Antonio Maria Poretti, Anima e pensieri sul palcoscenico della vita.

Antonio Maria Poretti
Antonio Maria Poretti

In questa intervista , per la prima volta non riteniamo di creare un introduzione , ma lasciamo che sia l’intervistato a raccontarsi e presentarsi..

Antonio Maria Poretti

Come sei diventato l artista che sei ?

Prima di tutto, grazie per rivolgermi quello che io considero in assoluto il più bel complimento.: “Artista” è davvero una parola importante da attribuire a qualcuno e io personalmente avverto sempre un certo imbarazzo nel  sentirla indirizzata a me, perché nella vita di ogni giorno e nel mio lavoro, cerco di essere semplicemente quello che sono.

Anche quando affermo di essere una “cartolina illustrata” ( mi piace prendermi in giro e lo faccio ogni volta che mi si presenta l’occasione), in qualche modo alludo anche a quel tipo di autenticità che dovrebbe contraddistinguere ogni persona, a prescindere da quel che fa nella vita.

Essere artisti per me equivale alla passione che metti in ciò che fai, con  assoluta convinzione e responsabilità, in totale consapevolezza e onestà..

Qualunque sia il mezzo di espressione, il canale e la modalità di farlo, un artista non può prescindere da questo assunto di partenza ; e nel mio piccolo io cerco di rimanere fedele a questo tipo di etica, continuando nella ricerca e nell’approfondimento di un percorso a volte estremamente duro, per non dire doloroso, ma di cui oggi, nella piena maturità dei mie anni, ringrazio profondamente la vita.

Spero di non risultare troppo retorico o peggio ancora banale, se dico che il primo requisito per essere o venire considerati artisti consista proprio nell’accettare innanzitutto se stessi per come si è, con  tutti i propri limiti , difetti e pregi e poi, nel mantenere sempre viva la curiosità di scoprire, sperimentare, combinare assieme tutte le esperienze passate con quelle presenti..

Durante la mia formazione – che mi preme precisare per un artista non ha mai fine -, ho sempre cercato di avvalermi del mio bagaglio accumulato in precedenza.

Il mio primo approccio con il mondo del teatro, o meglio il suo universo, è avvenuto attraverso la danza che seppure ho praticato a livello amatoriale e per quanto mi riferisca a un’epoca che ormai si perde nella notte dei tempi,  rimane ancora oggi un’esperienza decisiva e determinante;: quel rigore, quel senso della disciplina, quell’ascolto del proprio corpo e dello spazio in cui ti muovi, dei colleghi con cui interagisci, è un imprinting che ti rimane addosso e ti riveste come se fosse la tua stessa pelle.

Poi sono seguiti anni di completo allontanamento da quel mondo,, anni in cui dovevo capire prima di tutto chi fossi e cosa volessi da me stesso , fino a quando il desiderio e l’esigenza di tornarvi divennero una necessità di vita.

Certo, ormai era troppo tardi per riprendere da dove avevo lasciato e cosi cominciai a frequentare i primi laboratori teatrali, fino a cominciare a praticare la scena in modo serio, da professionista.

Prima di passare alla domanda successiva, poiché mi sono dilungato ben più di quanto avrei voluto, vorrei aggiungere un ultima cosa; un artista non dovrebbe mai perdere la capacità di essere leggero nella profondità, di giocare sempre con convinzione e serietà ed è quanto auguro a tutti di poter sempre fare. Prometto solennemente di essere più sintetico.

Cos e per te l arte? 

Per riallacciarmi a quanto ho appena affermato, l’arte è appunto quell’impulso a mettersi sempre in gioco, a non prendersi mai troppo sul serio, perché tutto è sempre migliorabile, a cercare sempre nuove opportunità e nuovi modi di comporre nuove variazioni ( mi scuso per la ripetizione di nuovo) dal tema di partenza, da un canovaccio che la vita assegna a ognuno di noi e che possiamo arricchire di volta in volta, in un relazione continua tra noi e il mondo.

Cosa significa per te recitare? 

Dunque, fammi pensare! Oh sì ecco, è un aneddoto che appartiene agli anni della danza. All’interno della scuola che frequentavo allora era stata formata una compagnia di cui facevo parte anch’io, diretta dal Maestro Ugo Dell’Ara, un nome storico per la danza italiana, ma di cui temo che oggi  soprattutto le nuove generazioni non sappiano nulla.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso? 

Ci capitava di fare degli spettacoli in giro per la regione, all’epoca vivevo ancora in Basilicata. ed quella sera eravamo nel cortile di uno dei castelli federiciani sparsi sul territorio; il Castello di Lagopesole per la precisione. Eravamo in piena esecuzione di una delle coreografie in programma, quando a un tratto si verificò un black-out. Audio e luci saltarono gioiosamente e noi rimanemmo immobili per circa venti minuti nelle posizioni in cui eravamo, per fortuna di spalle al pubblico e nel silenzio più agghiacciante. A un certo punto, uno dei tecnici che si stava dannando per ripristinare la situazione, partì con una sonora bestemmia impossibile da non udire. Cominciammo letteralmente a tremare dal ridere e più cercavamo di trattenerci, peggio era. Ci parve un tempo infinito, poi per fortuna il guasto fu riparato e lo spettacolo riprese. Ma fu davvero faticoso arrivare fino alla fine rimanendo seri.

un’ultima scena

Se potessi tornare indietro nel tempo con quale artista del passato prenderesti un caffè? 

Difficilissimo sceglierne uno solo  , ma in questo caso e per una volta nella vita, mi facilita il compito il mio livello d’Inglese da pecora alsaziana, che mi obbliga a escludere tutti quelli di area anglo-sassone. Propongo tre nomi, si può? Franca Valeri, Paolo Poli e poiché parlo correntemente il francese, Juliette Gréco.

Quanto conta la comunicazione oggi? 

La comunicazione è fondamentale per un artista: che sia cantante, danzatore, musicista o come nel mio caso attore ( anche se alcuni caria amici preferiscono considerarmi più un performer ), solo instaurando una relazione autentica e diretta con il pubblico, si giunge all’emozione; che è alla base e costituisce il senso più profondo di questo lavoro. Se poi intendi anche la comunicazione di se stessi a livello d’immagine e del proprio lavoro,, temo che oggi con tutti i  mezzi di cui si dispone e considerato il sovraffollamento presente sui social , il rischio sia quello di un effetto boomerang, ossia di annoiare e di passare inosservati, il che sarebbe un paradosso.

Per farti un esempio molto diretto e concreto, durante i mesi di confinamento, un po’ per gioco, un po’ per non soccombere all’abbrutimento di pulizie casalinghe  e spese varie di sussistenza, ho cominciato a sperimentare con il cellulare un abbinamento tra poesie ( di autori e epoche quanto più distanti tra loro), musiche di sottofondo e immagini , sfruttando ambienti o oggetti di casa, cercando sempre di trasfigurarli, realizzando degli audio-video che devo dire hanno ottenuto un ottimo riscontro ; tant’è che oggi quello che era partita come una prova ( della serie vediamo che succede), si è trasformata in una rubrica settimanale del venerdì sul mio profilo di Facebook e di recente anche su Instagram.

Un modo carino per mantenere un rapporto con il proprio pubblico più vicino e diretto, poiché una delle massime virtù della rete è proprio quella di abbattere le distanze. E te lo una persona che riguardo a certe potenzialità e prerogative della rete ha sempre avuto un atteggiamento piuttosto, come dire, Ancien Régime, ma dopotutto domani è un altro giorno, come dice Santa Rossella, e nella vita tutto può cambiare ; sempre in meglio si spera.

Che difficoltà esiste nel creare uno spettacolo? 

Oh , questa è davvero una domanda da un milione di dollari! Innumerevoli. Soprattutto quando non hai un gruppo o una compagnia di riferimento, ma sei un po’ un outsider.

Negli ultimi miei spettacoli, ho provato a cimentarmi anche con la drammaturgia. Nel primo caso, rielaborando e adattando per la scena “La favola di Amore e Psiche” di Apuleio , insieme a un mio amico diplomato in direzione e composizione, Giuseppe Lioy, che ha creato delle musiche originali per questo lavoro. Un’esperienza incredibile e meravigliosa, sebbene faticosissima per me sia da un punto di vista scenico , essendo io a dar voce e corpo ai vari personaggi della storia, sia da un punto di vista organizzativo per stilare un calendario di prove che andasse bene per tutti, provando il più delle volte in ambienti che non erano esattamente delle sale di prova, aggiungendo a tutto questo i contatti con le istituzioni, la comunicazione appunto , i disguidi tecnici che non mancano mai ecc, ecc…

Nel secondo caso è stato relativamente più facile, poiché la mia proposta rientrava nel cartellone di una rassegna patrocinata dal Comune di Vercelli ( città dove attualmente risiedo) e organizzata da una compagnia con la quale avevo già collaborato per delle loro produzioni. La consegna era quella di lavorare su un testo di Shakespeare, rivisitandolo in base alla propria sensibilità e attitudine del momento.

Io avevo scelto il King Lear, concentrandomi però sul suo rapporto con le due figlie maggiori, Goneril e Regan.

Nel rileggere il testo alcune battute mi avevano particolarmente colpito , poiché lasciavano sottintendere a violenze domestiche, un tema purtroppo di drammatica e ahimè costante attualità! Così è venuto fuori “( Waves. I ricordi, le bugie, le parole). In questo caso ho potuto contare sulla preziosissima collaborazione di  Max Bottino, artista oltre che mio grande amico.

Tutto questo per dire che ogni volta il lavoro da fare è di proporzioni gigantesche, soprattutto quando oltre alla parte più propriamente artistica e legata alla messa in scena, bisogna anche curare e star dietro a tutto il resto.

Ogni volta è sempre una sfida, ogni volta arriva sempre quel momento in cui vorresti mollare tutto e scappare via,, poi però , citando un verso della grandissima Wislawa Szymborska, per fortuna mi passa.

Wislawa Szymborska

Grazie per essere quello che sei , da questa intervista ho imparato molto

Alessio Musella

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