Arte: Luca Nannipieri, il piacere di saper comunicare…

Luca Nannipieri
Luca Nannipieri

Luca Nannipieri critico d’arte, storico dell’arte e scrittore italiano.

Ascoltare le sue presentazioni è sempre interessante, usa termini fruibili, e riesce a catalizzare l’attenzione del pubblico, che credetemi, quando parliamo di arte, non è sempre scontato.

Conosciamolo meglio attraverso le risposte alle nostre domande :

Il tuo primo contatto con l’arte?

Da ragazzo trascinavo i miei genitori alla reggia di Versailles e al castello di Fontainbleau, non a Disneyland.

Se avessi avuto una madre e un padre che non avessero assecondato questi stimoli, che all’inizio sono poco più che germogli, che una leggera gelata li può fermare, non so se sarei diventato quello che sono.   

Che formazione hai avuto?

Incontravo e ascoltavo i Premi Nobel per la letteratura, andavo a casa di poeti come Mario Luzi, mi emozionavo davanti a registi come Michelangelo Antonioni, o clown come Slava Polunin che aveva capelli enormi e un volto così ancestrale che non aveva bisogno di essere truccato,

conoscevo i musei e i piccoli paesi con la mia auto, oltre a fare l’Università di Lettere e Filosofia a Bologna, studiando sulle domande che lanciavano a noi studenti, nelle loro lectio, i critici e umanisti Renato Barilli e Ezio Raimondi.

Mentre Umberto Eco era già Umberto Eco e dunque lo si incontrava in città, sapendo che non si sarebbe concesso se non in qualche grande raduno in Aula Magna.

Tenevo stretto le brevi lettere che ricevevo sui miei primi, incerti testi da Claudio Magris.     

Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?

Quando iniziai a pubblicare con grandi editori e fui chiamato da Rai 1 per curare una rubrica d’arte.

In quel momento capii che il percorso che avevo costruito, il progetto professionale su cui stavo lavorando, iniziava a dare i suoi frutti.

Come scegli i progetti o gli artisti di cui parlare?

Ricevo molte proposte di introduzioni, curatele o richieste di collaborazione da parte degli artisti e dei galleristi.

La prima cosa che metto in chiaro è che sono un critico d’arte e uno scrittore, non il loro ufficio stampa, ovvero debbono stringere con me un rapporto all’altezza, non di pura utilità pratica.

Il legame tra critico e artista è anzitutto umano, amichevole, di confronto, di stimolo, di progettualità, di influenza reciproca, di come provare ad entrare nella storia dell’arte e nel mercato.

Se uno vuole il mio nome soltanto per avere maggiore visibilità e vendibilità, sta cercando un ufficio stampa, non un critico d’arte, e gli posso consigliare ottimi uffici stampa, a cominciare da quelli che lavorano per me.

Un artista che si propone deve dimostrare, con la sua opera, di provare assillo nei confronti della creazione. Assillo, cioè febbre di fronte all’opera e all’infinito che ha attorno e dentro di lui.  

Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?

Incontrerei con interesse chi ha realizzato il Laocoonte, di cui ho scritto nel mio libro “Candore immortale” pubblicato dalla Rizzoli.

Pur in una scuola fiorente e consapevole come quella di Rodi, come abbiano fatto duemila anni fa soltanto a pensare e a realizzare un capolavoro di tragica e muta bellezza come è il gruppo scultoreo conservato in copia romana ai Musei Vaticani, mi affascina assai.

Non chiederei a lui o a loro nulla.

Li vorrei soltanto guardar lavorare.   

Quanto conta la comunicazione?

Nella storia dell’arte che si sviluppa nei secoli, non conta nulla, perché è voce transitoria.

Se verrai ricordato, non verrai ricordato per i like che hai preso nei post.

Nel presente contemporaneo, invece, la comunicazione ha una sua stringente funzionalità pratico-lavorativa: introita progetti e soldi chi riesce a comunicare la propria personalità, non solo chi la esprime degnamente.  

Da dove nasce l’amore per la scrittura?

Dalla fame che ho di lasciare un’oncia di bellezza in più a questo mondo.

Oggi consiglieresti l’acquisto di un emergente come investimento?

Per investimenti, cioè compri oggi ciò che puoi rivendere domani a maggior prezzo, consiglierei di comprare gli artisti che hanno una corposa monografia su di loro, perché, al giorno d’oggi, in Italia, non sono le mostre, ma le monografie che fanno la differenza nella credibilità di un acquisto.

Che differenza c’è, nella percezione dell’arte tra Italia e estero?

Nel nostro paese abbiamo un’elementare consapevolezza più o meno diffusa di cosa sia il patrimonio storico-artistico, a prescindere dai gradi di istruzione. In tanti paesi del mondo, non esiste neanche la disciplina della storia dell’arte: la storia dell’arte finora è essenzialmente studio europeo, non mondiale.

Tanto è vero che gli storici dell’arte Venturi, Longhi, Argan, Bianchi Bandinelli, Zeri, Briganti, Brandi, Arcangeli, Ragghianti, sono italiani; Riegl, Dvořák, Wickhoff, Schlosser sono della scuola viennese, Baumgarten, Winkelmann, Warburg sono tedeschi, Hauser è ungherese, Burckhardt è svizzero, Berenson è statunitense ma naturalizzato italiano, tanto è vero che è sepolto a Fiesole, vicino Firenze.    

Cos’è per te l’arte?

Un grande enigma, sempre aperto, che l’uomo porta avanti dai primordi della civiltà umana. 

Per proporre arte bisogna averla studiate?

Bisogna studiare, non aver studiato.

Non esiste uno studio pregresso che ti salva dal continuo approfondire le ragioni dell’arte che stai toccando.

Aver dato qualche esame all’Università non ti esime dal conoscere oggi più di ieri.

Vale ciò che dici e fai, non cosa hai studiato quando eri ragazzo.

L’arte non è la scienza o la giurisprudenza, per cui devi avere un percorso tracciato per essere abilitato come fisico nucleare o pancreatologo.

Non esistono titoli, in assenza dei quali tu non possa vivere e lavorare nell’arte: Gillo Dorfles si laureò in medicina, eppure ha cambiato il pensiero sull’estetica contemporanea; Philippe Daverio ha studiato economia e commercio, eppure in televisione ha costruito rubriche d’arte intriganti attorno alla sua figura.

Esiste soltanto il tuo lavoro e questo viene e verrà giudicato.    

Cosa ti aspetti da un Gallerista?

Il gallerista deve pagare spesso un affitto, dei dipendenti, la luce, l’arredo e tutto il resto, per avere un luogo adatto alle esposizioni.

Dunque è una persona che ha investito soldi.

E’ naturale che pensi anzitutto a questo, cioè al commercio, alla compravendita, a ciò che ha mercato.

Mi aspetto però che non sia soltanto questo.

Se lo confondo con il commercialista, qualcosa non va.

E infatti alcuni mercanti che ho conosciuto, hanno fatto soldi soltanto perché hanno fatto i commercialisti.

Scelta legittima, e del tutto rispettabile.

Ma non è la mia.

L’arte deve essere un punto di incontro tra le persone, non solo un prodotto in magazzino da compra-vendere, come un dentifricio o uno spazzolino da denti. 

Cosa pensi dell’editoria di settore?

Lavoro da vari anni con l’editoria di settore: continua a piacermi quell’editoria d’arte che scommette su libri e pubblicazioni che provano ad imporsi sul mercato librario, non soltanto quella che pubblica volumi già pagati prima.

Se un editore si riduce ad essere uno stampatore basta-che-paghino, in pochi anni nulla lo distinguerà dalle auto-pubblicazioni che si possono fare dal proprio computer, mandando l’impaginato già fatto all’estero.

Che differenza c’è tra curatore e critico d’arte?

Un critico d’arte, che fa pubblicazioni, può essere un curatore, perché ha una visione dell’arte.

Un curatore che non abbia una visione dell’arte, definita in pensieri e scritti di livello, non è un curatore: è una persona, senza colonna vertebrale, in mano ad interessi più forti di lui.

Un critico d’arte mantiene sempre la dignità del proprio pensiero e della propria conoscenza.

Decisamnete interessante leggere le tue risposte, grazie per il tempo a noi dedicato  

Alessio Musella

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