urgenza.

E il momento in cui lo sento è il momento della visione. Intendo dire che “vedo”. Vedo, visualizzo. Visualizzo me fare qualcosa o interagire con qualche oggetto. Insomma vedo l’embrione dell’azione. L’incipit. E da quel momento lo corteggio. Studio, ricerco, scrivo. E arrivo così al mio progetto.

Performance, per te….significa?

Significa dare corpo ad una verità. Palesarla. Portarla agli altri.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso?

Sorrido quando ripenso alla mia disperazione quel sabato di maggio a Venezia, quando iniziò a piovere un’ora prima della mia esibizione all’aperto. Avevo allestito tutto sullo squero. Era il 2015. Avevo esposto fogli su fogli che avrebbero fatto da cornice alla mia esibizione. E dopo un allestimento durato un’intera giornata ecco che la pioggia rischiava di cancellare tutto. E rovinarmi le carte e le foto. Ebbi una specie di crisi isterica.

Inziai a piangere come una bambina. Diventai intoccabile. Nessuno poteva parlarmi. Ero intoccabile. Ma poi, smise di piovere.

Alcune foto si rovinarono, alcune pagine anche. Ma io ero decisa a performare anche sotto la pioggia scrosciante. Smise poco prima. Mi sdraiai sull’asfalto bagnata e restai immobile per un’ora. Questa fase di stasi assoluta faceva ovviamente parte dell’azione. Ricordo che tremavo, avevo le gambe e la schiena nude. L’asfalto era bagnata e ne sentivo l’odore pregnante. Ebbi dolori alle ossa e alle articolazioni per almeno una settimana.

Ma fui felice di aver performato ugualmente.

Come il mare in un bicchiere_ Performance 2017_Ph. Mauro Capisciotti

Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?

Michelangelo Buonarroti. Vorrei incontrarlo nel 1508. In Vaticano. Gli chiederei di lasciarmi salire sulle impalcature della Cappella Sistina, per osservarlo dipingere le bocche, le schiene e le braccia delle Sibille sulla volta. So già che mi direbbe di no. Neppure papa Giulio II, suo committente, potè vedere quel mastodontico affresco nel suo farsi.

Michelangelo pretendeva di esser lasciato solo. Non fece entrare nessuno per quattro anni. Fino a quanto l’affresco fu compiuto, nell’ottobre del 1512. Solo allora il papa potè accedervi.  Ah, che testa dura! Che meraviglioso caratteraccio doveva avere! … vorrei davvero sentirlo, quel no. No! Vorrei vedere nei suoi occhi la terribilità che ha trasposto in quelli del suo Mosè.

Io amo il Divino Michelangelo.

Quanto conta la comunicazione ?

Conta quanto un treno quando devi raggiungere Roma da Milano. È necessaria.

Che differenza c’è, nella percezione dell’arte tra Italia e estero?

Non ho mai lavorato all’estero fino ad oggi. Credo, però, che l’Italia corteggi troppo gli artisti provenienti da altri paesi e accudisca poco i propri talenti. Insomma, gli addetti ai lavoro mi sembrano un po’ troppo esterofili.

Cos’è per te l’arte?

È Nuda Verità. È il volto della storia. È amplificazione. Sublimazione. Dichiarazione. È Pelle. È Eternità.

Per proporre arte e fotografia bisogna averle studiate?

La storia dell’arte ci insegna che il fuoco sacro negli autodidatti ha fatto faville. Ed ha, in alcuni casi, scritto la storia. Prendi Gauguin! Gli studi accademici sono utili, io li rifarei, ma quel che occorre poi è la ricerca e soprattutto, avere qualcosa da dire e affilare le armi per farlo al meglio.

Cosa ti aspetti da un curatore?

Che si prenda cura del mio lavoro. Che gli voglia bene, che creda in lui –  in me – che voglia aiutarlo a crescere. Non si chiamerebbe curatore, altrimenti.

Cosa chiedi ad un Gallerista?

Che valorizzi il mio lavoro, nel momento in cui lo sceglie. A volte, semplicemente, che metta a disposizione tutto ciò che richiedo nella scheda tecnica di una performance, quando mi invita a realizzarla nel suo spazio. Perché, devi credermi, questo non si può dare per scontato.

Ho incontrato galleristi impeccabili, che si son presi cura della promozione di una performance, dell’allestimento e delle specifiche tecniche, in maniera impeccabile e in tal modo mi hanno permesso di realizzare la mia performance al meglio. E poi ne ho incontrati altri che un’ora prima dell’esibizione non avevano ancora le casse amplificate che avevo richiesto nella scheda tecnica mesi prima.

Non tutti sono seri e affidabili. Un gallerista serio si distingue immediatamente.

A partire da queste cose, ma soprattutto perchè quando ti contatta ha già studiato il tuo lavoro.

Vuole te perché ha esplorato il tuo lavoro, non perché spera che una tua performance gli porti un po’ di pubblico…

Capisci qual è la differenza?

Giovanna Lacedra_What is Love_performance in streaming lockdown_2020 still da video-00

Per me Giovanna , purtroppo è fin troppo evidente

Alessio Musella

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